Civile

Avvocati, quando scatta il conflitto di interessi e la “trascuratezza” nella difesa

Due decisioni delle Sezioni unite depositate oggi, nn. 20881 e 20887, ribadiscono il dovere di assistenza a tutto tondo del cliente e la particolare attenzione ai conflitti di interesse nelle controversie familiari

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di Francesco Machina Grifeo

Nuovi chiarimenti delle S.U. sulla deontologia dei legali. Con una prima decisione si ribadisce che il primo dovere del difensore è proprio l’assistenza nel corso di tutto il procedimento, ragion per cui disertare le udienze costituisce illecito disciplinare; con la seconda invece si chiarisce che il conflitto di interessi tra i legali, in particolare in materia di famiglia, si estende anche ai colleghi di studio.

Sul punto, la Cassazione, sentenza n. 20881 depositata oggi, ricorda che il quarto comma dell’articolo 68 del codice deontologico dispone: “L’avvocato che abbia assistito il minore in controversie familiari deve sempre astenersi dal prestare la propria assistenza in favore di uno dei genitori in successive controversie aventi la medesima natura, e viceversa”. Il comma quinto dell’articolo 24 del medesimo corpo deontologico prevede testualmente: “Il dovere di astensione sussiste anche se le parti aventi interessi confliggenti si rivolgano ad avvocati che siano partecipi di una stessa società di avvocati o associazione professionale o che esercitino negli stessi locali e collaborino professionalmente in maniera non occasionale”.

Nel caso del ricorrente, incolpato per avere accettato il mandato da parte del presunto padre contro la madre per il riconoscimento della minore, nonostante il curatore di quest’ultima fosse parte della medesima associazione professionale, per la Cassazione sussistono entrambi i presupposti. E cioè: a) l’assistenza del minore in controversie familiari impone all’avvocato di astenersi dal prestare la propria assistenza in successive controversie familiari; b) gli avvocati partecipi di una società professionale o di uno studio associato (tralasciando l’ipotesi dell’esercizio, pur non associato, non occasionale nei medesimi locali, che qui non rileva) debbono astenersi dall’assistere parti aventi interessi confliggenti con la persona assistita da uno dei predetti professionisti.

Ne deriva che l’avvocato ricorrente, accettando l’incarico di difendere il padre biologico della persona minorenne, “versando in una situazione di inscindibile contiguità professionale con la collega associata nel medesimo studio, che rivestiva il ruolo di curatrice speciale”, ha finito per dare vita a un conflitto di interessi, “non potendosi escludere che l’interesse dell’aspirante al riconoscimento paterno abbia finito per interferire con quello della persona minore d’età”.

Mentre, affermare che nel caso in cui si versi in ipotesi di associazione fra professionisti o di società professionale, o anche solo di abituale condivisione dello studio, il conflitto non si propaghi anche ai colleghi per forza di cosa cointeressati e, comunque, coinvolti, vulnererebbe gli esposti principi. La soluzione contraria infatti procurerebbe “un’irragionevole disparità di trattamento tra il caso in cui si imponga tutela della parte attualmente assistita e quello in cui, l’incompatibilità, per così dire, sopravvenuta, consegua a un successivo incarico, nella particolarmente sensibile materia di famiglia”.

Con la prima decisione, la 20877 sempre di oggi, invece la Corte afferma che l’ingiustificato abbandono della difesa lede plurimi fondamentali principi deontologici: non solo il diligente adempimento del mandato (articolo 26), ma anche il dovere di probità e dignità (articolo 9), quello di fedeltà (articolo 10) e quello di coscienziosa diligenza (articolo 12). La Cassazione ha così respinto il ricorso di un avvocato sanzionato dal Consiglio distrettuale di disciplina di Brescia con la della censura poi confermata dal Consiglio nazionale forense.

In particolare, il legale venne incolpato di non aver adempiuto “fedelmente e con diligenza” al mandato ricevuto “negligentemente” non partecipando “ad alcuna udienza, con rilevante trascuratezza degli interessi della parte assistita”.

Le Sezioni Unite aggiungono che l’incolpato è venuto meno “al primo e paradigmatico dovere del difensore dell’imputato, costituito dall’assistenza e difesa in ogni fase del procedimento”. Mentre, l’assunto che il precetto disciplinare “non sia violato ove non vengano in emersione conseguenze pregiudizievoli per il cliente risulta palesemente estranea al contenuto del precetto stesso e, oltre che ai principi di decoro e dignità della professione”. È ancora “costituisce un incomprensibile ossimoro l’assunto del difensore di fiducia circa la inutilità a priori della propria funzione in presenza di un quadro probatorio univoco”.

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