Giustizia

Avvocatura & pandemia: il 70% dei legali in "un'area di criticità"

La fotografia nel Rapporto Censis 2021 presentato nel corso di un evento di Cassaforens

di Francesco Machina Grifeo

Il 70% degli avvocati dichiara di trovarsi in "un'area di criticità". Addirittura la situazione è "molto critica" per un legale su tre (32,9%), mentre è "abbastanza critica" per il 39,5% dei professionisti che dichiara: "si cerca di sopravvivere nonostante il contesto". Sono alcuni dei risultati del Rapporto Censis 2021 realizzato su un campione di 14.000 avvocati dal titolo: "L'impatto della pandemia sulla professione", presentato questa mattina nel corso dell'evento "Avvocatura allo specchio" realizzato da Cassa forense.

Ancora una volta la condizione di maggiore criticità è riconducibile alle donne avvocato e a chi risiede nelle regioni meridionali (rispettivamente il 37,5% e il 43,2%). Mentre la quota più ampia di professionisti che definiscono positiva la propria condizione è nelle regioni nordorientali.

Ma a vedere nero nei prossimi due anni è il 36,9% dei professionisti; solo il 29,9% si attente un miglioramento nel corso del 2021 e del 2022. Mentre per il 33,2% la situazione rimarrà stabile. Una lieve vena di ottimismo si rintraccia fra le donne e chi vive nel Nord est del paese: nel primo caso chi confida in un prossimo miglioramento supera il 30%, nel secondo caso raggiunge il 32,2% .

Un altro dato rilevante è l'interruzione del percorso di recupero del fatturato, intrapreso negli anni 2018 e 2019, quando la quota di avvocati che aveva visto crescere il valore delle proprie prestazioni arrivava a sfiorare il 30% (29,6% nel 2019, con un reddito medio di 40.180 euro). Oggi la percentuale scende al 23,1%. Mentre il 47,1% degli intervistati ha dichiarato un calo degli introiti, situazione invariata infine per il 29,8.

Se si guarda poi alla tipologia di attività svolte, prevale il legale di "vecchia scuola" con una concentrazione del fatturato nell'attività di assistenza giudiziale (63,3%) e, a seguire, il 30,1% nella consulenza, intesa come contrattualistica, proprietà/locazioni ecc., mentre il 6,6% deriva dalle attività di mediazione e arbitrato. Non solo, prevale "in maniera inequivocabile" l'orientamento delle prestazioni a favore di una clientela locale (72,3%), mentre la parte restante del fatturato - meno di un terzo - si distribuisce in ambito regionale (14,4%), nazionale (11,2%) e internazionale (2,1%). E prevale, anche per il 2020, la quota di fatturato che proviene dalla clientela diffusa, fatta da persone fisiche (51,9%).

Per quanto concerne invece le modalità di svolgimento della prestazione: il 29,6% degli avvocati ha sperimentato in maniera esclusiva il lavoro a distanza, mentre il 43,2% ha cercato di trovare un equilibrio tra la presenza in studio e il lavoro da remoto, il 15,9% infine ha continuato ad andare in studio. Se si volge lo sguardo ai clienti, nel 2020, ben il 48,3% ha scelto di avere un rapporto interamente a distanza, a cui si affianca una quota di assistiti del 33,1% che ha adottato una modalità "ibrida" che comprende sia gli incontri presso lo studio del professionista, sia contatti on line.

E la sperimentazione relativa all'utilizzo delle tecnologie di comunicazione a distanza non è stata negativa se si pensa che il 44% "valuta positivamente tale opzione nell'ambito dei servizi legali, considerando i vantaggi in termini di tempo e non ravvisando fattori di condizionamento del risultato o della qualità del servizio". Anche se poi un altro 38,1% delle risposte sottolinea comunque "la necessità degli incontri di persona e la rilevanza di un rapporto diretto fra professionista e cliente". Del tutto negativa è invece la posizione del 17,8% del campione che mette in guardia dal rischio di incomprensioni.

Tra gli aspetti che hanno condizionato negativamente l'attività professionale durante la pandemia per i legali ci sono: la chiusura dei tribunali e la sospensione dell'attività giudiziaria (per il 34,6%), la riduzione delle entrate economiche (30,7%), le difficoltà legate all'organizzazione familiare e alla conciliazione con il lavoro (8,2%), il rapporto con gli assistiti (6,6%), le criticità riscontrate nei contatti con le amministrazioni pubbliche (5,2%).

Il 50,7% degli italiani infine vede nell'avvocato un "elemento essenziale per la tutela dei diritti" e il 40,8% lo considera "utile, sebbene non essenziale", un altro 17,4% lo considera marginale e il 6,3% perfino superfluo. Nella scelta del professionista, poi, gli italiani sembrano portati a dare maggior peso all'anzianità professionale e, in subordine, al prestigio (rispettivamente il 59,1% e il 52,3%).

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