Civile

La revocazione delle sentenze tributarie: inammissibile ove il vizio attenga a errori di diritto e/o di valutazione istruttoria

Con tale argomentazione che la S.C., Ord. n. 9230, Sez. VI Trib., del 09.12.2022, si è pronunciata su un giudizio con cui una società di riscossione lamentava il presunto errore di fatto in cui sarebbero incappati gli stessi Giudici di legittimità

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di Leonardo Maria Galieni*

Anche in ambito tributario la revocazione ex art. 395, c. 4, c.p.c. (c.d. revocazione per errore di fatto) postula che il vizio sollevato consista nella falsa percezione della realtà e/o in una svista materiale in sentenza che porti a affermare l'esistenza di un fatto incontestabilmente escluso ovvero l'inesistenza di un fatto riscontrabile dagli atti di causa.

Di talché, ove il vizio censurato attenga a un error in iudicando o procedendo ovvero di mera valutazione, il ricorso per revocazione è inammissibile.

Ed è con tale argomentazione che la S.C., Ord. n. 9230, Sez. VI Trib., del 09.12.2022, si è pronunciata su un giudizio con cui una società di riscossione lamentava il presunto errore di fatto in cui sarebbero incappati gli stessi Giudici di legittimità.

Nel provare a calarsi nei fatti di causa, per quanto noto una società impugnava la pronuncia della Corte di Cassazione per revocazione sull'assunto che la stessa avrebbe ritenuto inesistente un fatto che era invece emerso dalle risultanze processuali, scilicet: l'avvenuta notifica a mani dell'impiegato addetto alla ricezione degli atti, da cui sarebbe scaturita la legittimità degli atti riscossivi presupposti.

Orbene la Corte (quale Giudice della revocazione):

- nel raffrontare gli atti processuali con la sentenza impugnatae- nel constatare come non fosse affatto riscontrabile l'ipotizzata divergenza, tanto che la medesima pronuncia attestava come il destinatario della notifica rivestisse quella natura ("impiegato addetto alla ricezione atti") di cui la ricorrente lamentava la mancata valutazione,ha concluso per l'insussistenza del lamentato error in facto.

In aggiunta, dal momento che il motivo di revocazione - come eccepito dalla contribuente - surretiziamente lasciava trascendere una rivisitazione del giudizio in punto di diritto (nello specifico sull'art. 60 c. 1, lett. b-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 relativo al caso di notifica dell'atto a persona diversa dal destinatario) - il che NON è permesso nel giudizio di revocazione stante la natura di giudizio "di fatto" - la Corte ha censurato debitamente anche tale profilo.

D'altro canto, partendo dalla considerazione che "il combinato disposto dell'art. 391 bis e dell'art. 395, n. 4, c.p.c. non prevede comunque come causa di revocazione della sentenza di cassazione l'errore di diritto, sostanziale o processuale", la stessa ha così condiviso l'assunto per cui "non appare irrazionale la scelta del legislatore di riconoscere ai motivi di revocazione una propria specifica funzione, escludendo gli errori giuridici e quelli di giudizio o valutazione".

Di lì, nel dichiarare inammissibile il ricorso della società riscossione, la S.C. ha inflitto alla medesima una "sonora" condanna in punto di spese processuali a favore della contribuente.

La vicenda esaminata dalla Corte, ben si presta quale spunto d'interesse per soffermarsi sull'istituto della revocazione, così come risultante dal connubio tra la disciplina processual-civilistica e quella approntata ad hoc nel Codice del Processo Tributario (rectius artt. 64,65,66, e 67 del D.Lgs. n. 546/1992)

Nel premettere come l'attuale tenore dell'art. 64 - rubricato "sentenze revocabili e motivi di revocazione" - è il frutto di un sapiente intervento ex D.Lgs. n. 156/2015 volto a rimodellare una formulazione normativa che brillava tutt'altro che per chiarezza, tanto da destare una serie di interrogativi , appare opportuno partire dalla natura di tale mezzo di impugnazione.A voler azzardare, ma neanche più di tanto, la revocazione presenta dei tratti ibridi in quanto:

- se da un lato è un mezzo di impugnazione sussidiario rispetto ad altri (come accade nel raffronto con l'appello),al contempo

- presenta un carattere eccezionale giacché, come noto e a determinate condizioni, può essere proposto anche laddove la pronuncia che si vuole censurare sia res iudicata e quindi astrattamente non più impugnabile.

Inquadrata la natura, occorre dunque comprenderne la finalità.

Ebbene, così come nel processo ordinario, anche in quello tributario la revocazione ha la funzione di sostituire la sentenza impugnata - considerata "ingiusta" - con un'altra che dovrà rimediare all'errore di fatto.

Pertanto, già da tale incipit introduttivo si può comprendere come l'istituto della revocazione, lungi dall'assumere le vesti di un rimedio in diritto (come anche per l'appello) ovvero di legittimità (come per il giudizio di Cassazione), rappresenta quel mezzo con cui far valere l'erroneità della sentenza al ricorrere di ipotesi tassative.

Di lì, la denominazione di mezzo di impugnazione a critica vincolata.

Invero, nel rinviare all'art. 395 c.p.c. (anche giusta il disposto di cui all'art. 1, c. 2, del D.Lgs. n. 546/1992), la disciplina tributaria prevede 6 ipotesi tassative.

Più precisamente:

• se la sentenza è l'effetto del dolo di una delle parti in danno dell'altra;

• se si è giudicato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo la sentenza oppure che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate tali prima della sentenza;

• se dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario;

• se la sentenza è l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa.

Questo errore è rilevabile quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e - tanto nell'uno quanto nell'altro caso - se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare.

Al riguardo, la recente giurisprudenza di legittimità ha espresso il principio per cui tale ipotesi "…NON può riguardare la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche atteso che, mentre l'art. 395, primo comma, n. 4 cod. proc. civ. concerne l'erronea presupposizione dell'esistenza o dell'inesistenza di fatti considerati nella loro dimensione storica di spazio e di tempo, la falsa percezione di norme che contemplino la rilevanza giuridica di quegli stessi fatti integra gli estremi dell'error juris sia nel caso di obliterazione delle norme medesime, riconducibile all'ipotesi della falsa applicazione, sia nel caso di distorsione della loro effettiva portata, – riconducibile all'ipotesi della violazione (cfr. Cass., Trib., n. 29145 del 06/10/2022);

• se la sentenza è contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione;

• se la sentenza è effetto del dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato.

A fronte di tali motivi, è sorta la dicotomia tra:

- revocazione ordinaria, ove si eccepiscono i c.d. vizi "palesi" (ex n. 4 e 5 dell'art. 395 c.p.c.,) e quindi relativi a fatti o giudicati già noti o conoscibili al momento della sentenzae-revocazione straordinaria, ove si eccepiscano i c.d. vizi "occulti" della sentenza (ex nn. 1, 2, 3 e 6 dell'art. 395 c.p.c.) non conoscibili al momento in cui la stessa veniva emessa.

Al di là del noto limite del giudicato tra revocazione ordinaria e straordinaria, è forse in sede tributaria che tale distinguo assume un impatto ancor più significativo sul versante processuale.

Nello specifico:

- sentenza C.G.T. di I° grado -

In caso di revocazione della sentenza di primo grado, come può desumersi dal cit. art. 64 del Codice del processo tributario:

-se quella "straordinaria" è sempre ammessa, purché il termine di impugnazione ordinario (e quindi per l'appello) sia spirato e i vizi si manifestino ex post di converso

- quella "ordinaria" NON lo è in quanto la sua natura (limite del giudicato) fa si che tali vizi possano esser sollevati solo con l'appello, che prevale.

In buona sostanza, allorché pendano i termini per l'appello, l'azione revocatoria (tanto ordinaria che straordinaria) NON può essere esperita stante la sua natura sussidiaria rispetto al primo.

-sentenza di C.G.T. di II° grado -

A dispetto di quanto si verifica nel I° grado, per l'impugnazione della pronuncia di II° grado non sussiste tra revocazione e ricorso in cassazione quel legame di dipendenza: semmai, vi è un rapporto di complementarietà.

Chiarendo meglio, talché:

- il ricorso per Cassazione può essere promosso solo per vizi di legittimità (error in procedendo e error in iudicando ex art. 360 c.p.c.)mentre- il giudizio in revocazione solo per questioni di fatto (latu sensu intese ex art. 395 c.p.c.) è evidente che gli stessi viaggino su due binari paralleli, non confliggenti, tanto da essere entrambi proponibili.

A tal riguardo l'art. 398 c.p.c., nel riconoscere la contemporanea pendenza dei due giudizi, prevede come unico limite la possibilità per le parti di chiedere la sospensione del termine per proporre il ricorso per Cassazione o del giudizio di Cassazione stesso. Sospensione che, si badi bene, non opera "ad nutum", bensì soltanto a seguito del provvedimento del Giudice della revocazione e con efficacia dalla relativa comunicazione (a composizione di un contrasto giurisprudenziale sorto sul punto cfr. Cass. civ., Sez. Un., n. 21874/2019).

- Sentenza di Cassazione -

In deroga al principio dell'intangibilità delle pronunce di Cassazione (escluse quelle di rinvio per la parte che ne forma oggetto), l'ordinamento ammette la proponibilità dell'istanza di revocazione.

Più precisamente:

- da un lato, l'art. 391-bis c.p.c., consente la revocazione "ordinaria" in relazione all'art. 395, c. 1, n. 4, c.p.c.;

- dall'altro, l'art. 391-ter c.p.c., prevede quella "straordinaria" avverso le pronunce che abbiano deciso la causa nel merito.

In tal senso, degna di nota è la circostanza per cui, nel caso di revocazione per errore di fatto, la pendenza del termine per la revocazione della sentenza di legittimità non osta al passaggio in giudicato della sentenza stessa, come espressamente previsto ex art. 391-bis, c. 5, c.p.c.

Dopo aver passato in rassegna le modalità con cui la revocazione può applicarsi nei tre gradi del giudizio tributario, appare d'interesse riflettere su un ulteriore effetto processuale - per certi versi dirompente - che si collega alla proposizione di tale rimedio.

Si è detto sin'ora che tale mezzo nel porsi:

- in un rapporto di sussidiarietà con l'appello

e

- in un rapporto di complementarietà con il ricorso per Cassazione deve ineludibilmente tener conto delle peculiarità di tali mezzi d'impugnazione.

Tra questi, senza ombra di dubbio, rientra anche il termine di presentazione fissato dalla Legge, e cioè: 6 mesi dal deposito della pronuncia (c.d. termine lungo) ovvero 60 giorni in caso di notifica della stessa (c.d. termine breve).

Ebbene, la notifica del ricorso in revocazione, al di là di instaurare un giudizio ad hoc, produce come ulteriore effetto processuale la decorrenza del termine breve per la presentazione dell'appello ovvero del ricorso in cassazione in virtù del principio di equipollenza della notifica del ricorso per revocazione alla notifica della sentenza.

In buona sostanza, nell'ipotesi in cui il contribuente presenti ricorso per la revocazione dela sentenza della C.G.T. di primo grado, ove l'Ufficio intenda appellarla il dies a quo non decorrerà dal deposito della medesima (c.d. termine lungo pari a 6 mesi), bensì dalla notifica del ricorso per revocazione da parte del contribuente (c.d. termine breve) in quanto "presupponendo l'esercizio dell' impugnazione la conoscenza della sentenza impugnata ricorre, invero, esattamente la situazione di notum facere realizzata dalla notificazione della sentenza, cui allude l'art. 326 c." (cfr. ex multis Cass., Ord. n. 15209/2021; Cass., Sez. V, n. 24886 del 06.11.2020).

Di rimando, stesso discorso varrà "a parti inverse".

Nell'aver tracciato una panoramica sull'istituto de quo, da quel che è emerso si ritiene che lo stesso, pur ricadendo in ambito tributario sotto la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 546/1992, al contempo risenta dell'influenza processual-civilistica anche in virtù del rimando di cui all'art. 1, c. 2, del D.Lgs. n. 546/1992 per cui "I giudici tributari applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile".

Ed è per tale ragione che, stante la matrice comune dell'istituto, da tale raffronto non si può prescindere.

a cura dell' Avv. Leonardo Maria Galieni, contenzioso tributario, Studio Tributario Associato Mainardi Tasini - Pesaro.

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