Responsabilità

Caduta nella buca, la responsabilità dell'ente tra caso fortuito e condotta colposa del danneggiato

La giurisprudenza della Cassazione si divide sul valore da attribuire alla disattenzione della vittima

di Giuseppe Sileci

Se il pedone se ne va a spasso senza prestare la minima attenzione a dove mette i piedi, e dunque se non si avvede della presenza di una anomalia ben visibile nella quale inciampa e cade, dei danni dovrà risponderne l’ente proprietario della strada ai sensi dell’art. 2051 c.c., il quale non potrà invocare l’esimente del caso fortuito; la disattenzione del danneggiato potrà solo incidere sull’ammontare del risarcimento a mente del primo comma dell’art. 1227 c.c. ovvero potrà rilevare ai sensi del secondo comma dell’art. 1227 c.c., non potendo il pedone distratto ottenere il risarcimento di quei danni che avrebbe potuto evitare usando la ordinaria diligenza.

Questo principio è stato recentemente affermato dalla Corte di Cassazione (sentenza 20.11.2020 n. 26524) accogliendo il ricorso proposto da un pedone che era caduto a causa di una anomalia del fondo stradale lunga circa due metri e profonda venti centimetri e la cui domanda era stata rigettata in entrambi i gradi dinanzi al giudice di merito.

Appena un mese dopo sempre la Suprema Corte (ordinanza 23.12.2020 n. 29435)  ha dovuto decidere il ricorso di un pedone che era caduto a causa della presenza di un dislivello nella pavimentazione di una centrale piazza di una città del nord Italia: in questo caso la sentenza della Corte d’appello, che aveva riformato la favorevole decisione del Tribunale, è stata confermata dagli Ermellini alla luce del principio che “quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso”.

E poiché era stato accertato che il dislivello aveva un’altezza di circa 12 cm e che la differenza cromatica tra la parte superiore e quella inferiore rendeva ben visibile il detto dislivello, il nesso eziologico tra la anomalia e la caduta era stato interrotto dal caso fortuito, integrato dalla disattenzione del pedone.

Due pesi e due misure che in un caso hanno premiato l’utente della strada maldestro e distratto riconoscendogli il diritto al risarcimento (anche se sull’ammontare dello stesso potrà influire in qualche modo la sua colpevole disattenzione) ed il cui costo ricadrà sulla collettività.

Ma non è tanto questa conseguenza a destare perplessità, anche se probabilmente non la penserà allo stesso modo il pedone la cui distrazione sia stata sanzionata con il rigetto della domanda, quanto una restrittiva definizione di caso fortuito, quando questo consiste nel fatto colposo del medesimo danneggiato, che mal si concilia con la natura oggettiva della responsabilità predicata dall’art. 2051 c.c..

Sempre la Corte di Cassazione (ordinanza 17.01.2020 n. 858) ha recentemente compendiato i principi enunciati nel tempo in materia di responsabilità da cose in custodia ed ha ribadito che l’art. 2051 c.c. individua un criterio di imputazione della responsabilità che prescinde da qualunque connotato di colpa (così sottolineandone la natura oggettiva) e che il caso fortuito, quando è rappresentato dalla condotta del danneggiato,  “è connotato dall'esclusiva efficienza causale nella produzione dell'evento; a tal fine, la condotta del danneggiato che entri in interazione con la cosa si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull'evento dannoso, in applicazione - anche ufficiosa - dell'art. 1227 c.c., comma 1; e deve essere valutata tenendo anche conto del dovere generale di ragionevole cautela riconducibile al principio di solidarietà espresso dall'art. 2 Cost.. Pertanto, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte dello stesso danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando lo stesso comportamento, benché astrattamente prevedibile, sia da escludere come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale".

Giova, a questo punto, dare brevemente conto di un precedente della Suprema Corte – peraltro espressamente richiamato dal Cass. n. 858/2020 -  per meglio comprendere cosa debba intendersi quando si afferma che “il caso fortuito è ciò che non può prevedersi”: definizione adoperata anche da Cass. n. 26524/2020 che ha affermato – come detto – la inidoneità del fatto colposo del medesimo danneggiato ad interrompere il nesso di causalità tra lo stato della cosa ed il danno.

Infatti ha avuto modo di chiarire Cass. 01.02.2018 n. 2482 che la imprevedibilità è un concetto relativo e che è indispensabile distinguere “a seconda che con la relazione causale tra la cosa e danno interferisca una diversa relazione causale tra la condotta umana del danneggiato ed il danno stesso oppure no”, precisando che “nel primo caso, cioè compresenza di una condotta del danneggiato, occorre osservare che, una volta delibato come sussistente il nesso causale tra cosa e danno, subentra, siccome applicabile anche alla responsabilità extracontrattuale in virtù del richiamo di cui all’art. 2056 c.c., la regola generale del primo comma dell’art. 1227 c.c., in ordine al concorso del fatto colposo del danneggiato”.

E fin qui si può dire che vi sia assoluta sintonia tra la recente pronuncia della Suprema Corte oggetto di questo breve commento ed i precedenti della stessa Corte appena richiamati.

Il ragionamento si divarica, prendendo strade diametralmente opposte circa le conseguenze, quando la Cassazione con la sentenza in commento afferma che il fatto colposo del medesimo danneggiato può influire sulla quantificazione del danno, nel senso che l’ammontare del risarcimento può essere ridotto in misura proporzionale all’apporto colposo, ma non può elevarsi al rango di caso fortuito, richiedendosi che la condotta del danneggiato “si connoti per oggettive caratteristiche di imprevedibilità ed imprevenibilità che valgano a determinare una definitiva cesura nella serie causale riconducibile alla cosa”: e poiché la caduta a causa di una buca non è imprevedibile (rientrando nel notorio che la buca possa fare perdere l’equilibrio) e neppure imprevenibile (ben potendosi – attraverso la attività di vigilanza e manutenzione – eliminare l’anomalia o comunque segnalarla), la condotta colposa del danneggiato non è idonea ad interrompere il nesso causale, “che è manifestamente insito nel fatto stesso che la caduta sia originata dalla (prevedibile e prevenibile) interazione fra la condizione pericolosa della cosa e l’agire umano”.

Di diverso avviso è quella giurisprudenza della Suprema Corte (n. 2482/2018; n. 858/2020; n. 29435/2020) che – invocando il dovere di solidarietà imposto dall’art. 2 Cost. - invece stigmatizza la colposa disattenzione del danneggiato affermando che “se è vero che il riconoscimento della natura oggettiva del criterio di imputazione della responsabilità si fonda sul dovere di precauzione imposto al titolare della signoria sulla cosa custodita in funzione di prevenzione dai danni prevedibili a chi con quella entri in contatto, è altrettanto vero che l’imposizione di un dovere di cautela in capo a chi entri in contatto con la cosa risponde anch’essa a criteri di ragionevole probabilità e quindi di causalità adeguata” (Cass. n. 2482/2018).

Si tratta in definitiva di bilanciare due contrapposte esigenze, e cioè da un lato la tutela della salute e dall’altro la necessità di non accollare alla collettività o comunque immotivatamente al prossimo le conseguenze dannose, soprattutto di natura economica, che derivino dalla volontaria e consapevole esposizione del medesimo danneggiato al rischio di danno alla persona.

Pertanto, “quando manchi l’intrinseca pericolosità della cosa e le esatte condizioni di queste siano percepibili in quanto tale, ove la situazione comunque ingeneratasi sia superabile mediante l’adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, va allora escluso che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell’evento, e ritenuto integrato il caso fortuito” (Cass. n. 2482/2018).

Detto altrimenti, pur essendo sempre prevedibile come possibile così da richiedere al custode di attivarsi per neutralizzarne le conseguenze, la disattenzione cessa di avere i caratteri della prevedibilità ed interrompe il nesso causale quando è la conseguenza della “inottemperanza ad un invece prevedibile dovere di cautela da parte del danneggiato in rapporto alle circostanze del caso concreto” (Cass. n. 2482/2018).

In definitiva, si potrebbe sinteticamente dire che “chi è causa del proprio mal, pianga se stesso”.

In effetti, però, la tesi che valorizza il comportamento colposo del medesimo danneggiato, elevandolo al rango di caso fortuito idoneo ad interrompere il nesso di causalità a prescindere da ciò che il custode avrebbe dovuto fare e non ha fatto per prevenirlo, sembra più aderente alla predicata natura oggettiva della responsabilità da cose in custodia.

Ed infatti, aderendo al principio enunciato dalla sentenza in esame, si ha che il custode – quando concorra a causare l’evento sia la cosa sia l’agire umano del medesimo danneggiato – risponderà se non dimostra di non avere potuto prevedere e prevenire l’evento: ma questa indagine sembra spostarsi dal piano - oggettivo - del fortuito su quello – soggettivo – della colpevolezza perché in sostanza il custode si libererà dalla responsabilità solo provando di avere fatto tutto quanto fosse nelle sue possibilità e l’evento sia ugualmente accaduto perché nel nesso causale si è inserito un fatto (l’azione del medesimo danneggiato) del tutto eccezionale, ossia del tutto imprevedibile ed imprevenibile.

E poiché di regola la presenza di una buca sulla strada costituisce anomalia che deve fare ragionevolmente prevedere il rischio che qualcuno, anche per distrazione, possa inciamparvi ed inoltre è una pericolosa alterazione dello stato dei luoghi che può essere neutralizzata o eliminandola o segnalandola, il custode risponderà comunque del danno senza poter invocare “a sua discolpa” il fatto del medesimo danneggiato.

Ma questa impostazione non è del tutto convincente anche per un’altra ragione.

La posizione processuale del danneggiato è stata già alleggerita dall’ordinamento attraverso una norma (l’art. 2051 c.c.) che, in deroga ai principi generali in materia di responsabilità extracontrattuale, lo esonera dall’onere di dimostrare il dolo o la colpa di colui che è in relazione con la cosa, dovendo unicamente allegare e provare il nesso di causalità.

Specularmente, è più gravosa la posizione processuale del custode, il quale dovrà dimostrare il caso fortuito: ed è appena il caso di osservare che la responsabilità del custode sarà affermata anche se dimostri di avere esercitato il controllo sulla cosa con la massima diligenza ma non riesca a dimostrare che nella relazione tra la detta cosa e l’evento dannoso si è inserito un fatto estraneo alla sua sfera di controllo idoneo ad interrompere il nesso di causalità, rimanendo a carico del custode la causa ignota (Cass. 03.09.2010 n. 19045).

Se il fatto estraneo sarà provato e se questo consisterà nella ingiustificabile distrazione del medesimo danneggiato (tanto più ingiustificabile quanto più la situazione di pericolo era avvistabile), si rischia di appesantire oltre il limite della ragionevolezza la posizione del custode negando alla disattenzione della stessa vittima la attitudine ad integrare il caso fortuito e declassandola a circostanza rilevante solo ai sensi dell’art. 1227 c.c. per il semplice fatto che la disattenzione è normalmente prevedibile e prevenibile.

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