Caporalato, prova più semplice e applicazione in tutti i settori
In materia di caporalato, sebbene la legge 199/2016 abbia lasciato immutato il titolo dell'articolo 603-bis del Cp («Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro») ora l'endiadi appare più giustificata e la nuova norma traccia una netta linea di demarcazione tra le due condotte, ossia tra i due segmenti del fenomeno collocati, rispettivamente, sul versante della domanda e dell'offerta di lavoro nero.
Le modifiche all'articolo 603-bis del codice penale - Da questo punto di vista un ulteriore ausilio giunge all'interprete dal titolo della legge che ha novellato il testo dell'articolo 603-bis del Cp recante «Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo».
Un fenomeno non esclusivo del settore agricolo - La percezione comune, infatti, è fortemente orientata dalle immagini di un caporalato, per così dire,“di campagna” in cui lavoratori – spesso extracomunitari – sono avviati in condizioni penose al lavoro nei campi o nelle strutture della piccola industria del comparto dell'allevamento. Ma è evidente che il problema si pone con altrettanta gravità nel settore delle manifatture tessili, in cui operano vere e proprie organizzazioni di sfruttamento su base, anche, etnica (il comprensorio di Prato e non solo).
In questi casi la distanza della nuova fattispecie con quella della riduzione in schiavitù (articolo 600 del Cp) è davvero molto ravvicinata e v'è da chiedersi se la configurazione appena approntata dell'articolo 603-bis del Cp offra una modulazione sanzionatoria adeguata ai casi di maggiore gravità in cui è corretto operino i più gravi reati di cui all'articolo 600 o 601 del Cp (cfr. Cassazione n. 10426/2015).
Il reclutamento - La nuova norma distingue nettamente, come dicevamo, i due segmenti del mercato illegale del lavoro: quello della domanda e quello dell'offerta di prestazioni lavorative illegali. Sul versante dell’offerta l'articolo 603-bis del Cp rimaneggiato nel 2016 punisce «con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato, chiunque … recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori».
La nozione di reclutamento è chiara e trova esaustivi riferimenti nella giurisprudenza (cfr. Cassazione n.14591/2014) e in un'ampia riflessione dottrinale (tra tutti, S. Fiore, «(Dignità degli) Uomini e (punizione dei) Caporali. Il nuovo delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro», in Aa. Vv., «Scritti in onore di Alfonso Stile», Napoli 2014). Quel che appare, invece, profondamente mutata è la cornice descrittiva della condotta punita.
La sinossi tra i testi che accompagna questa riflessione rende assolutamente evidente la drastica semplificazione che il legislatore del 2016 ha inteso introdurre.
Innanzitutto è venuta meno la necessità che il reclutamento avvenga « mediante violenza, minaccia, o intimidazione». Questo costituiva un elemento costitutivo della precedente formulazione dell'articolo 603-bis del Cp («chiunque svolga un'attività organizzata di intermediazione, reclutando manodopera o organizzandone l'attività lavorativa caratterizzata da sfruttamento, mediante violenza, minaccia, o intimidazione») particolarmente complesso da accertare. A esso si è sostituita, con maggiore ragionevolezza, un'apposita aggravante secondo cui «se i fatti sono commessi mediante violenza o minaccia, si applica la pena della reclusione da cinque a otto anni e la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato».
Il complessivo alleggerimento descrittivo del reato comporta, in modo automatico, un'intuitiva agevolazione dell'onere probatorio posto a carico dell'accusa. La precedente condotta di reclutamento della manodopera era, come dire, diluita in una miscela di ingredienti che rendeva spesso arduo la prova del reato.
Un conto è punire oggi colui che recluta la manodopera «allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori», altro era pretendere, con il vecchio conio, che fosse sanzionato solo colui che «svolga un'attività organizzata di intermediazione, reclutando manodopera o organizzandone l'attività lavorativa caratterizzata da sfruttamento, mediante violenza, minaccia, o intimidazione, approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori». Il solo evocare la nozione di «attività organizzata» rimandava alle analoghe complicazioni sorte nell'interpretazione dell'articolo 260 Codice ambiente in materia di traffico illecito di rifiuti.
Mentre prima il reclutamento era solo una delle modalità della condotta di intermediazione (per giunta organizzata), oggi il procacciamento dei lavoratori rappresenta il nocciolo duro della fattispecie. È da ritenere che il nuovo articolo del Cp annoveri nell'ambito del reclutamento tutte le attività che precedentemente erano qualificate come di intermediazione, dovendosi accedere a una dimensione lata, ovvero estesa, di reclutamento. Se, sotto l'assetto abrogato, l'intermediazione era stata efficacemente descritta come «l'insieme delle attività di facilitazione dell'incontro tra domanda ed offerta di lavoro, siano esse esercitate previo rilascio di apposita autorizzazione da parte dell'autorità, ovvero solamente di fatto» (cfr. A. Giuliani, «I reati in materia di “caporalato”, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro», Padova, 2015, 143), dopo la legge 199/2016 è da concludere che le stesse condotte integrino comunque la nozione di reclutamento e, ove collocate su segmenti marginali rispetto al mero procacciamento materiale dei lavoratori, diano luogo ad ipotesi di concorso nel reato ex articolo 110 del Cp.
In questo senso depone lo stesso articolo 603-bis, comma 1 n. 2), del Cp che sanziona chi «utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l'attività di intermediazione di cui al numero 1), sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno».
L'abbandono in prima battuta del termine «intermediazione» ha, comunque, il pregio indubbio di mettere da parte l'equivocità di un approccio «evocativo di uno schema civilistico (articolo 1754 del Cc) o giuslavoristico (articolo 4, comma 1, lettera c) del Dlgs 276/2003) (che) si rivela(va) fuorviante, perché la dimensione dello sfruttamento sistemico esclude che siamo di fronte ad uno schema civilistico apprezzabile» (così A. Di Martino, «“Caporalato” e repressione penale: appunti su una correlazione (troppo) scontata», in «Diritto penale contemporaneo», 2015, 2, 116). Questo assorbimento della condotta descritta dall'articolo 603-bis del Cp del 2011 nella nuova cornice dell'articolo 603-bis del Cp del 2016 avviene proprio al fine di tracciare in modo netto i confini ambigui di un'attività di intermediazione illegale nel mondo del lavoro distinguendoli da quelli di una ricerca della manodopera «allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori».
Lo spostamento delle condizioni di sfruttamento sul versante dell'elemento soggettivo del reato offre l'intuibile vantaggio di arretrare, e di molto, la soglia probatoria indispensabile a dimostrare la commissione del reato avvicinandola a quella propria di altre fattispecie (ad esempio, l'articolo 270-quater del Cp in tema di terrorismo).