Penale

Carcere duro, il magistrato di sorveglianza non può sindacare l’organizzazione dei servizi

Il diritto all’igiene personale dei detenuti è “organizzato” dall’amministrazione penitenziaria le cui scelte sono soggette alla giurisdizione solo se incidono su posizioni soggettive costituzionalmente garantite

di Paola Rossi

Sussiste la giurisdizione del tribunale di sorveglianza sulle disposizioni organizzative dell’aministrazione penitenziaria solo quando queste sono atte a incidere sull’esplicazione in concreto dei diritti soggettivi dei detenuti. Non sussiste invece la legittimità del vaglio del giudice sulle scelte concrete, relative alle modalità di esercizio di tali diritti, effettuate dall’amministrazione. Ciò costituirebbe un’illegittima ingerenza nelle facoltà di scelta con cui si esprime in concreto il potere amministrativo. La tutela della dignità umana è sicuramente assicurata dall’ordinamento anche alla popolazione detenuta e certamente si esplica anche con il diritto garantito all’igiene personale che va contornato solo dalle limitazioni che si rendano necessarie per tenere conto dello stato di reclusione e del suo specifico regime. E anche a chi soggiace alle regole dure dell’articolo 41 bis dell’Ordinamento penitenziario ha diritto al rispetto di ogni diritto soggettivo della persona a meno delle imprescindibili limitazioni connesse allo sconto della pena. E, la pena non può mai perdere il suo scopo principale che è quello della rieducazione del condannato.

La Cassazione penale ha deciso un caso sul servizio di barberia all’interno del braccio carcerario sottoposto al regime cosiddetto del carcere duro. La decisione n. 12362/2024 boccia l’ordinanza del giudice di sorveglianza che su reclamo di un detenuto aveva dettato disposizioni su servizi, utensili e arredi da offrire all’uso destinato allo svolgimento del compito interno di barbiere e alla prestazione del servizio in generale.

Il fatto che la decisione si occupi di decisioni di dettaglio pratico all’interno della vita carceraria ha costituito per la Cassazione un’illegittima interferenza del potere giurisdizionale in quello amministrativo. Perciò l’annullamento è stato disposto senza rinvio in quanto la decisione è stata giudicata in radice “fuori fuoco”.

La Cassazione coglie però l’occasione di affermare la linea rossa tra giurisdizione e amministrazione in materia di diritti soggettivi. E fondamentalmente chiarisce che il giudice è legittimato giudicare le scelte amministrative quando seppur nell’apparenza siano norme di puro dettaglio in realtà incidono i diritti soggettivi impedendone il rispetto e il godimento.

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