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CARRIED INTEREST: La conversione di azioni ed il requisito dell'investimento minimo nelle società

L'intervento dell'Amministrazione Finanziaria approfondisce la prima condizione dettata dall'art. 60 del D.L. n. 50/2017 (da ora in avanti il "Decreto") - requisito del cosiddetto investimento minimo - ai fini della qualificazione ope legis dei suddetti proventi tra i redditi di capitale.

di Federico Vinciguerra e Massimo Milcovich*

L'Agenzia delle Entrate con risposta n. 654/2021 è tornata ad esprimersi in materia di carried interest, ovvero gli incentivi derivanti dalla sottoscrizione di determinati strumenti finanziari con diritti patrimoniali rafforzati che riconoscono ai possessori (generalmente manager e dipendenti) una quota di utili più che proporzionale agli investimenti (eccedente quella riconosciuta agli altri investitori) a fronte dell'assenza di diritti amministrativi, dell'esistenza di limiti temporanei alla trasferibilità e della postergazione nella distribuzione degli utili.

In particolare, l'intervento dell'Amministrazione Finanziaria approfondisce la prima condizione dettata dall'art. 60 del D.L. n. 50/2017 (da ora in avanti il "Decreto") - requisito del cosiddetto investimento minimo - ai fini della qualificazione ope legis dei suddetti proventi tra i redditi di capitale.

A tal proposito, infatti, la norma prescrive che l'impegno complessivo, in termini di investimento, da parte di dipendenti e manager comporti un esborso monetario effettivo almeno pari all'1% del commitment dell'OICR (in fondi d'investimento) o se trattasi di società/enti del patrimonio netto.

Concentrandosi su quest'ultima fattispecie, l'aggregato da tenere in considerazione ai fini della corretta commisurazione dell'investimento minimo è il patrimonio netto della società che, secondo la circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 25/2017, deve essere calcolato sulla base dei valori correnti desumibili da specifiche perizie di stima, computando anche il commitment dei manager e/o dipendenti. La designazione del patrimonio netto effettivo in luogo del patrimonio netto contabile (spesso tali valori non coincidono per via di attività/passività non espresse in bilancio) risulterebbe adeguata a garantire il corretto apprezzamento dell'investimento minimo.

È stato, altresì, precisato che il parametro del patrimonio netto effettivo si considera tanto nell'ipotesi in cui l'acquisto della partecipazione, riferibile ad azioni, quote o strumenti finanziari dotati di diritti patrimoniali rafforzati, avvenga in sede di aumento di capitale, tanto nella circostanza in cui si tratti di acquisti da precedenti possessori.

Ogni manager, dipendente della società dovrà effettuare la summenzionata verifica considerando il proprio investimento unitamente a quelli compiuti dagli altri soggetti che ricoprono le medesime posizioni. Non solo, ai sensi dell'art. 60 comma 3 del Decreto, bisognerà conteggiare anche le sottoscrizioni in azioni, quote o altri strumenti finanziari sprovvisti di diritti patrimoniali rafforzati (detenuti da parte di tutti i dipendenti, amministratori titolari di diritti patrimoniali rafforzati).

Spesso e volentieri, il calcolo del rispetto del requisito dell'investimento minimo del Decreto risulta veramente complesso da effettuare per il management aziendale per le motivazioni più disparate (difficoltà a reperire informazioni sugli investimenti, aziende di grandi dimensioni con numerosi manager e/o dipendenti), pertanto si riconosce la possibilità, attraverso determinate clausole, di incaricare direttamente la società senza che tali patti possano comunque determinare il venir meno della responsabilità di manager e dipendenti nei confronti dell'Amministrazione Finanziaria.

Il quesito posto dall'istante si concentra sul trattamento fiscale da attribuire ai proventi, in termini di extra rendimenti, rivenienti dalla conversione di azioni di una categoria, in azioni di altra categoria (dotate di diritti patrimoniali rafforzati) sulla base di un rapporto di cambio paritario, senza previsione di alcun conguaglio in denaro.

L'Agenzia delle Entrate con una lucida disamina disconosce il requisito dell'investimento minimo alla casistica in oggetto, soffermandosi sul concetto di esborso monetario effettivo.

Nella conversione di azioni, così come prospettata, stante il mantenimento dei valori azionari, non si riscontra alcun esborso effettivo da parte dei manager, pertanto la loro posizione in termini di alignment rispetto ad altri investitori (intesa come interesse alla remunerazione dell'investimento ed esposizione al rischio di perdita del capitale investito) risulterebbe inalterata pre e post evento conversione.

È indubbio, tuttavia, considerare che in sede di sottoscrizione originaria delle azioni da parte del management aziendale un esborso effettivo, così come previsto dalla disposizione normativa, vi sia stato, nonostante la valutazione richiesta dal Decreto debba intendersi circoscritta allo "sforzo monetario" per l'acquisto delle azioni con diritti patrimoniali rafforzati.

Sebbene nella specifica fattispecie l'esborso effettivo per l'acquisto delle azioni originarie risulti, comunque, inferiore alla soglia richiesta dalla norma in esame, l'Agenzia delle Entrate, dal tenore letterale della risposta fornita all'Istante, non sembra precludere - a parere di chi scrive - ad un'analisi ad ampio spettro.

La domanda, pertanto, a margine delle osservazioni fornite dall'Agenzia delle Entrate è la seguente: sarebbe cambiata la valutazione del caso (conversione di azioni da una categoria ad un'altra), se le azioni acquistate ab origine dai manager avessero comportato un esborso effettivo almeno pari all'1% del patrimonio netto (valutato a valori correnti) della società?

*a cura di Federico Vinciguerra, Dottore Commercialista e Massimo Milcovich, Dottore Commercialista , EY

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