Penale

Cassazione, massima severità per il truffatore degli anziani

La corte di legittimtà, sentenza n. 10176, ha dichiarato inammissibili cinque ricorsi contro le misure cautelari

immagine non disponibile

di Giulio Benedetti

Per molto tempo l'azione penale nei confronti del reato di truffa (articolo 640 c.p.) è stato sottostimata nella pratica giudiziaria in quanto, erroneamente, si è ritenuto il reato di scarso rilevo sociale, spesso interpretato come una riproposizione, in sede penale, di questioni attinenti all'inadempimento contrattuale. Pertanto, sono state ritenute più "performanti", e maggiormente approvate dalla comunità, inchieste svolte in materie penali diverse. Tuttavia, recentemente, è diventato assai preoccupante il ripetuto compimento di truffe, in danno degli anziani e all'interno delle loro abitazioni, da sedicenti incaricati del gas. Tali soggetti ingannano gli anziani, approfittando della loro solitudine e del loro disagio sociale, aumentati dalla pandemia, e vendono a caro prezzo strumenti per prevenire le fughe di gas. Il legislatore per combattere, anche, tale triste fenomeno ha introdotto un'aggravante (articolo 61 n. 5 c.p.) nei confronti di chi compie il reato approfittando dell'età della persona offesa, che ostacola la sua difesa: in tale caso la pena della reclusione, per il reato di truffa (art. 640 c.p.), è maggiore e consente l'irrogazione di misure cautelari, ed il reato è procedibile d'ufficio. In tale contesto la Corte di Cassazione (sent. n. 10176/2021) ha adottato un criterio di massima severità nei confronti dei soggetti che truffano gli anziani.

Il caso esaminato
Nel caso trattato la Corte ha dichiarato inammissibili (condannando ciascuno a pagare euro 2.000 alla cassa delle ammende) 5 ricorsi avverso le misure cautelari (una in carcere e 4 agli arresti domiciliari) adottate dal Tribunale nei confronti di soggetti che avevano compiuto il predetto reato. I ricorrenti si erano fatti consegnare da anziani una somma sproporzionata (euro 7.000 rispetto al reale valore del bene pari ad euro 90,00), per l'acquisto di dispositivi di sicurezza per prevenire le fughe di gas. La dichiarazione di inammissibilità, per tre ricorrenti, consegue alla tardività della presentazione dei ricorsi, oltre il termine stabilito dall'articolo 311, comma 3, c.p.p., nella cancelleria del giudice che aveva emesso il provvedimento. Inoltre, il giudice di legittimità, oltre a rilevare la genericità dei motivi dei ricorsi, affermava che due ricorrenti si recavano nelle abitazioni degli anziani, dove vendevano loro i predetti apparecchi ad un prezzo sproporzionato, dotati dei documenti e del lettore POS, al fine di ottenere l'immediato accredito sul conto corrente della somma, a loro fornito dalla ditta individuale di uno degli imputati. La Corte di Cassazione ha sostenuto di potere confermare la valutazione sulla colpevolezza degli indagati, con una ricostruzione dei fatti che indica, nei loro confronti, uno scrutinio di responsabilità oltre ad ogni ragionevole dubbio. Per i due ricorrenti la sussistenza delle esigenze cautelari è stata fondata, sui precedenti penali, sul pericolo di recidiva, desumibile dalla gravità della truffa, compiuta in maniera ripetuta, con particolare callidità, in danno di vittime molto anziane.

Il pericolo di reiterazione
La Corte di Cassazione ha condiviso l'affermazione del Tribunale sul pericolo di reiterazione del reato che sussiste, secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità (sent. n. 44946/2016), sulla base di un giudizio, basato sull'articolo 133 c.p., di reiterazione del reato fondato, oltre alla realtà emergente dal procedimento, anche su una diagnosi correlata alla situazione sociale ed esistenziale in cui si troverà l'indagato al momento della cessazione dello stato di detenzione. In definitiva le misure cautelari sono consistite nell'estremo rimedio per evitare la reiterazione del reato e, nel caso trattato, sono state necessarie per interrompere la progressione criminale in danno degli anziani.

Il riconoscimento degli autori
In un altro caso la Corte di Cassazione (sent. n. 45353/2019) ha esaminato il problema del riconoscimento degli autori di tali reati da parte delle persone offese. Il caso trattato riguardava il ricorso di due soggetti avverso una sentenza che li aveva condannati per un furto consumato in abitazione e di tre furti tentati commessi all'interno delle abitazioni di soggetti anziani. In particolare, i ricorrenti si fingevano un idraulico e un vigile urbano in borghese e si introducevano nell'abitazione di un'anziana e le sottraevano euro duemila. I due condannati ponevano in essere analoghe condotte, fingendosi il primo incaricato comunale o tecnico del gas e l'altro vigile urbano, nei confronti di altre tre signore anziane, non riuscendo nel loro intento per cause indipendenti dalla loro volontà. Avverso la sentenza di condanna i ricorrenti proponevano due ricorsi (respinti per quanto riguarda l'affermazione della penale responsabilità, accolti solo per il calcolo della pena) che negavano la validità del loro riconoscimento da parte dei testimoni e delle persone offese. La Corte di Cassazione invece valorizza il riconoscimento da parte dei testimoni e delle parti offese, anche perché sorretto da altri elementi indizianti del reato. Invero un autore del reato frequentava una persona offesa, i ricorrenti viaggiavano a bordo di un'autovettura simile a quella utilizzata dai ladri, anche perché la stessa aveva una targa contraffatta, a riprova delle loro attività illecite. Inoltre, le dichiarazioni delle persone offese combaciavano con la deposizione dei testimoni per quanto riguarda la descrizione fisica dei ladri, coincidente con le fattezze dei ricorrenti. Le divergenze tra le loro dichiarazioni erano marginali e spiegabili con la professionalità degli imputati che utilizzavano accorgimenti per disorientare le vittime e per evitare di lasciare tracce. In particolare, ad uno dei ricorrenti erano stati sequestrati, nel corso di una perquisizione, cerotti di colore carne avvolti alle sue dita. Inoltre, un imputato, nel tragitto tra le abitazioni delle persone offese, svestiva un soprabito, per apparire diversamente abbigliato, e rimuoveva o apponeva un neo posticcio sulla guancia.

Il peso del comportamento
Pertanto la Corte di Cassazione afferma che la penale responsabilità dei ricorrenti trova il suo fondamento non soltanto nell'incerto riconoscimento delle persone offese, che pure ha avuto un peso , sia pure non decisivo, ma anche nel comportamento ripetuto dai ladri, mediante l'uso della stessa autovettura con la targa contraffatta, con una condotta ripetuta nel tempo e nello stesso spazio, nella loro concentrazione in una fascia oraria ristretta ( poco più di un'ora) ed alcuni commessi all'interno di uno stesso condominio. Inoltre, in possesso dei ricorrenti venivano ritrovati tesserini rudimentali con impresso il simbolo della Repubblica Italiana. La Corte di Cassazione afferma che i due ricorsi hanno indebitamente svalutato il compendio probatorio esaminato dai giudici di merito. Invero i giudici hanno evidenziato le coincidenze sopra esaminate che dimostrano, oltre ogni ragionevole dubbio, l'identità dei soggetti che operarono nelle quattro situazioni esaminate. Neppure ai ricorrenti possono essere concesse le attenuanti generiche (articolo 62 bis c.p.) poiché mancano gli elementi positivi che giustificano la loro meritevolezza. Il giudice può concedere detto beneficio solo quando, dal comportamento dei condannati, emergano elementi positivi che sono mancati nel caso esaminato. Infatti, i condannati hanno tenuto un comportamento pregiudicato, professionale e seriale, che rileva una elevata capacità criminale, anche perché posta in essere a danno di vittime anziane ed indifese.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©