Civile

Cessione "spezzatino" attaccabile solo con la disciplina antiabuso

A pochi mesi dalla sentenza n. 158/2020 della Consulta il divieto, voluto dal Legislatore, di riqualificare sequenze di atti sulla base dell'art. 20 del DPR 131/86 sembra essersi affermato pacificamente

di Paolo Serva *, Stefano Cacace **


Nel comparto dell'imposizione indiretta una delle tematiche più annose e dibattute concerne il potere dell'Amministrazione finanziaria di riqualificare le cessioni di singoli cespiti in trasferimenti di azienda fuori campo IVA e sottoposti all'imposta di registro in misura proporzionale (mentre la cessione dei singoli beni è soggetta ad IVA). Il Fisco ha in passato contestato la mancata applicazione dell'imposta di registro a compravendite di asset sul presupposto che gli stessi configurassero in realtà, ai sensi dell'art. 2555 Cod. Civ., un compendio aziendale unitario il cui trasferimento era stato frazionato in diversi atti (c.d. cessioni "spezzatino") negando, conseguentemente, anche la detrazione dell'IVA in capo all'acquirente.

Tali contestazioni si fondavano sull'art. 20 del DPR 131/86, che disciplina l'interpretazione degli atti sottoposti a registrazione. Detta norma, invero, ha sempre suscitato criticità laddove l'attività interpretativa, che deve guidare l'individuazione del trattamento impositivo applicabile sulla base dell'effetto giuridico dell'atto, avesse ad oggetto sequenze negoziali complesse, in relazione alle quali si poneva il dubbio se fosse consentito o meno valorizzare il collegamento tra i diversi atti.

In nome della certezza del diritto, il Legislatore nella Legge di Bilancio 2018 è intervenuto, chiarendo che (i) il trattamento impositivo deve essere individuato sulla base del singolo atto portato a registrazione e (ii) sono pertanto irrilevanti altri atti contestuali o successivi e in generale gli elementi extra-testuali. Le operazioni "plurifase" artificiose e lesive di interessi erariali potranno eventualmente essere sindacate mediante la disciplina "antiabuso" di cui all'art. 10-bis della L. 212/2000, nel rispetto delle garanzie procedimentali anche in termini di contraddittorio preventivo. La novella, che peraltro (come previsto nella Legge di Bilancio 2019) ha valenza retroattiva, determina l'inapplicabilità dell'art. 20 così rivisitato alle cessioni spezzatino (come emerge dalla stessa relazione illustrativa), atteso che il Fisco non può collegare tra loro plurime compravendite di cespiti allo scopo di derivarne un trasferimento d'azienda.

Sebbene negli ultimi 10 anni abbia quasi sempre energicamente avversato tale impostazione, tanto da porre poi in dubbio la legittimità costituzionale dell'intervento legislativo chiarificatore, la Cassazione ha recentemente preso atto della nuova portata applicativa dell'art. 20, anche alla luce della sentenza n. 158/2020 della Consulta che ne ha confermato la piena conformità alla carta fondamentale. Infatti, con l'ordinanza n. 21617 del 7 ottobre 2020, la Suprema Corte ha da ultimo affermato che l'Agenzia delle Entrate non può stravolgere lo schema negoziale adottato dalle parti, salvo che non dimostri la condotta e la volontà elusiva dei contribuenti. Quando, come nella fattispecie esaminata dall'ordinanza, si realizza, mediante una serie di atti, il trasferimento separato di un immobile, di merci e di rapporti di lavoro subordinato il Fisco non può sic et simpliciter desumere un trasferimento d'azienda, ma deve attivare la procedura di cui all'art. 10-bis in contradittorio con il contribuente, allo scopo di verificare se sono ravvisabili gli elementi costitutivi dell'abuso (vantaggio fiscale indebito, mancanza di sostanza economica, assenza di valide ragioni extrafiscali). Ne consegue l'illegittimità di tutti gli atti impositivi che hanno riqualificato cessioni spezzatino sulla base dell'art. 20, senza contestare la sussistenza di elusione. A ciò si aggiunga che anche l'abuso deve essere escluso, ad esempio, qualora la necessità di trasferire separatamente le diverse componenti derivi dalle caratteristiche soggettive dell'acquirente (come nel caso dei fondi immobiliari di cui alla nota risposta ad interpello n. 469/2019).

In conclusione, a pochi mesi dalla storica sentenza della Corte Costituzionale, il divieto voluto dal Legislatore di riqualificare sequenze di atti sulla base dell'art. 20 sembra essersi affermato pacificamente. Ne deriva che d'ora in poi l'art. 20 dovrebbe essere confinato a riqualificazioni che possano essere effettuate analizzando solo il singolo atto. E' il caso di un negozio "misto" che presenti plurime cause, nel qual caso il Fisco potrebbe valorizzare quella prevalente (secondo la teoria dell'assorbimento) ovvero ravvisare una molteplicità di contratti compresenti (teoria della combinazione).

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*Partner Di Tanno Associati

**Senior Associate Di Tanno Associati

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