Giustizia

Chiarezza e sinteticità degli atti nel parere del Csm e la lezione di Calvino

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di Valeria Cianciolo

Tutti gli atti del processo sono redatti in modo chiaro e sintetico. E' questo quello che statuisce il novello articolo 121 cod. proc. civ., rubricato adesso "Libertà di forme, chiarezza e sinteticità degli atti", ormai considerato un principio generale di qualunque processo.
L'articolo 46 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura civile, dopo aver previsto che il ministero della Giustizia, sentiti il Consiglio Superiore della Magistratura e il Consiglio Nazionale Forense, fissa i limiti degli atti processuali, – tenendo conto della tipologia, del valore, della complessità della controversia, del numero delle parti e della natura degli interessi coinvolti con cadenza biennale –, stabilisce che il mancato rispetto dei criteri e di tali limiti non comporta invalidità, ma può essere valutato dal giudice ai fini della decisione sulle spese del processo.
Il giudice può tener conto della modalità di con cui l'atto processuale è redatto, ai fini della decisione in punto di spese.
Non è invece prevista la possibilità per il giudice di invitare le parti ad abbreviare il testo del loro atto. Al riguardo la Relazione del Massimario della Cassazione afferma che, se l'atto non è chiaro dal punto di vista dell'individuazione del petitum e della causa petendi è possibile per il giudice assegnare all'attore un termine ex articolo 164 c.p.c. per la sua integrazione, la mancanza di sinteticità sarebbe priva di una sanzione specifica. Anche il giudice redige i provvedimenti in modo chiaro e sintetico, nel rispetto dei criteri di cui agli articoli 2 e 6, in quanto compatibili. Ma le dimensioni degli atti e dei provvedimenti del giudice sono correlate alla complessità della controversia, anche in ragione della tipologia, del valore, del numero delle parti o della natura degli interessi coinvolti.

La schema di Dm
Lo schema del decreto del Ministro di Giustizia - il cui articolo 2 stabilisce i criteri redazionali secondo un'articolazione che recepisce i requisiti di contenuto forma prescritti per legge – è stato oggetto di molte discussioni e critiche in parte fondate. Il legislatore della Riforma, con italica creatività, ha fantasticato che la chiarezza e sinteticità potessero risolvere il problema della "irragionevole durata" del processo, riducendo l'emorragia di denaro pubblico per pagare gli indennizzi della legge Pinto. Ed ha avuto, con il parere reso il 7 giugno 2023, l'avallo del Consiglio Superiore della Magistratura che ha espresso dei dubbi solo in merito all'entrata in vigore del decreto per evitare di creare non poche difficoltà ai professionisti. Magnanimo pensiero che so essere rivolto non solo agli avvocati. Siamo tutti sulla stessa barca.
Dovrebbe essere reso noto un modello esemplificativo di redazione che sarà pubblicato sul sito del Ministero allo scopo di agevolare la stesura degli atti processuali in conformità al tipo normativo.

L'antilingua
Ma detto questo…perché siamo arrivati a questo? Perdoni, il lettore, il bisticcio di parole…
Perché siamo un esercito di persone che praticano l'antilingua, come diceva Italo Calvino nel lontano 1965: "Impassibile, il brigadiere batte veloce sui tasti la sua fedele trascrizione: «Il sottoscritto, essendosi recato nelle prime ore antimeridiane nei locali dello scantinato per eseguire l'avviamento dell'impianto termico, dichiara d'essere casualmente incorso nel rinvenimento di un quantitativo di prodotti vinicoli, situati in posizione retrostante al recipiente adibito al contenimento del combustibile, e di aver effettuato l'asportazione di uno dei detti articoli nell'intento di consumarlo durante il pasto pomeridiano, non essendo a conoscenza dell'avvenuta effrazione dell'esercizio soprastante." Questo è un esempio di antilingua.
Frasi pesanti dove le subordinate si sprecano per non parlare della prolissità, nemica acerrima della chiarezza. Gli avvocati si sono chiesti: "Forse dovremmo scrivere frasi corte? Assolutamente no. Non dobbiamo inseguire le semplicità ad ogni costo. Replica: "E come faccio a spiegare cose che sono complicate?" Senza parole e espressioni inutili o vuote, senza gerundi e con verbi finiti, senza eccessive subordinate. Calvino ci ha insegnato: «Quando le cose non sono semplici, non sono chiare, pretendere la chiarezza a tutti i costi, è faciloneria, e proprio questa pretesa obbliga i discorsi a diventare generici, cioè menzogneri. Invece lo sforzo di cercare di pensare e di esprimersi con la massima precisione possibile proprio di fronte alle cose più complesse è l'unico atteggiamento onesto e utile…» (Italo Calvino, Una pietra sopra, Mondadori, p. 308).
Attenzione. Le subordinate e le strutture grammatiche ipotattiche – per intenderci, quelle con tante subordinate – vanno bene, se le si sa usare. L'incipit del capolavoro manzoniani ha 111 parole ("Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno…") e svariate subordinate. Ma è una prosa godibile, come una bevanda calda se bevuta d'inverno e fresca se bevuta d'estate. Certo, si parla dell'archetipo della perfezione letteraria, ma non si chiede al giurista di rinunciare alla consecutio temporum.
Il punto è saper padroneggiare ad ali spiegate la difficoltà dei fatti guardandole dall'alto.

Sintesi e chiarezza
E torniamo agli atti giuridici…sintesi e chiarezza…se la sintesi è l'operazione in base alla quale selezioniamo gli elementi essenziali di un argomento o di una narrazione, spetta a chi scrive, giudice o avvocato, saper scremare il superfluo dal necessario per raggiungere la chiarezza: la scrittura è agevolata dai programmi informatici, la modulistica è reperibile sul web per non parlare dei patchwork di sentenze o di citazioni dottrinali. E allora proviamo a recuperare la logica degli antichi retori: nel ragionamento giuridico di matrice retorica, l'ordine retorico è costituito da diverse parti esordio, narrazione, confermazione ed epilogo.
La prima è la parte iniziale, necessaria se l'esposizione sarà lunga e complessa. Negli atti giudiziari adesso si chiede che vengano enunciati sinteticamente gli argomenti, o in ogni caso che venga fatto un indice dei temi trattati. La seconda è l'esposizione dei fatti, la cui sequenza negli atti del primo grado è rimessa alla scelta di chi scrive.
Ricordiamo. Recentemente gli Ermellini hanno statuito quanto segue: "…sicché: in applicazione del principio di specificità del ricorso per cassazione, ai fini del rispetto del requisito stabilito dall'art. 366, n. 3, cod. proc. civ., debbono essere precisate e riferite, con chiara sintesi idoneamente funzionale a elidere dubbi di comprensione, le pretese quali svolte nelle fasi di merito, e le risposte date dai precedenti giudici, così da poter apprezzare la concludenza delle censure a quelle risposte, previa ragionata ovvero pertinente menzione sia degli atti dove verificare quanto così congruamente riportato, sia della loro univoca collocazione nell'incarto documentale come appropriatamente offerto all'esame della Suprema Corte". (nel caso di specie la Corte, in applicazione di tale principio, ha dichiarato inammissibile il ricorso per carente ricostruzione dei fatti processuali. Cass., civile sez. III, sentenza 14 marzo 2022, n. 8117).
E ancora per non dimenticare la lezione retorica ciceroniana, c'è la "confermazione" ossia, l'esposizione degli argomenti; e poiché accade spesso che gli argomenti siano molti, occorre stabilire il come e il quando introdurli.
L'"epilogo" è la chiosa del discorso: cosa chiediamo al giudice?
Facciamo un esempio, preso da una delle tante sentenze che mi capita di leggere in materia di famiglia: "Non è derogabile in dubbio, infatti, come, già in occasioni precedenti, essendosi il Signor Tizio reso inadempiente nel versamento dell'assegno di mantenimento nei confronti della moglie e del figlio, sia stato destinatario dell'invio di comunicazioni a mezzo posta raccomandata a.r..."
Versione riscritta oggi: "Il ricorrente ha già ricevuto in precedenza formali costituzioni in mora e atti giudiziari, perché non pagava il mantenimento alla moglie".
40 parole nella prima versione, 21 nella seconda. Ho tolto il superfluo, ma il senso è rimasto.
Abbiamo rinunciato al principio di difesa e al contraddittorio? Qualcuno dice di si.
Ma questo è. Gli standards sono individuati. Dimensione 12, interlinea 1,5. Massimo pagine 25.
Avvalendoci della regola giornalistica delle 5 W (Who, What, Why, Where, When), cioè dovrebbe sempre contenere le indicazioni del Chi, del Che cosa, del Perché, del Dove e del Quando.
Un po' di allenamento, buona volontà, e soprattutto un pizzico di senso critico.

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