Cina, per i servizi sul territorio ritenuta alla fonte anche in assenza di stabile organizzazione
Ritenuta subita in Cina su servizi prestati da una società non residente pur in assenza di stabile organizzazione in base alla normativa locale ma in contrasto con la norma convenzionale: le ragioni alla base di tale applicazione, modalità per evitarla e relative implicazioni
Tra Cina ed Italia vige un accordo contro le doppie imposizioni che non contempla l'applicazione di ritenute a soggetti non residenti su servizi prestati in assenza di stabile organizzazione. La Cina però, qualora il servizio sia stato prestato nel territorio, applica una ritenuta alla fonte in base alla normativa locale.
Infatti, secondo l'art. 3 della Corporate Income Tax Law della Repubblica Popolare Cinese, indipendentemente dalla presenza di una stabile organizzazione nel territorio, in Cina verrà tassato il reddito prodotto dalla società non residente, ma solo qualora tale reddito sia prodotto nel territorio. Il reddito, invece, realizzato fuori dal territorio cinese non sarà tassato.
È tipico infatti che una società italiana che, per esempio, presti un servizio di progettazione o un'attività di consulenza in Cina, sia soggetta ad una ritenuta nel territorio cinese pur in assenza di una stabile organizzazione.
Questa ritenuta, legittima ai sensi della normativa interna, sembra però non essere in linea con le disposizioni convenzionali che dovrebbero altresì prevalere.
Citando l'art. 7 della convenzione bilaterale tra la Cina e l'Italia, al comma 1) che tratta gli utili di impresa infatti:
"Gli utili di un'impresa di uno Stato contraente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che l'impresa non svolga la sua attività nell'altro Stato contraente per mezzo di una stabile organizzazione ivi situata. Se l'impresa svolge in tal modo la sua attività, gli utili dell'impresa sono imponibili nell'altro Stato ma soltanto nella misura in cui detti utili sono attribuibili alla stabile organizzazione".
Pertanto, sotto un profilo convenzionale, la ritenuta applicata in Cina in sede di pagamento della fattura dal cliente cinese al soggetto non residente, non sarà in linea con le disposizioni convenzionali applicabili e, quindi, non scomputabile dalle imposte italiane come credito d'imposta mancando i presupposti per l'applicazione dell'art. 165 Tuir.
A rafforzare questa interpretazione si richiama l'Agenzia delle Entrate con la risposta n. 23 del 1.2.2019 ad un interpello di una società italiana che fornisce servizi di progettazione e assistenza tecnica in un paese non esplicitamente nominato ma con cui l'Italia ha un accordo contro le doppie imposizioni, che precisa che il credito d'imposta per i redditi prodotti all'estero ex art. 165 del TUIR, non possa essere riconosciuto quando, in applicazione delle Convenzioni esistenti, lo Stato estero abbia indebitamente esercitato la propria potestà impositiva.
La società italiana potrebbe pertanto solo richiedere il rimborso all'autorità cinese per quanto indebitamente versato. In pratica, tuttavia, tale rimborso sarà molto difficile da ottenere. Tale richiesta deve infatti essere presentata alle autorità fiscali locali, spesso disinformate su temi di fiscalità internazionale e che rispondono a questi temi con generale discrezionalità e avvalendosi della normativa locale.
Si consiglia pertanto di procedere con anticipo per evitare che venga erroneamente applicata tale ritenuta, compilando un modello ad hoc per la richiesta di esercitare i benefici previsti dalle convenzioni bilaterali. Tale modello è chiamato "Information Reporting Form for Non-resident Taxpayers Claiming Treaty Benefits" ed è un documento generico che la società non residente può decidere di depositare presso l'autorità competente prima che la ritenuta venga applicata. Rimarrà comunque discrezionale la scelta da parte dell'autorità locale cinese di concedere o meno l'esenzione della ritenuta.
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*A cura di Marta Snaidero, Dottore Commercialista , partner GWA Law, Tax & Accounting