Clausola put a prezzo predeterminato e partecipazioni a scopo di finanziamento ancora al vaglio della giurisprudenza
L’orientamento giurisprudenziale che sta incontrando maggiore diffusione sembra discostarsi dalle teorie favorevoli all’applicazione della disciplina dell’art. 2265 c.c. anche per le pattuizioni parasociali ed extrasociali
La sentenza del 22 giugno 2023, n. 1538, del Tribunale di Genova si è espressa sulla validità di un’opzione put a prezzo fisso con riferimento al divieto di patto leonino ex art. 2265 c.c.
La fattispecie ha ad oggetto un accordo di finanziamento con annesso parasociale che era stato concluso da un unico quotista di una società a responsabilità limitata con una SGR.
Con gli accordi in parola veniva prevista inter alia un’opzione put & call, con la possibilità per la SGR di esercitare la put ad un prezzo predeterminato. Nello specifico, in caso di mancato esercizio della call da parte del socio e dello speculare esercizio dell’opzione put, nasceva per il socio l’obbligo di acquistare ad un prezzo pari al capitale investito dalla SGR oltre un cospicuo rendimento anno sullo stesso.
Il socio conveniva in giudizio l’SGR chiedendo di dichiarare invalido il patto in parola per pretesa violazione dell’art. 2265 c.c. e in specie per la mancata partecipazione alle perdite da parte della SGR.
Il Tribunale ha rilevato la non sanzionabilità dell’accordo in quanto:
(i) non “riversato nello statuto sociale” , con ciò mancando il requisito della costanza dell’esclusione dalle perdite, che certa giurisprudenza ritiene elemento costitutivo della fattispecie;
(ii) non ravvisando una illiceità della causa del negozio concluso, dunque la meritevolezza della causa ai sensi dell’art. 1322 c.c., in quanto “l’operazione … è caratterizzata dalla concessioni di rilevanti garanzie per l’investimento del nuovo socio” e “(l)a presenza di tali garanzie comporta evidentemente un minor costo per la società finanziata rispetto a quello che graverebbe sulla stessa ove questa avesse ritenuto di accedere ad un finanziamento bancario”.
La sentenza si colloca nell’ambito del filone giurisprudenziale chiamato a pronunciarsi sulla validità di tali tipologie di clausole, molto diffuse nella prassi di mercato dell’M&A, rispetto al divieto di patto leonino .
Sebbene però la giurisprudenza parrebbe aver, almeno parzialmente, trovato una propria stabilità, le motivazioni giuridiche sottese all’orientamento recepito dalla sentenza in commento non appaiono affatto convincenti.
Le motivazioni a base dell’iter argomentativo sono a grandi linee rappresentate:
• (i) dall’inapplicabilità del divieto di patto leonino alle pattuizioni parasociali;
• (ii) dall’applicabilità del principio di meritevolezza della causa ai sensi dell’art. 1322 c.c., quale principio da applicarsi residualmente a quei patti che non hanno una valenza sociale, ma che sono astrattamente sussumibili nel divieto; l’applicazione del principio andrebbe a salvaguardare la validati di tali patti, laddove portatori di una causa meritevole.
In realtà però,
quanto al punto sub (i) :
(a) vi è giurisprudenza che si scosta da questo orientamento, ad esempio:
(a.1) una sentenza del Tribunale di Catania (18 maggio 2019, n. 2099), secondo cui è stata dichiarata la nullità di un patto parasociale in quanto “con l’applicazione di tale clausola, l’attrice si sarebbe assicurata, nella sostanza, spettanze economiche fisse, costanti ed immutabili, che non avrebbero avuto alcun significato laddove non si fosse esclusa la partecipazione alle perdite. A riprova il fatto che l’utile spettasse anche in caso di perdite”;
(a.2) le sentenze di primo e secondo grado relative alla nota ‘vicenda DEA’, con principio poi completamente ribaltato in Cassazione (Trib. Milano, 31 dicembre 2011; App. Milano, 19 febbraio 2016, n. 636; Cass. Civ., 4 luglio 2018, n. 17498);
(b) vi è giurisprudenza che ha calmierato tale orientamento: secondo il Tribunale di Milano (20 ottobre 2022, n. 8273) “la previsione negoziale che realizzi l’effetto vietato dall’art 2265 c.c. deve essere contenuta nell’atto costitutivo, nello statuto o in un patto parasociale coevo all’acquisto della partecipazione. La pattuizione dell’opzione di vendita successiva contenuta in un contratto di compravendita fra soci si risolve, invece, in una comune vicenda circolatoria della partecipazione esterna al contratto sociale e inidonea ad alterarne la causa”;
quanto al punto sub (ii) : desta particolari dubbi l’idoneità dell’applicazione del principio ai sensi dell’art. 1322 c.c. al superamento di un divieto posto dal diritto positivo, quale quello di cui all’art. 2265 c.c.
In sostanza l’orientamento giurisprudenziale che sta trovando maggiore diffusione pare discostarsi dalle teorie favorevoli all’applicazione della disciplina dell’art. 2265 c.c. anche per le pattuizioni parasociali ed extrasociali. D’altronde è molto diffusa l’opinione, che anche questa stessa giurisprudenza non manca di ricordare, che la ratio della norma risiederebbe nella causa societatis.
Partendo da questo assunto ben difficilmente si riuscirebbe ad argomentare giuridicamente che la norma non possa applicarsi per i patti fuori statuto. Pertanto, pur essendo lodevole il tentativo della giurisprudenza di salvaguardare la validità di clausole molto diffuse nel mondo dell’M&A, sarebbe più auspicabile un intervento del legislatore volto a limitarne la portata applicativa, piuttosto che restringerne estremamente il campo d’azione, fino a farla diventare applicabile solo in casi di scuola difficilmente riscontrabili in concreto.
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*A cura dell’Avv. Daniele Iorio – partner di LegisLAB