Codice antimafia, oggi il debutto
Più attenzione nel valutare se mettere i sigilli alle imprese toccate dalla mafia. La riforma del Codice antimafia (legge 161/2017, che modifica il decreto legislativo 159/2011), entrata in vigore ieri e da oggi operativa, valorizza gli strumenti di prevenzione alternativi alla confisca e invita i giudici a intervenire in maniera graduata e proporzionata al grado di compromissione dell’azienda rispetto ai condizionamenti illeciti.
Il sequestro e la successiva confisca rimangono necessari quando dalle indagini patrimoniali sui soggetti socialmente pericolosi emergono elementi certi circa la sproporzione dei beni di cui dispongono, anche indirettamente, rispetto ai loro redditi leciti o quando vi sia motivo per ritenerli frutto di attività illecite o reimpiego di proventi delittuosi.
La «vecchia» normativa
Già prima della riforma, l’articolo 34 del Codice antimafia prevedeva che il tribunale disponesse l’amministrazione giudiziaria dei beni utilizzabili per svolgere attività economiche il cui libero esercizio da parte dei titolari potesse agevolare le persone ritenute socialmente pericolose. La misura toglieva il potere di amministrazione dell’impresa a chi disponeva dei beni, ma senza sequestrarli. Si trattava di un provvedimento cautelare a tempo (sei mesi prorogabili fino a 18), attraverso il quale il tribunale con un suo amministratore giudiziario gestiva l’impresa, verificava le sue condizioni patrimoniali, l’origine delle sue risorse e le modalità di esercizio dell’azienda, segnalava al pubblico ministero ogni profilo di illiceità e infine disponeva la confisca se riteneva provato che i beni fossero frutto di attività illecite o ne costituissero il reimpiego.
In caso contrario, dopo aver “bonificato” le prassi aziendali e avere reciso eventuali legami anche di sola soggezione con soggetti pericolosi, restituiva l’impresa e il potere di gestirla al suo titolare.
La riforma
Lo strumento dell’amministrazione giudiziaria viene rafforzato dalla riforma che riscrive l’articolo 34 e lo collega alle ipotesi di indagini finanziarie, di verifica di eventuali infiltrazioni mafiose per il rilascio della certificazione antimafia, di accertamenti dell’Anac in base all’articolo 213 del Codice degli appalti. Se a seguito di queste attività emergono sufficienti indizi per ritenere che il libero esercizio di alcune attività economiche sia sottoposto all’intimidazione mafiosa o possa agevolare persone sottoposte a misura di prevenzione o a procedimento penale per gravi reati (tra questi anche l’associazione finalizzata a commettere reati contro la pubblica amministrazione), il tribunale dispone l’amministrazione giudiziaria senza sequestro.
L’applicazione dello strumento può essere chiesta dai soggetti legittimati a richiedere la misura di prevenzione.
La durata è ora fissata in un anno, prorogabile di sei mesi solo per due volte, quando la relazione dell’amministratore giudiziario evidenzi la necessità di completare il programma di sostegno e di aiuto all’impresa e la rimozione delle situazioni di fatto e di diritto che hanno determinato la misura.
Se durante l’amministrazione giudiziaria vi sia concreto pericolo che i beni vengano sottratti, alienati o dispersi, e vi sia motivo di ritenere che siano frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego, il tribunale può disporne il sequestro ma sempre per un tempo non superiore in totale a due anni.
Il controllo giudiziario
A conclusione del periodo di amministrazione giudiziaria il tribunale ora ha più alternative rispetto a prima della riforma. Può restituire l’azienda “bonificata”, oppure, se sono emersi elementi univoci circa l’origine illecita dell’impresa, disporne la confisca dopo un’udienza in contraddittorio. Ma può anche attenuare la misura disponendo il controllo giudiziario, misura del tutto nuova prevista con l’articolo 34-bis del Codice.
Il controllo giudiziario scatta quando l’imprenditore ha agevolato in maniera occasionale soggetti socialmente pericolosi e sussistono circostanze di fatto da cui si può desumere il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose nell’azienda, idonee a condizionarne l’attività. In questo caso il tribunale fissa delle prescrizioni particolarmente intense a chi gestisce l’impresa e, senza togliergli i poteri di gestione, lo sottopone alla vigilanza di un amministratore giudiziario che riferisce al giudice delegato ogni due mesi.
Il controllo giudiziario ha durata da uno a tre anni e può essere chiesto anche dalle stesse imprese destinatarie di interdittiva antimafia per affrancarsi dai sospetti derivanti dal provvedimento prefettizio.