Codice dei contratti pubblici, per il Consiglio di Stato la norma che pone limiti al subappalto deve essere disapplicata
Il Consiglio di Stato sulla disapplicazione dell'art. 105 D.lgs. n. 50 del 2016 nella parte in cui impone limiti quantitativi al subappalto. La "riaffermazione" della primauté del diritto eurounitario nella sentenza n. 8101 del 17 novembre 2020
Con la sentenza n. 8101 del 17 dicembre 2020 la sezione quinta del Consiglio di Stato - nel dichiarare infondato il motivo con il quale le ricorrenti vittoriose in primo grado deducevano la violazione dell'art. 105 del D.lgs. n. 50 del 2016 stante la volontà dell'aggiudicataria di subappaltare per una quota complessiva che superava il 30% dell'importo complessivo dell'appalto - ha enunciato il seguente principio: "la norma del codice dei contratti pubblici che pone limiti al subappalto deve essere disapplicata in quanto incompatibile con l'ordinamento euro-unitario, come affermato dalla Corte di Giustizia (Corte di Giustizia U.E., Sezione Quinta, 26 settembre 2019, C-63/18; Id., 27 novembre 2019, C-402/18)".
La pronuncia, che interviene nell'ambito di una più complessa vicenda processuale relativa alla concessione di un servizio di ristorazione a basso impatto ambientale per le mense scolastiche ed i centri diurni socio terapeutici riabilitativi, dedica poche ma decisive righe alla questione.
Si tratta, a ben vedere, di una pronuncia di estremo rilievo perché, per la prima volta dalla notifica della procedura di infrazione n. 2273 del 2018 avviata dalla Commissione Europea per le violazioni da parte del diritto nazionale del diritto dell'Unione Europea anche in materia di subappalto, la giurisprudenza nazionale si è orientata espressamente nel senso della disapplicazione, giungendo così a riportare la questione dei rapporti tra l'ordinamento nazionale e quello eurounitario all'interno dei binari già storicamente tracciati dal dialogo tra la Corte di Giustizia e la Corte Costituzionale.
Peraltro, l'esame succinto del motivo con cui si deduce la suddetta violazione sembra sufficiente ai giudici di Palazzo Spada per risolvere definitivamente i dubbi in merito alla compatibilità tra la disciplina eurounitaria e quella nazionale, contestualmente offrendo indicazioni precise ed autorevoli all'interprete per i casi futuri.
Invero, la sentenza in esame prende le distanze da quanto di recente affermato dalle ultime sentenze del Tar Lazio circa la compatibilità della nuova disciplina del subappalto, così come introdotta dal D.L. n. 32 del 2019 (c.d. Sblocca Cantieri) (convertito con modificazioni dalla Legge n. 55 del 2019) secondo la quale: "Nelle more di una complessiva revisione del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, fino al 31 dicembre 2020, in deroga all'articolo 105, comma 2, del medesimo codice, fatto salvo quanto previsto dal comma 5 del medesimo articolo 105, il subappalto è indicato dalle stazioni appaltanti nel bando di gara e non può superare la quota del 40 per cento dell'importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture. Fino alla medesima data di cui al periodo precedente, sono altresì sospese l'applicazione del comma 6 dell'art. 105 e del terzo periodo del comma 2 dell'articolo 174, nonché le verifiche in sede di gara, di cui all'art. 80 del medesimo codice, riferite al subappaltatore".
Invero, il Tribunale romano, specie nelle pronunce più recenti, ha sposato una lettura dei principi espressi nelle sentenze della Corte di Giustizia volta a legittimare la fissazione astratta di un limite generale del subappalto all'interno della cui area consentire alle stazioni appaltanti una "valutazione al ribasso" del medesimo limite in presenza di particolari esigenze, di norma individuate nell'obiettivo di evitare rischi di infiltrazioni della criminalità organizzata.
In particolare, richiamando un recente precedente della medesima sezione, il Tar Lazio ribadisce la compatibilità della disciplina suddetta - in particolare del limite del 40% delle opere subappaltabili, previsto dall'art. 1, comma 18, della legge n. 55/2019 - con il diritto sovranazionale, legittimando di fatto quanto previsto sul punto dal Decreto Sblocca Cantieri.
Più nello specifico, dopo aver riletto i principi espressi dalla sentenza della Corte di Giustizia del settembre 2019 alla luce della particolarità del caso sottoposto all'esame - ossia la valutazione dell'adeguatezza e della legittimità delle restrizioni delle regole fondamentali e dei principi generali del TFUE attraverso la previsione di limitazioni alla quota subappaltabile al fine di contrastare il fenomeno delle infiltrazioni della criminalità organizzata nelle commesse pubbliche – il Tar Lazio afferma che la pronuncia della Corte di Giustizia, "pur avendo censurato il limite al subappalto previsto dal diritto interno nella soglia del 30% dei lavori, non esclude la compatibilità con il diritto dell'Unione di limiti superiori".
Ciò in quanto la Corte ha sì "considerato in contrasto con le direttive comunitarie in materia il limite fissato", ma "non escludendo invece che il legislatore nazionale possa individuare comunque, al fine di evitare ostacoli al controllo dei soggetti aggiudicatari, un limite al subappalto proporzionato rispetto a tale obiettivo", cosicché "non può ritenersi contrastante con il diritto comunitario l'attuale limite pari al 40% delle opere, previsto dall'art. 1, comma 18, della legge n. 55/2019"(Tar Lazio, sez. terza quater, 3 novembre 2020, n. 11304; Id. 15 dicembre 2020, n. 13527).
A tal proposito, si è già avuto modo di sottolineare come la lettura della pronuncia del Giudice sovranazionale da parte della giurisprudenza amministrativa nelle sentenze da ultimo citate, non colga appieno l'interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia circa la previsione di limiti alla quota subappaltabile.
Invero, come correttamente riportato nella sentenza del Tar Lazio del 15 dicembre, nell'interpretazione fornitane dalla Corte, le direttive europee in materia sembrano negare in radice la previsione astratta di un limite generale alla quota subappaltabile auspicando al contrario una valutazione caso per caso da parte delle amministrazioni aggiudicatrici circa la necessità di imposizioni limitative al subappalto in considerazione del settore economico interessato dall'appalto di cui trattasi, dalla natura dei lavori e/o dall'entità dei subappaltatori.
Conseguentemente, l'art. 105 del D.lgs. n. 50 del 2016, vietando in modo generale e astratto il ricorso al subappalto che superi una percentuale fissa dell'appalto pubblico in parola indipendentemente dal settore economico interessato dall'appalto stesso, dalla natura dei lavori o dall'identità dei subappaltatori e non lasciando alcuno spazio a una valutazione caso per caso da parte dell'ente aggiudicatore, non rispetta le indicazioni normative eurounitarie ed i principi di parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza ivi prescritti (cfr. Corte di Giustizia, sezione quinta, 26 settembre 2019 C – 63/18; Id., 27 novembre 2019 C- 402/18).
Appare evidente, nonostante lo sforzo della giurisprudenza attraverso una lettura comunitariamente orientata dell'art. 105 citato e il tentativo del Legislatore di arginare gli inadempimenti del nostro Stato attraverso un "apparente riordino" della materia, che la normativa così risultante non sembra poter superare le censure mosse attraverso la procedura di infrazione con la quale la Commissione Europea, lo si ricorda brevemente, ha avuto modo di precisare come nelle direttive eurounitarie in materia non vi siano disposizioni che consentano l'obbligatorietà di limite siffatto alla quota dei contratti pubblici che può essere subappaltata. Ciò soprattutto alla luce del principio del favor partecipationis e della concorrenza in relazione alla previsione di una maggiore possibilità di partecipazione delle piccole e medie imprese che proprio l'istituto del subappalto è volto a favorire.
In quella stessa sede la Commissione, pur affermando l'esistenza di diverse disposizioni delle direttive che riconoscono alle amministrazioni aggiudicatrici il diritto di limitare il ricorso al subappalto in ragione della particolare natura della prestazione da svolgere, ha stigmatizzato al contrario il ricorso a limiti quantitativi alla quota subappaltabile in assenza di qualsivoglia ragione giustificatrice e in via del tutto astratta (cfr. lett. A), punto 1.3 "Violazione di norme riguardanti il subappalto e l'affidamento sulle capacità di altri soggetti" della lettera di messa in mora nell'ambito della procedura di infrazione n. 2273 del 2018).
Brevemente ricostruite le coordinate della materia, dunque, l'intervento del Consiglio di Stato si colloca proprio nel solco delle indicazioni europee, sposando nettamente la soluzione più rispettosa sia del consolidato e riconosciuto rapporto tra gli ordinamenti che dei più generali principi regolano la materia degli appalti pubblici. Si tratta, come ricordato dalla stessa Corte di Giustizia, dei principi di parità di trattamento, di non discriminazione, di proporzionalità e di trasparenza, nonché di agevolazione della partecipazione delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici che rimarrebbero oltremodo penalizzate dalla previsione di limitazioni astratte e generiche che non tengano conto delle peculiarità della singola commessa pubblica.
Non basta, allora, come pure avevano fatto talune pronunce precedenti per legittimare la limitazione "preventiva" delle quote subappaltabili, il generico richiamo al contrasto al fenomeno dell'infiltrazione della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici per giustificare una restrizione alle norme fondamentali e ai principi generali del Trattato FUE che si applicano nell'ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici (in tal senso, sentenza del 22 ottobre 2015, Impresa Edilux e SICEF, C-425/14, EU:C:2015:721, punti 27 e 28), ma occorre che tale principio sia letto alla luce dei fondamentali principi di proporzionalità e non discriminazione (cfr. Corte di Giustizia, 27 novembre 2019 (C-402/18)"anche supponendo che una restrizione quantitativa al ricorso al subappalto possa essere considerata idonea a contrastare siffatto fenomeno, una restrizione come quella oggetto del procedimento principale eccede quanto necessario al raggiungimento di tale obiettivo").
Quanto detto, è bene ribadirlo, non comporta la impossibilità per le stazioni appaltanti di prevedere limitazioni alle quote subappaltabili, quanto una maggiore responsabilità da parte delle amministrazioni pubbliche nella valutazione di limitazioni che siano realmente proporzionate agli scopi perseguiti e che, conseguentemente, siano pienamente rispondenti all'interesse pubblico alla cui cura sono preposte.
Si tratta, a ben vedere, della necessità che le stazioni appaltanti inaugurino un ciclo virtuoso attraverso la predisposizione di puntuali verifiche circa il possesso dei requisiti richiesti dalla normativa nazionale e dalla lex specialis agli operatori economici partecipanti al fine di evitare illecite ingerenze all'interno delle commesse pubbliche; si tratta, infatti, di un obiettivo che non può e non deve essere relegato attraverso l'astratta predisposizione di limitazioni generali e astratte al subappalto.
Alla luce di quanto riportato, il recente intervento del Consiglio di Stato risulta sicuramente risolutivo per dipanare i dubbi di compatibilità che da sempre accompagnano la previsione, nell'ambito del subappalto, delle limitazioni quantitative.
Ciò è tanto più importante laddove, all'auspicabile uniformità delle pronunce giurisprudenziali future sul punto, si accompagni un reale recepimento del principio espresso da parte degli operatori del settore e, nello specifico, da parte delle amministrazioni aggiudicatrici.
Si tratta di una pronuncia da accogliere sicuramente con favore per gli approdi raggiunti e le indicazioni fornite, ma che tuttavia rappresenta l'ulteriore conferma dell'onere di cui la giurisprudenza è stata negli ultimi tempi tacitamente investita: la risoluzione di questioni che richiederebbero una espressa e intelligente presa di posizione legislativa.