Colpo di frusta inesistente se l'accertamento è "impossibile"
La Cassazione, ordinanza n. 26249 di ieri, segnalata al "Massimario", torna a delimitare la risarcibilità del colpo di frusta a seguito di un incidente stradale. Per la VI Sezione civile infatti il risarcimento non spetta quando è «impossibile» determinare l'esistenza di postumi permanenti. Sì, perché era stato proprio questo il verdetto del consulente tecnico nominato in primo grado dal giudice di pace che aveva poi liquidato all'infortunato 100 euro per due giorni di invalidità temporanea. Decisione confermata dal Tribunale di Napoli Nord. Respinto dunque il ricorso di un uomo che era stato tamponato mentre era a bordo di un veicolo guidato e di proprietà di un terzo, che lamentava il perdurare di lievi dolori al collo.
Per la Suprema corte, infatti, «un danno di cui sia impossibile stabilire non già il suo esatto ammontare, ma la sua stessa esistenza, è per ciò solo un danno irrisarcibile». «Rectius, non è nemmeno un danno giuridico». La Corte respinge poi i rilievi di costituzionalità dell'articolo 32 del Dl 1/12 secondo cui non potranno dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente, le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo. La norma, spiega la Corte, non pone limiti ai mezzi di prova (non impedisce cioè di dimostrare il danno alla salute con mezzi diversi dai referti strumentali), né pone limiti alla risarcibilità (non vi è una soglia minima di gravità). Essa semplicemente ribadisce il principio per cui «il risarcimento di qualsiasi danno presuppone che chi lo invochi ne dia una dimostrazione ragionevole». Definire dunque il danno biologico come quello «suscettibile di accertamento medico legale», vuol dire che esso deve essere dimostrabile «non già sulla base di mere intuizioni, illazioni o suggestioni, ma sulla base di una corretta criteriologia medico legale». Che per essere tale, prosegue la decisione, non si deve limitare alla storia clinica rappresentata dalla vittima, ma ricorrere «all'analisi della vis lesiva, all'analisi della sintomatologia, all'esame obiettivo, alla statistica clinica». «Un corretto accertamento pertanto, conclude sul punto la Corte, potrebbe pervenire a negare l'esistenza (o la sua derivazione causale) di un danno permanente anche in presenza di esami strumentali positivi; così come, all'opposto, ammettere l'esistenza di un danno permanente anche in assenza di esami strumentali, quando ricorrano indizi gravi, precisi e concordanti dell'esistenza del danno e della sua genesi causale».
Del resto, ricorda la decisione, il "Dl Concorrenza" è stato emanato allo scopo di rilanciare l'economia anche grazie all'abbassamento dei premi assicurativi. In questo contesto, l'articolo 32 può essere interpretato non soltanto come finalizzato a contrastare le truffe, «ma anche la semplice negligenza colposa, la benevola tolleranza o il superficiale lassismo nell'accertamento dei microdanni». La disposizione dunque, ribadisce l'ordinanza, non contrasta con l'articolo 32 della Costituzione perché non limita la risarcibilità del danno alla salute né pone limiti alla sua prova, ma si «limita a richiamare il rispetto dei propri doveri di zelo da parte di quanti (medici legali, avvocati, magistrati) siano chiamati a stimare e liquidare il danno alla salute».
Infine, la Cassazione ritiene inammissibile anche il motivo con cui il ricorrente lamenta il mancato esame di un fatto decisivo e cioè la presenza di una radiografia. Per i giudici non si tratta di un "fatto" ma di una prova e le S.U. hanno stabilito che «l'omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l'omesso esame di un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti».
In conclusione, per la Cassazione «stabilire se una persona abbia o non abbia patito i postumi permanenti non è una questione di diritto, ma è l'accertamento di un fatto, come tale insindacabile in sede di legittimità». Del resto, la motivazione della sentenza impugnata «non può dirsi omessa, avendo il tribunale affermato essere "impossibile" accertare l'esistenza di un danno permanente, e costituendo tale affermazione una motivazione chiare e inequivoca».
Corte di cassazione - Ordinanza 16 ottobre 2019 n. 26249