Civile

Comodato, al Fallimento il danno per il ritardo nella riconsegna

Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 18716 depositata oggi, respingendo il ricorso della società

immagine non disponibile

di Francesco Machina Grifeo

La società che rilascia con ritardo l'immobile in comodato gratuito, paga il danno al Fallimento della società proprietaria senza bisogno di particolari prove considerata la "naturale fruttuosità del bene occupato" ormai senza più titolo. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 18716 depositata oggi, respingendo il ricorso della società che occupava l'immobile.

La vicenda interessa due coniugi: il marito legale rappresentante della Spa proprietaria del bene; la moglie sempre legale rappresentante però della Sas che aveva stipulato il contratto di affitto in comodato gratuito ad uso commerciale. Dichiarato, successivamente, il fallimento della Spa, il curatore fallimentare, con ricorso ai sensi dell'art. 702-bis c.p.c, convenne in giudizio la Sas per la revoca, ai sensi dell'art. 64 della L. fallimentare, del comodato. Il Tribunale di Verona accolse la domanda e dichiarò l'inefficacia del contratto di comodato, condannando la convenuta al rilascio dell'immobile ed al pagamento di 1.000 euro per ogni mese di ritardo nel rilascio, avvenuto circa due anni dopo la prima richiesta. La Corte di appello poi ha sostanzialmente confermato il giudizio.

Proposto ricorso, la Sas sostiene che la giurisprudenza di legittimità ha escluso, in relazione all'occupazione di immobili, la figura del danno in re ipsa, per cui il danno deve essere sempre dimostrato. E nel caso specifico, il Fallimento non avrebbe provato di avere intenzione di locare l'immobile, avendone chiesto la restituzione al solo scopo di venderlo all'incanto; né avrebbe fornito alcun elemento al fine di determinarne l'effettivo valore locativo. Ragion per cui la Corte territoriale avrebbe liquidato un danno non provato, e cioè un danno punitivo.

Secondo la IV Sezione civile, invece, la giurisprudenza relativa al danno da illegittima occupazione di un immobile non contiene, in realtà, un vero e proprio contrasto. "Non si tratta, infatti - spiega la decisione -, di stabilire se tale danno sia in re ipsa o se debba essere oggetto di prova; trattandosi, infatti, di un danno-conseguenza, esso necessita comunque di una prova, non potendosi ritenere in re ipsa; tale prova, però, può essere data anche tramite presunzioni, dovendosi presumere la naturale fruttuosità di un bene immobile ed essendo la presunzione una prova prevista e regolata dalla legge".

"Nel caso specifico, quindi – conclude la Cassazione sul punto -, tale naturale fruttuosità del bene occupato senza titolo poteva validamente costituire fondamento della sentenza di condanna".

D'altra parte, il comodato era gratuito ed era stato concluso da due società che erano rappresentate da due coniugi, "elemento presuntivo, questo, che i giudici di mento avrebbero potuto valorizzare".

Infine, non sussistendo un rapporto di natura contrattuale tra le parti, "la responsabilità di quest'ultima è di natura extracontrattuale". Ciò comporta che, trattandosi di un danno da lucro cessante, i margini per la valutazione equitativa da parte del giudice di merito sono più ampi di quanto non siano nella responsabilità contrattuale (art. 2056, secondo comma, cod. civ.). La lamentata violazione di legge, pertanto, non sussiste.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©