Amministrativo

Concessioni balneari - Tar Toscana, Sez. II, 8 marzo 2021, n. 353/2021: e così per l'ennesima volta lo Stato Italiano approva leggi in contrasto con le norme europee

La problematica delle concessioni relative al demanio marittimo, oggi più comunemente definite "balneari" (echeggiando così l'attività della più vasta tipologia di operatori economici che ne sono interessati), rappresenta forse un unicum per quanto attiene ai rapporti tra legislatore europeo, legislatore interno, e gli organi giudiziari dell'una o dell'altro ordinamento

di Fabio Andrea Bifulco*


I. La problematica delle concessioni relative al demanio marittimo, oggi più comunemente definite "balneari" (echeggiando così l'attività della più vasta tipologia di operatori economici che ne sono interessati), rappresenta forse un unicum per quanto attiene ai rapporti tra legislatore europeo, legislatore interno, e gli organi giudiziari dell'uno o dell'altro ordinamento.

La genesi della vicenda è nota ed, in apparenza, di agevole declinazione.

Echeggiando gli articoli 43 (diritto di stabilimento) e 49 (libera prestazione di servizi) del Trattato CE, ed il principio di libera e paritaria concorrenza che ne è alla base, l'art. 12 della direttiva 2006/123/CE (cd. Bolkestein), stabilì che, laddove gli stati membri rilascino "autorizzazioni" per l'esercizio di attività il cui numero è limitato per via della scarsità delle risorse naturali, o delle capacità tecniche utilizzabili, le stesse devono essere assegnate secondo una procedura concorrenziale trasparente ed imparziale.

Secondo il successivo art. 16, gli Stati membri devono rispettare il diritto dei prestatori di fornire un servizio in uno Stato membro diverso da quello in cui sono stabiliti, assicurando ad essi il libero accesso.

Quanto alla regolamentazione dei requisiti per l'accesso alle attività, la stessa deve da un lato rispettare il principio di non discriminazione, e, dall'altro, può essere giustificata solo per ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di sanità pubblica o di tutela dell'ambiente.

Prima ancora che spirasse il termine per l'attuazione della direttiva (fissato al 28 dicembre 2009), la Commissione UE (allora CE), con lettera del 29 gennaio 2009 avviò nei confronti dell'Italiana la procedura di infrazione n. 2008/4908, sul cosiddetto "diritto di insistenza" (la preferenza verso il concessionario demaniale uscente), come risultante dall'art. 37, comma 2, del Codice della Navigazione, e da una specifica normativa regionale della Regioni Friuli Venezia Giulia

La procedura, si badi, prospettava che le condizioni di favore così previste a favore di coloro che fossero già concessionari risultassero contrarie all'art. 43 del Trattato CE, poi trasfuso nell'art. 49 del TFUE, senza far riferimento alla direttiva Bolkestein.

Le autorità nazionali sostennero inizialmente che le disposizioni in questione erano finalizzate a favorire attività assistenziali e senza scopo di lucro, ma, successivamente, si impegnarono a modificarle, notificando poi il d.l. 194/2009.

Sennonché, come appurato dalla stessa Commissione Europea nella ulteriore messa in mora del 10 maggio 2010, in sede di conversione del d.l. 194/2009, lo stesso venne modificato (con la l. 25/2000) prevedendosi addirittura il rinnovo automatico delle concessioni.

L'ambito della contestazione europea venne a questo punto esteso alla violazione della direttiva Bolkestein, il cui termine di recepimento era nel mentre spirato.

La procedura di infrazione venne archiviata sulla base della nuova assicurazione della autorità italiane di aver avviato, tramite l'art. 11, l. 217/2011, un riassetto della materia esente dalle criticità contestate.

Ciò nonostante,

- l'art. 34-duodecies del d.l. n. 179/2012, modificando l'art. 1, comma 18, del d.l. n. 194/2009, dispose la proroga sino al 31 dicembre 2020 delle concessioni demaniali in essere alla data del 30 dicembre 2009 ed in scadenza al 31 dicembre 2015;

-l'art. 1, comma 547, della legge n. 228/2012, estese le previsioni dell'articolo 1, comma 18, come sopra citato, alle concessioni per finalità sportive aventi ad oggetto il demanio marittimo, a quelle con finalità turistico-ricreative e sportive relative al demanio lacuale e fluviale, nonché ai beni destinati a porti turistici, approdi e punti di ormeggio;

Nel mentre di quanto sopra la Corte Costituzionale, in varie occasioni, annullava talune disposizioni regionali che prevedevano il diritto di insistenza e il rinnovo automatico della concessione (cfr. le n. 171 del 4 luglio 2013 n. 171, n. 180 del 12 maggio 2010 e n. 340 del 26 novembre 2010), per contrasto con i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario in tema di diritto di stabilimento e di tutela della concorrenza.

Analoghi principi venivano poi affermati dalla Giustizia Amministrativa (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 25 gennaio 2005 n. 168 e, nello stesso senso, in epoca più recente Cons. Stato, Sez. VI, 31 gennaio 2017 n. 394).

Sino a che, con la nota sentenza Sez. V, 14 luglio 2016 (cause riunite C-458/14 e C-67/15), la Corte di Giustizia UE affermò che la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali si pone in contrasto sia con l'articolo 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE, e sia con l'art. 49 del TFUE (in quest'ultimo caso, ove si configuri un interesse transfrontaliero).

II. Le ultime disposizioni, in ordine di tempo, tramite le quali il legislatore interno ha reintrodotto una proroga automatica delle concessioni sono oggetto della recente sentenza del Tar Toscana in commento.

Trattasi, in particolare:

- dell'art. 1, l. 135 / 2018, che, secondo quanto previsto dai commi 682 e 683, ed al dichiarato fine di garantire "la tutela e la custodia delle coste" nonché di "tutelare l'occupazione e il reddito delle imprese in grave crisi per i danni subiti dai cambiamenti climatici", dispone la proroga delle concessioni vigenti sino al 2033;

-e dell'art. 182, comma 2, del d.l. n. 34/2020 (c.d. "Decreto Rilancio"), che, nella versione applicabile alla res controversa, prevede la prosecuzione dei rapporti concessori in atto anche per le aree e le relative pertinenze che siano oggetto di riacquisizione già disposta o comunque avviata o da avviare, oppure di procedimenti di nuova assegnazione; quanto sopra con motivazione relativa alla emergenza da COVID-19, alla necessità di assicurare la certezza dei rapporti giuridici, ed, infine, alla "parità di trattamento tra gli operatori".

III. La vicenda materiale al centro del contendere riguarda un ricorso per l'annullamento di una determinazione dirigenziale comunale di attivazione del procedimento per la formalizzazione della estensione della durata delle concessioni demaniali marittime con finalità turistico ricreative sino al 31 dicembre 2033.
Peculiarmente, il gravame è stato proposto dalla Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – Antitrust (A.G.C.M.), a seguito della mancata conformazione al parere reso in precedenza dalla stessa A.G.C.M. nei confronti del comune, ai sensi dell'art. 21- bis della L. n. 287/1990.
A sua volta, l'intervento di A.G.C.M. origina dalla segnalazione di un privato cittadino.

Questo il principale percorso argomentativo della sentenza:

- già prima ancora della sentenza della Corte di Giustizia del 2016, la giurisprudenza ha largamente aderito ad una interpretazione dell'art. 37 cod. nav. che privilegia l'obbligo di esperimento di una procedura di selezione pubblica, vista l'esigenza di applicare le norme interne conformemente ai principi comunitari in materia di libera circolazione dei servizi, di par condicio, di imparzialità e di trasparenza, quali sanciti dalla direttiva 123/2016/CE;

-la sottoposizione ai principi di evidenza trova il suo presupposto nella circostanza che con la concessione dell'area demaniale marittima si fornisce un'occasione di guadagno a soggetti operanti sul mercato, tale da imporre una procedura competitiva ispirata ai principi di trasparenza e non discriminazione;

-con la già citata sentenza, la Corte di Giustizia UE ha definitivamente sancito che il TFUE e la direttiva 123/20016 ostano ad una misura nazionale che preveda la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati;

- l'operatività delle proroghe disposte dal legislatore nazionale non può quindi che essere esclusa in ossequio alla pronuncia del 2016 del giudice eurounitario, come già stabilito dal Consiglio di Stato, Sez. VI, 18 novembre 2019, n. 7874, con riferimento:

-sia alle proroghe disposte dall'art. 1, comma 18, d.l. n. 194/2009 e dall'art. 34-duodecies, d.l. 179/2012, e, a decorrere dal 1°gennaio 2013, dall'art. 1, comma 547, l. 228/ 2012;

-e sia alla proroga prevista fino al 2033 all'art. 1, comma 683, l. 145/2018;

-la pronuncia pregiudiziale della Corte di Giustizia crea l'obbligo del giudice nazionale di uniformarsi ad essa, disapplicando la norma interna contrastante, e detto obbligo si pone per lo Stato membro in tutte le sue articolazioni e, quindi, anche per l'apparato amministrativo e per i suoi funzionari;

-tali principi sono stati recentemente ribaditi dalla Corte Costituzionale, con sentenza n. 10 del 29 gennaio 2021, in relazione ad una norma di legge regionale che prevedeva un meccanismo di rinnovo automatico delle concessioni demaniali marittime già esistenti;
-quanto al presupposto applicativo (della direttiva 2006/123/CE) afferente la limitatezza delle risorse le spiagge sono beni naturali il cui numero è ontologicamente limitato, come statuito di recente dal Consiglio di Stato, Sez. IV, 16 febbraio 2021, n. 1416, nonché nella ulteriore procedura di infrazione avviata dalla Commissione Europea il 3 dicembre 2020 per le stesse norme qui in esame.

-infine, e per quanto riguarda la situazione emergenziale, la direttiva consente di considerare eventuali motivi di interesse generale solo nell'ambito delle regole della procedura di selezione, laddove, peraltro, nella specie la proroga è stata disposta in via generalizzata ed omnibus.

IV. Se, da un lato, la decisione non si segnala per l'affermazione di principi di innovativa portata, è invece di particolare interesse il raffronto con quanto deciso dal Tar Puglia – Lecce, Sez. I, 27 novembre 2020, 1322/2020, posto che tale decisione viene talora indicata come portatrice di enunciato a pro della legittimità delle proroghe di cui alla normativa nazionale.
Nell'occasione, difatti, il Tar Lecce, pronunciando sul gravame di un concessionario, ha annullato il provvedimento con cui il Comune era intervenuto in autotutela rispetto ad una proroga concessoria da esso stesso in precedenza disposta, ritenendola illegittima per contrasto con la normativa europea.
Ma, a ben vedere, il disallineamento non riguarda il tema della illegittimità della norma interna, e dei riflessi rispetto ad eventuali proroghe disposte in base ad essa dall'amministrazione concedente.
Difatti la decisione, se da un lato si disinteressa dal tema (che rimane sullo sfondo), dall'altro ammette che il contrasto tra gli ordinamenti può senz'altro essere sollevato da parte di un soggetto terzo.

Piuttosto, a detta del Tar Puglia l'obbligo di disapplicazione non si applica alla pubblica amministrazione, in quanto:

- l'enunciato di tale obbligo non sarebbe basato su norme europee di diritto positivo, ma solo in una una e "isolata" recente pronuncia della Corte di Giustizia;

-se è pur vero che, come affermato più volte dalla Corte Costituzionale (sentenze nn. 113/85 e 39/89) pure le sentenze interpretative della Corte di Giustizia sono dotate di immediata efficacia e vincolatività, ciò varrebbe per le sole sentenze che possano dirsi effettivamente tali, dovendosi escludere tale novero quelle che riguardano la interpretazione delle direttive;

-in mancanza di una norma positiva che sancisca l'obbligo di disapplicazione in capo alla pubblicazione amministrazione, la "isolata" pronuncia di cui sopra non può essere ritenuta "interpretativa" e dunque vincolante.

Ciò, all'evidenza, lascia del tutto impregiudicata la possibilità tanto di un operatore terzo che aspiri al rilascio di concessione, quanto eventualmente di A.G.C.M. (come nel caso del Giudice Toscano), di agire chiedendo la disapplicazione della normativa interna che prevede la proroga (o il rilascio) senza procedura competitiva.

Laddove, peraltro, l'opinione del Tar Puglia risulta comunque assai poco convincente, posto che:

-la sussistenza di un onere di disapplicazione in capo all'amministrazione non è oggetto di pronunce né recenti né isolate, dacchè il medesimo trovasi affermato nelle risalenti e plurime sentenze della Corte di Giustizia 22 giugno 1989 (F.lli Costanzo, causa 103/1988, peraltro contro il Governo Italiano), 19 gennaio 1982 (Becker, causa 8/81) e 26 febbraio 1986 (Marshall, causa 152/84):

- la declamazione di tale onere poggia sulla interpretazione di un dato normativo, come rappresentato dall'art. 189 del Trattato CE (oggi, art. 249 del Trattato di Maastricht), ed in particolare sull'assunto che le direttive cd self executing hanno valore vincolante analogo a quello dei regolamenti;

-a questo ultimo riguardo, la Corte di Giustizia 22 giugno 1989 ha osservato che sarebbe contraddittorio statuire che i singoli possono invocare dinanzi ai giudici nazionali le disposizioni di una direttiva aventi i requisiti sopramenzionati, ed al contempo ritenere che l'amministrazione non sia tenuta ad applicare le disposizioni della direttiva disapplicando le norme nazionali ad esse non conformi;

- come già sopra illustrato, la Corte di Giustizia del 2016, ha radicato la propria decisione anche nella ritenuta violazione dell'art. 49 del TFUE;

-infine, ammessa anche (per mera ipotesi) l'assenza di un dovere di disapplicazione in capo alla p.a., lo stesso dovere riguarda invece certamente il Giudice, che, di fatto, nello specifico caso ha applicato una regola contrastante con il diritto europeo.

a cura di Fabio Andrea Bifulco

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