Concorrenza sleale appropriarsi di nomi di clienti prestigiosi
Ampliata la nozione di appropriazione di pregi: non è pubblicità menzognera
Scatta la concorrenza sleale per l’appropriazione dei pregi di un’altra impresa, se il vanto, immeritato, serve ad acquisire meriti non posseduti. Una condotta parassitaria per “agganciamento” a danno dell’impresa virtuosa, che si verifica anche quando si ostenta sul proprio sito Internet il carnet di clienti di un’altra società. La Corte (sentenza 19954) allarga la nozione di appropriazione di pregi, come atto illecito di pericolo. E inserisce nella concorrenza sleale anche l’indicazione di nome di clienti prestigiosi, per i quali però la società non lavora.
Una condotta che la Corte d’Appello aveva considerato, al più, come pubblicità menzognera ai danni del mercato.
Ad essere citata in giudizio un’agenzia pubblicitaria accusata da una Srl, sempre attiva nel campo della comunicazione, di aver messo sul sito Internet aziendale nomi di clienti di una certa risonanza, per i quali, si lasciava intendere, erano state curate in passato campagne pubblicitarie.
Per la Corte d’Appello, come per il Tribunale, la concorrenza sleale appropriativa o per sottrazione non c’era. I nomi dei clienti non configurano, infatti, un pregio per l’azienda ma «semplici elementi storici del livello imprenditoriale raggiunto». La controparte si è dunque solo vantata o ha fatto una pubblicità menzognera a danno del mercato e non del singolo concorrente che non era stato denigrato. Circostanza che si verifica in molti altri casi, quando si ostentano, ad esempio, strutture inesistenti, sedi prestigiose o tecnologie mirabolanti.
Per la Corte d’Appello pesa anche il fatto che l’amministratore unico della società citata in giudizio era stato, in passato, socio della compagnia ricorrente.
In più i nomi dei clienti “contesi” erano stati prontamente rimossi dal sito appena ricevuta la diffida giudiziale. Per la Suprema corte non basta. Nello specifico non si può parlare semplicemente di pubblicità non veritiera, ma è configurabile l’appropriazione di pregi del concorrente. Un abuso ravvisabile quando nella pubblicità, o in forme di comunicazione equivalenti, l’imprenditore attribuisce ai propri prodotti qualità possedute da quelli di un’altra impresa, considerate positive dal mercato, turbando così la libera scelta del cliente.
Esibire come propri clienti considerati di prestigio, è un modo per dimostrare la qualità del servizio reso: un’appropriazione di “pregi” in realtà riferibile ad altri.
La concorrenza sleale, può essere esclusa solo quando si attribuiscono alle proprie creazioni qualità inesistenti: in tal caso tutto si risolve in un vantaggio per l’operatore scorretto , senza un diretto pregiudizio per la concorrenza.