Famiglia

Conflitti nelle scuole, progetti diffusi da mettere in rete

Le iniziative incentrate sulla mediazione scolastica sono più di una, ma manca un approccio sistematico

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di Beatrice Dalia

C’è una materia invisibile oggi nella scuola italiana, che genera un gran malessere e che, se fosse valutata, frutterebbe una sonora insufficienza all’alleanza formativa. Si tratta della competenza conflittuale, ovvero della capacità di risolvere in maniera costruttiva attriti e contrasti tra tutti i protagonisti della formazione (docenti, alunni, famiglie). Gli episodi di bullismo e violenza che i mass media spesso ci restituiscono sono espressioni apicali di un analfabetismo relazionale che non sempre è reato, ma comunque fa male alla scuola. Il modo giusto di comportarsi, di litigare o semplicemente di stare con gli altri è un’abilità che si presume acquisita in partenza, a casa, in oratorio, al circolo sportivo; si tratta di quella condizione di base che invece oggi spesso manca e finisce con l’esasperare la principale agenzia educativa nel suo ruolo di palestra di vita. Ma la scuola dell’autonomia e della tecnologia fatica a trovare anche spazi per insegnare, o meglio, in una prospettiva di reciprocità necessaria, per re-imparare umanità. Ben vengano allora tutti gli interventi di sostegno alla relazione educativa, capaci di agire in modo trasversale sui firmatari di quel patto formativo che a inizio anno si riconsegna sottoscritto all’istituto scolastico.

Se si sceglie di ricominciare dall’incontro e dalla effettiva condivisione di regole e priorità, allora la mediazione scolastica è una risorsa poliedrica di cui tener conto. Nata negli anni Settanta negli Stati Uniti nell’ambito di training per la difesa dei diritti civili, si è poi diffusa anche in Europa, principalmente nella sua declinazione di formare dei facilitatori tra gli stessi alunni o docenti, così da aiutare la gestione sana del conflitto nella propria scuola. Ed è questo anche il senso del progetto promosso dal Garante Infanzia e Adolescenza, che approccia il problema del disagio e della possibile devianza, passando da un “modello disciplinare”, basato sulla sola punizione, a un modello di responsabilizzazione, che dia contemporaneamente centralità al recupero della frattura creata da comportamenti disturbanti tra compagni.

Esistono, in verità, altre scuole riparative, sparse dal Nord al Sud Italia, che da anni piantano semi di pacificazione all’interno di istituti in cui dirigenti illuminati o professori coraggiosi hanno scelto di chiedere aiuto. Come pure esistono tanti progetti di mediazione scolastica, per lo più rivolti ai gradi superiori di istruzione, presentati da mediatori familiari, mediatori penali o mediatori civili e commerciali, che offrono sportelli di mediazione esterni, “aule di mediazione” gestite da facilitatori interni, incontri dimostrativi o giochi didattici. Ma la mediazione scolastica può anticipare la sua efficacia di sostegno: nell’infanzia e nella primaria può diventare sostegno alla creazione del gruppo classe; e può essere anche formazione docenti.

Le idee e le possibilità di intervento a cura di esperti del conflitto in una scuola così soffocata dal conflitto sono numerose; quello che manca è un approccio sistematico, magari dall’alto, che crei le condizioni affinché tutti questi rivoli virtuosi confluiscano nel fiume unico di un tipo di aiuto specifico e specialistico. Alla mediazione scolastica, insomma, serve una visione d’insieme che va di pari passo con l’esigenza di investimenti istituzionali mirati a salvaguardare l’umanità della scuola.

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