Giustizia

Insulti, violenze, danni: a scuola si ripara con la mediazione

Si è chiuso a maggio il progetto voluto dall’Autorità garante per l’infanzia e realizzato in 13 istituti: corsi di formazione per studenti, docenti, Ata e genitori per aiutare a comporre i conflitti

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di Valentina Maglione

Il confronto e il dialogo, l’ascolto e l’empatia, con il sostegno della mediazione, si fanno spazio accanto alle tradizionali punizioni per rispondere alle situazioni conflittuali che nascono a scuola. L’utilizzo di questi strumenti è stato infatti al centro del progetto «Riparare: conflitti e mediazione a scuola», voluto dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza e realizzato in collaborazione con la cooperativa Dike e l’Istituto Don Calabria.

Il progetto, chiuso a maggio, è nato dal presupposto, come spiega l’Autorità garante, Carla Garlatti, che «il conflitto è fisiologico, ma bisogna imparare a litigare bene, ascoltando l’altro. E occorre riconoscere la frattura per ripararla e ricostruire la relazione, per il bene di tutti: dopo le liti nelle classi nascono fazioni che rovinano l’armonia». Nelle 13 scuole che hanno partecipato al progetto (11 secondarie di primo grado e due superiori), sono stati realizzati incontri di formazione alla mediazione per studenti e adulti – docenti, personale Ata e genitori – e sono stati aperti “spazi” per l’incontro, sempre volontario, tra le parti in conflitto e i mediatori; è stato introdotto un metodo per raccogliere le richieste di aiuto: dal basso, imbucando la domanda in una scatola, e dall’alto, con la segnalazione degli insegnanti; e le scuole hanno inserito la mediazione nel regolamento scolastico e nel patto di corresponsabilità.

Sono le prime “scuole riparative”, al centro anche del Manifesto elaborato al termine del progetto. Una rete che Garlatti vorrebbe rafforzare e allargare: «Sto pensando – anticipa – a una nuova edizione del progetto».

Il contesto

Nei fatti, i conflitti a scuola sono quotidiani e talvolta hanno manifestazioni estreme. Come è successo, lo scorso anno scolastico, a Rovigo, dove una docente è stata colpita con una pistola ad aria compressa, o ad Abbiategrasso, dove un’altra professoressa è stata accoltellata da uno studente. Vicende a cui la scuola non risponde in modo uniforme. A Rovigo gli studenti coinvolti avevano ricevuto voti in condotta elevati, poi abbassati su sollecitazione del ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, che ha annunciato misure per dare più valore al voto in condotta e modificare la sospensione, sostituendola con «attività di cittadinanza solidale».

Dall’Autorità garante era già arrivata, a prescindere da questa vicenda, la proposta di inserire la mediazione tra le materie di insegnamento.

Intanto, è stata approvata in commissione alla Camera (ed è attesa in Aula per metà luglio) una proposta di legge bipartisan che punta a prevenire gli atti di bullismo e cyberbullismo e, per i casi più gravi, prevede percorsi di rieducazione e riparazione, che possono coinvolgere le famiglie.

Il progetto

Le iniziative del Garante vengono da lontano. L’esperienza-pilota risale al 2016 e ha coinvolto cinque scuole. Sull’onda dei riscontri, l’Autorità ha diffuso un bando, in risposta al quale è stato presentato il progetto delle “scuole riparative”, avviato nel 2019 e che ha coinvolto 13 scuole. «Siamo partiti dalla nostra esperienza nella giustizia riparativa e nella mediazione penale, che nel processo affiancano l’accertamento delle responsabilità e la pena – spiega Federica Brunelli, mediatrice della cooperativa Dike –. Nello stesso modo abbiamo pensato di portare la mediazione e la riparazione a scuola, accanto alle sanzioni disciplinari, creando due canali paralleli che si parlano».

Tra le cinque scuole coinvolte fin dal 2016 c’è l’Istituto «Alzavole» di Roma. «Siamo una scuola di periferia – spiega l’insegnante Maria Luisa Garosi – e nelle classi si incontrano e a volte si scontrano culture molto diverse. La forza mediatrice dei ragazzi spesso funziona per trovare una via d’uscita». Tra i conflitti composti, Garosi ricorda quello tra due ragazzi, uno di origine marocchina e l’altro rumena: «Li abbiamo convinti ad andare in mediazione e lì si sono ascoltati, hanno scoperto dei punti in comune e si sono capiti». In mediazione le parti possono accordarsi sulle vie per riparare la frattura: dal decidere di giocare una partita di calcio in squadra insieme al trovarsi per fare i compiti, dalla promessa di non litigare più fino alla scelta di non considerarsi.

«Il primo passo da fare, dopo aver ricevuto la segnalazione del conflitto, è capire se le parti sono disponibili a mediare», osservano Teresa Cianniello e Liberata Sannino, insegnanti all’Istituto «70 Marino Santa Rosa» di Napoli, anch’esso tra le scuole pioniere. «I mediatori incontrano le parti separatamente e solo dopo, se c’è consenso, si va in mediazione. Da noi gli insegnanti partecipano come facilitatori, ma fanno tutto i ragazzi».

È invece entrato nel progetto solo quest’anno il liceo artistico «Passoni» di Torino. «Abbiamo terminato a maggio la formazione – spiega il professor Leonzio Gobbi – e abbiamo interpretato in modo creativo le “scatole” in cui inserire le richieste di aiuto, realizzando dei manichini con abiti e tasche. La mediazione è utile anche per risolvere i conflitti tra adulti: i ragazzi possono aiutare perché lo strumento mette tutti sullo stesso piano».

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