Consulta: il vento dell'Europa soffia sul cognome
Va in soffitta una visione patriarcale. Doverosa, dunque, nel nostro paese, una rilettura dei meccanismi di attribuzione del cognome, soprattutto dopo la sentenza Cusan Fazzo della Cdu
A conferma dell'incidenza della giurisprudenza della comunitaria su quella italiana, la Consulta afferma la legittimità del doppio cognome paterno e materno abbandonando quel principio ormai sentito come discriminatorio e subito dalla madre impossibilitata dall’antichissima consuetudine di attribuire il solo cognome paterno al figlio legittimo ovvero naturale congiuntamente riconosciuto da entrambi i genitori. L’automatismo nell’attribuzione del cognome paterno rimanda ad una regola radicata nel costume sociale e all’esigenza di ancorare la garanzia costituzionale dell’unità della famiglia, concetti questi largamente superati, come già indicato più volte dalla CEDU.
I principi affermati dalla Consulta
La Corte Costituzionale con la storica sentenza depositata il 31 maggio (Corte Costituzionale, 31 maggio 2022 n. 131) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale:
- dell’articolo 262, primo comma, del codice civile, nella parte in cui prevede, con riguardo all’ipotesi del riconoscimento effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori, che il figlio assume il cognome del padre, anziché prevedere che il figlio assume i cognomi dei genitori, nell’ordine dai medesimi concordato, fatto salvo l’accordo, al momento del riconoscimento, per attribuire il cognome di uno di loro soltanto;
- della norma desumibile dagli articolo 262, primo comma, e 299, terzo comma, codice civile, 27, comma 1, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia) e 34 del Dpr. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127), nella parte in cui prevede che il figlio nato nel matrimonio assume il cognome del padre, anziché prevedere che il figlio assume i cognomi dei genitori, nell’ordine dai medesimi concordato, fatto salvo l’accordo, alla nascita, per attribuire il cognome di uno di loro soltanto;
- dell’articolo 299, terzo comma, codice civile, nella parte in cui prevede che «l’adottato assume il cognome del marito», anziché prevedere che l’adottato assume i cognomi degli adottanti, nell’ordine dai medesimi concordato, fatto salvo l’accordo, raggiunto nel procedimento di adozione, per attribuire il cognome di uno di loro soltanto;
- dell’articolo 27, comma 1, della legge n. 184 del 1983, nella parte in cui prevede che l’adottato assume il cognome degli adottanti, anziché prevedere che l’adottato assume i cognomi degli adottanti, nell’ordine dai medesimi concordato, fatto salvo l’accordo, raggiunto nel procedimento di adozione, per attribuire il cognome di uno di loro soltanto.
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La questione del cognome nella giurisprudenza della Consulta
Ciascun individuo si distingue, attraverso il prenome, dagli altri componenti della sua famiglia – che possiedono lo stesso cognome – nonché, per il cognome, da coloro che appartengono ad altri consorzi familiari. Da qui il riconoscimento al cognome di una valenza sociale – e, dunque, di una funzione di natura pubblicistica – connessa all’interesse dell’intera società ad identificare i propri componenti. (Lenti, voce Nome e cognome, in Dig. disc. priv., sez. civ., 2001, Torino, 135 ss.). Tale concetto è pure richiamato anche al paragrafo 9 della sentenza 131 della Consulta. D’altro canto, il noto brocardo latino nomen est omen sta a significare come il nome sia pur sempre un auspicio per colui che lo porta.
La maggior parte delle questioni sui cognomi dei minori hanno riguardato proprio casi di filiazione naturale, come anche il caso che ha portato alla sentenza della Consulta. Infatti, per i figli nati fuori dal matrimonio, la disciplina è meno rigida in quanto la regola è che il figlio assume il cognome del genitore che effettua il riconoscimento, precisandosi che in caso di riconoscimento congiunto di entrambi i genitori il figlio assume, ovviamente, il cognome del padre. In ultimo, a riprova del forte sentimento patriarcale che anima il diritto civile italiano, l’articolo 262, 3 comma, del codice civile italiano stabilisce che nel caso in cui il figlio sia stato riconosciuto prima dalla madre, acquisendone, dunque, il cognome, e successivamente anche dal padre, il figlio può assumere il cognome del padre aggiungendolo, anteponendolo o, addirittura, sostituendolo a quello della madre
La Corte costituzionale con le ordinanze (Corte costituzionale n. 176 del 1988 e Corte costituzionale n. 586 del 1988) esplicitamente affermò che non sussiste l’illegittimità costituzionale del sistema di attribuzione del cognome paterno ai figli legittimi, assumendo che il principio costituzionale dell’uguaglianza giuridica e morale dei coniugi incontri un limite nell’esigenza di salvaguardare l’unità della famiglia. Nel 2006 la Consulta (Corte costituzionale 12 febbraio 2006, n. 61), si è pronunciata sull’argomento, affermando che: “l’attuale sistema di attribuzione del cognome dei figli è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistica, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’eguaglianza tra uomo e donna”, richiamando, altresì, “il vincolo – al quale i maggiori Stati europei si sono già adeguati – posto dalle fonti convenzionali, e, in particolare, dall’articolo 16, comma 1, lettera g), della Convenzione sulla eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, adottata a New York il 18 dicembre 1979, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 14 marzo 1985, n. 132, che impegna gli Stati contraenti ad adottare tutte le misure adeguate per eliminare la discriminazione nei confronti della donna in tutte le questioni derivanti dal matrimonio e nei rapporti familiari e, in particolare, ad assicurare «gli stessi diritti personali al marito e alla moglie, compresa la scelta del cognome…”. Al tempo stesso la Corte costituzionale dichiarava che la scelta tra le varie opzioni prospettabili per superare la predetta discriminazione esorbitava dai poteri della Corte medesima, dovendo tale scelta essere affidata alla discrezionalità del legislatore.
Sebbene già da diverso tempo, diversi paesi in Europa consentano ai nascituri l’attribuzione del solo cognome della madre, da solo o in aggiunta a quello del padre (ad esempio, il sistema tedesco ha adottato la scelta congiunta del cognome familiare all’atto del matrimonio; quello spagnolo, la regola del doppio cognome; quello francese consente ai genitori di attribuire al proprio figlio sia il cognome paterno che quello materno, sia i loro due cognomi posti nell’ordine scelto da loro nel limite di un cognome per ciascuno), in Italia, fino alla decisione odierna della Consulta, la regola era quella dell'attribuzione del cognome paterno, sancita, per i figli nati fuori dal matrimonio, dall’art. 262 comma 1 del codice civile, in base al quale il figlio assume il cognome del genitore che lo ha riconosciuto e, nel caso in cui il riconoscimento avvenga contemporaneamente da parte di entrambi i genitori il figlio assume il cognome del padre.
La sentenza della Consulta
Con ricorso per la rettificazione di atto di stato civile presentato dinanzi al Tribunale di Bolzano ex art. 95, D.P.R. n. 396 del 2000 Tizio e Caia, fra loro non coniugati, chiedevano l'attribuzione del solo cognome materno alla figlia da loro riconosciuta contestualmente.
Il Tribunale di Bolzano con un’ordinanza di remissione del 17 ottobre 2019, n. 78 aveva sollevato dinanzi alla Consulta questione di legittimità costituzionale rispetto all'art. 262, primo comma, codice civile, nella parte in cui non consente ai genitori, di comune accordo, di trasmettere al figlio, al momento della nascita, il solo cognome materno per violazione delle disposizioni della Costituzione: articoli 2, 3, intesi quale tutela dell'identità personale e riconoscimento dell'uguaglianza tra la donna e l'uomo (cfr. art. 29, eguaglianza morale e giuridica dei coniugi); articolo 11 e 117, comma 1, Costituzione rispetto agli articoli 8 e 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali intesi quali tutela della vita privata e familiare e divieto di discriminazione, articolo 11 e 117, comma 1, Costituzione rispetto agli articoli 7 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea intesi quali rispetto della vita privata e della vita familiare e divieto di discriminazione.
La Corte Costituzionale con l’ordinanza dell’11 febbraio 2021 n. 18 aveva disposto l’autorimessione delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 262, comma 1, c.c., nella parte in cui, in mancanza di diverso accordo dei genitori, impone l’acquisizione alla nascita del cognome paterno, anziché dei cognomi di entrambi i genitori, in riferimento agli artt. 2, 3 e 117, comma 1, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU.
Nelle sue motivazioni, il Giudice delle Leggi aveva rilevato che il sistema attuale è il portato di una concezione patriarcale della famiglia e dei poteri del marito, non più compatibile con il principio costituzionale di uguaglianza tra uomo e donna. Doverosa, dunque, nel nostro paese, una rilettura dei meccanismi di attribuzione del cognome, soprattutto dopo la sentenza Cusan Fazzo della C.E.D.U. nella quale viene ricordata l’importanza di procedere verso l’uguaglianza tra i sessi, attraverso l’eliminazione delle discriminazioni fondate sul sesso nella scelta del cognome ed affermando che la tradizione di imporre il cognome paterno non può giustificare una discriminazione nei confronti delle donne: «excessivement rigide et discriminatoire envers les femmes (Cusan et Fazzo [paragrafo] 67)»
Conseguentemente, l’impossibilità di derogare alle disposizioni che impongono l’attribuzione del solo cognome paterno, è stata ritenuta una violazione dell’articolo 14 combinato con l’articolo 8 della Convenzione.
Il caso Cusan et Fazzo sempre richiamato nelle sue ultime sentenze dalla Consulta, ha dato la stura ad una serie di proposte di modifica dell’ordito normativo del nostro Paese, ma non è certamente stato il primo che è stato risolto dalla CEDU.
Nel caso Losonci Rose e Rose c. Svizzera (sentenza 9 novembre 2010, n. 664/06) la pronuncia della Corte riguarda la necessità, in base al diritto svizzero, per i coniugi che vogliano assumere il cognome della moglie, di presentare alle autorità nazionali una richiesta comune, in assenza della quale viene loro attribuito esclusivamente il cognome del marito.
Allo stesso modo, qualche anno più tardi, nel caso ÜnalTekeli c. Turchia (sentenza 16 novembre 2004, n. 29865/96) la Corte ha affermato che la legge turca che impone ad una donna coniugata di portare il cognome del marito o di far precedere il cognome del marito al proprio, sia incompatibile, in quanto discriminatoria, rispetto agli artt. 8 e 14 della CEDU.
In tutte queste decisioni la Corte ha quindi concluso per la violazione degli articoli 8 e 14 della Convenzione, valorizzando l'eguaglianza dei sessi e la necessità di eliminare ogni discriminazione di natura sessuale nella scelta del cognome, posto che la tradizione di dichiarare l'unità della famiglia attraverso l'attribuzione a tutti i suoi membri del solo cognome del marito non giustifica una discriminazione nei confronti delle donne.
L’effettiva realizzazione dell’identità personale si attua anche attraverso l’affermazione del diritto del figlio ad essere individuato tramite l’attribuzione del cognome di entrambi i genitori, considerato il riconoscimento del paritario rilievo di tali figure nel processo di costruzione dell’identità medesima. In sostanza, si tratta di una opzione che consente al minore di rendere percepibile all’esterno la filiazione da ambedue i genitori. Inoltre non risulta nella specie dedotto alcun pregiudizio in ordine ad un’eventuale negativa reputazione della madre, tale da rendere non opportuna l’aggiunta del suo cognome e, peraltro, il minore non ha raggiunto la fase adolescenziale o preadolescenziale della sua vita, avendo cinque anni, per cui non ha ancora acquisito una definitiva, piena e formata identità, eventualmente suscettibile di sconsigliare l’aggiunta del cognome materno a quello paterno che lo ha accompagnato sin dalla nascita.
Conclude la Consulta: “Ne consegue che, per poter attribuire al figlio il cognome di uno dei genitori, è necessario il loro accordo, non surrogabile in via giudiziale, in quanto implica la scelta di identificare con il cognome di uno dei genitori il duplice legame con il figlio. In mancanza di tale accordo, devono attribuirsi i cognomi di entrambi i genitori, nell’ordine dagli stessi deciso.
Ove difetti l’accordo sull’ordine di attribuzione dei cognomi dei genitori, che è parte della regola suppletiva, si rende necessario dirimere il contrasto e lo strumento che le norme vigenti consentono, attualmente, di approntare è quello dell’intervento giudiziale.”