Comunitario e Internazionale

Consumatore garantito solo se la prestazione è accessoria alla vendita

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di Marina Castellaneta

La Corte di giustizia dell’Unione europea, con la sentenza depositata il 7 settembre (causa C-247/16, Schottelius), ha chiarito a quali condizioni la normativa Ue a tutela dei consumatori può essere applicata anche ai contratti d’opera. Il caso al centro del rinvio pregiudiziale è stato sollevato dal Tribunale del Land di Hannover (Germania) che – prima di risolvere la controversia interna – ha chiesto agli eurogiudici di interpretare l’articolo 3 della direttiva 1999/44, circa alcuni aspetti della vendita e delle garanzie di beni di consumo (direttiva recepita in Italia con il Dlgs 24/2002).

Il caso
Al centro della controversia tedesca, i lavori di ristrutturazione di una piscina situata nel giardino dell’abitazione di una coppia. Il marito aveva affidato l’incarico a un imprenditore e aveva ceduto alla moglie, proprietaria della piscina, i diritti di garanzia di cui era titolare nei confronti dell’imprenditore stesso. Ultimati gli interventi, erano però spuntati diversi vizi relativi all’impianto di pulizia. E l’impresa si era rifiutata di intervenire, opponendo anche un diniego al pagamento delle spese che il marito aveva sostenuto per rimediare ai difetti. Di qui l’azione giurisdizionale della moglie.

I giudici tedeschi, prima di decidere, hanno chiesto a Lussemburgo di chiarire la portata dell’articolo 3 della direttiva 1999/44, in base al quale il venditore risponde al consumatore «di qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene». In questi casi, a tutela della parte debole, è inoltre previsto che il consumatore abbia diritto al ripristino senza spese o a una riduzione adeguata del prezzo, oppure alla risoluzione del contratto.

I giudici europei
La Corte di giustizia ha innanzitutto chiarito che la direttiva 1999/44 si applica ai contratti di vendita. Motivo per cui ha ritenuto necessario accertare se l’attività dell’imprenditore che ha ristrutturato la piscina potesse essere equiparata a una simile tipologia o dovesse essere classificata tra i contratti d’opera (con la conseguente impossibilità di far scattare la protezione per il consumatore, visto che l’atto europeo è applicabile solo ai contratti di vendita).

È vero – osservano gli eurogiudici – che la direttiva non fornisce una nozione esplicita di “contratto di vendita”, ma certo non è possibile rinviare agli ordinamenti nazionali per classificare un atto come vendita, perché questo impedirebbe un’interpretazione autonoma e identica della direttiva. Per garantire una “lettura” uniforme in tutto lo spazio Ue, è pertanto necessario rifarsi al diritto dell’Unione.

La direttiva equipara i contratti di prestazioni di servizi alla vendita: ciò significa che la vendita di un bene, che però dev’essere prima fabbricato o prodotto, rientra nell’ambito di applicazione della direttiva, così come l’installazione del bene stesso. Ma a patto che la prestazione di servizi sia «solo accessoria alla vendita».

Se invece – come nel caso di un contratto d’opera per la ristrutturazione di una piscina – è la vendita dei beni necessari all’attività a rivestire in realtà una funzione accessoria rispetto alla prestazione, il contratto non può essere classificato tra quelli di vendita: risultando quindi impossibile applicare la direttiva e le garanzie disposte a tutela della parte debole. E questo a prescindere dalle diverse qualificazioni degli ordinamenti nazionali.

Corte di giustizia Ue, sentenza del 7 settembre 2017

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