Contestazioni del Garante privacy, in assenza di nuove memorie difensive il titolo si cristallizza nel verbale
La ha chiarito con un principio di diritto la Cassazione, sentenza n. 26974 depositata oggi, relativamente al caso di un comune che aveva pubblicato dati sensibili nel Piano di emergenza presente sul web
La Cassazione, sentenza n. 26974 depositata oggi, ha respinto il ricorso del comune di Origgio contro la cartella esattoriale notificatagli a seguito della contestazione del Garante per la privacy che aveva accertato la violazione (dell'art. 22, ottavo comma) del codice della privacy (Dlgs n. 196 del 2003) per il trattamento illecito di dati sensibili della cittadinanza in occasione della pubblicazione sul sito istituzionale del "Piano di emergenza". Nel documento infatti erano stati indicati, tra l'altro, i dati sulla salute dei cittadini in relazione all'individuazione delle abitazioni civili di anziani o diversamente abili, con indicazione dell'indirizzo completo e, in alcuni casi, del numero telefonico, della data di nascita e della condizione di disabilità.
Contro questa decisione il comune ha eccepito dei vizi procedimentali. Sia il tribunale che la Corte di appello hanno bocciato il ricorso. La Suprema corte però oggi ne corregge la motivazione affermando che diversamente da quanto ritenuto dal tribunale, i motivi spesi dal comune erano in astratto ammissibili, perché l'orientamento prevalente è nel senso che in caso di opposizione "recuperatoria" avverso la cartella esattoriale fondata sull'omessa o invalida notifica dell'ordinanza-ingiunzione (per esempio in relazione al ricorso gerarchico avverso il verbale di accertamento per infrazione al codice della strada), il ricorrente ha l'onere di dedurre, non soltanto la mancanza o l'invalidità della notificazione dell'ordinanza, atto presupposto sui cui si basa la cartella, ma anche i vizi che attengono al merito della pretesa sanzionatoria, dalla cui omessa deduzione consegue in vero l'inammissibilità dell'opposizione.
Tuttavia prosegue la Corte, l'opposizione era palesemente infondata, perché tratta da un'affermazione in contrasto col dato normativo applicabile (art. 18 del d.lgs. n. 101 del 2018): l'affermazione per cui in casi del genere la cartella sarebbe stata da considerare il primo atto contenente la pretesa a fronte del silenzio del Garante in ordine alla necessaria emissione dell'ordinanza-ingiunzione.
Così invece non è, spiega la Cassazione, per la ragione che il comune non aveva presentato nuove memorie difensive secondo il regime normativo al quale la fattispecie procedimentale era stata assoggettata. In altre parole, attenendo allo sviluppo procedimentale quei motivi prospettavano vizi suscettibili di travolgere la stessa possibilità di adottare la cartella. Ma ciò, prosegue la decisione, avrebbe presupposto che fosse stata presentata la ripetuta "nuova memoria", a meno di ritenere – cosa che come detto va esclusa – che l'intero meccanismo procedimentale dell'art. 18 fosse illegittimo.
Nel rigettare il motivi di ricorso la Prima sezione civile ha dunque enunciato il seguente principio di diritto: «l'art. 18 del d.lgs. n. 108 (101 ndr) del 2018, attuativo del GDPR, ha introdotto una deroga all'art. 16 della l. n. 689 del 1981 quanto ai procedimenti sanzionatori per violazione degli artt. 161, 162, 162-bis, 162-ter, 163, 164, 164-bis, comma 2, del Codice in materia di protezione dei dati personali, tale per cui, in ipotesi di mancata definizione e di mancata presentazione di "nuove memorie difensive", il titolo si cristallizza nel verbale di contestazione, ove codesto contenga tutti gli elementi necessari a individuare una ben determinata pretesa sanzionatoria; donde la cartella di pagamento che sia successivamente notificata costituisce non il primo atto teso a far valere la pretesa patrimoniale, sebbene e proprio l'atto della riscossione, la quale è consentita mediante il ruolo, stante la definitività del titolo a monte».