Penale

Continuazione tra i reati, no alla pena base del più grave se è inferiore agli altri

Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 24324 depositata oggi e segnalata per il Massimario

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di Francesco Machina Grifeo

In caso di reati in continuazione, la pena base non può essere inferiore al minimo edittale del reato meno grave ma che tuttavia è punito più severamente nel minimo. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 24324 depositata oggi e segnalata per il Massimario, che ha accolto il ricorso del Pg della Corte di appello di Bologna.

Il caso era quello di un uomo condannato, a seguito di un patteggiamento, dal GUP del Tribunale di Forlì a 2 anni di reclusione con pena sospesa (subordinata allo svolgimento di un percorso di recupero), per i seguenti reati: stalking aggravato (art. 612-bis c.p.) nei confronti della ex compagna a cui procurava, mediante minacce anche attraverso strumenti informatici, un perdurante stato d’ansia; furto con strappo (art. 624-bis, co. 2 c.p.) perché durante una pedinamento le aveva sottratto la borsa. E ancora tentata violenza sessuale aggravata e lesioni (art. 609-bis, art. 582 e 585 c.p.) per aver aggredito la donna, sua coinquilina, tentando di costringerla a un rapporto sessuale, colpendola e minacciandola con un coltello, procurandole lesioni aggravate guaribili in 30 giorni.

Nel ricorso, il Pg ha lamentato la violazione degli artt. 80, co. 2, e 624-bis, co. 2, Cp, per avere applicato, ritenuta la continuazione, una pena base inferiore al minimo edittale previsto per il furto con strappo (art. 624-bis, co. 2, Cp). Infatti, sebbene il reato più grave fosse stato correttamente individuato nella tentata violenza sessuale, il minimo edittale previsto per la fattispecie tentata, ossia due anni, era inferiore a quello previsto per il furto con strappo, pari al doppio, ossia a 4 anni di reclusione.

Per la Terza sezione penale il ricorso è fondato. È vero, argomenta la Corte, che si deve considerare più grave il delitto che ha il massimo edittale più elevato. Tuttavia, qualora il giudice intenda graduare al livello più basso la dosimetria della pena, “non gli è consentito applicare una pena-base inferiore al minimo edittale previsto per uno qualsiasi dei reati unificati dall’identità del disegno”.

Pertanto, prosegue la Corte, in caso di reati unificati dall’identità del disegno criminoso, “ove uno di essi sia punito con pena più elevata nel massimo e l’altra con pena più elevata nel minimo, la pena da irrogare in concreto non può essere inferiore alla seconda previsione edittale”.

Venendo poi più specificamente al patteggiamento, il Collegio afferma che deve essere annullata senza rinvio ex art. 448, comma 2-bis, Cpp, in quanto dà luogo all’applicazione di una pena illegale, “la sentenza che recepisce un accordo tra le parti relativamente ad un reato continuato per il quale la pena base risulti quantificata, a seguito di una errata individuazione del reato più grave, in misura inferiore al minimo edittale di altro reato considerato satellite”.

In un simile caso, non può neppure farsi ricorso alla procedura di rettificazione (art. 619, co. 2, Cpp), per applicare d’ufficio, una misura della pena esulante dall’accordo intervenuto, “in quanto l’imputato, di fronte ad essa, avrebbe potuto non rinnovare la richiesta, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., e optare per il rito ordinario”.

Da qui l’annullamento senza rinvio della sentenza con trasmissione degli atti al tribunale di Forlì.

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