Contratto a termine: la Legge di conversione salva dal ritorno del contenzioso. Da aprile 2024 palla alle Parti Sociali
Da aprile 2024 palla alle Parti Sociali
Come accade ormai di consueto, nuovo Governo e nuova riforma del contratto tempo determinato. Ma, differentemente delle aspettative più liberali, le modifiche introdotte dal c.d. “Decreto Lavoro ” sono state più di facciata che di sostanza.
Anzi, con l’intento di dare stimolo - almeno in parte - alla flessibilità, si è rischiato di replicare gli errori del passato con l’inserimento del c.d. “causalone” che negli anni passati aveva generato migliaia di contenziosi in materia di contratto a tempo determinato.
A porre rimedio a tale situazione ci ha pensato il Parlamento che, con la Legge di Conversione n. 85/2023, ha apportato un correttivo – pur temporaneo – che consiste nell’azzerare la situazione dei contratti a termine già conclusi così da consentire la stipula di nuovi contratti a termine per un massimo di 12 mesi, ancora senza l’indicazione di “causali”.
Anche in questa Legislatura è arrivata l’ennesima modifica della disciplina di legge in materia di contratto a tempo determinato e con essa le relative difficoltà interpretative.
Da un punto di vista generale, l’intervento deciso dal Governo con il Decreto-Legge 4 maggio 2023, n. 48, ha confermato alcune delle previgenti disposizioni in materia.
Innanzitutto, ha confermato il termine di 12 mesi quale arco di durata temporale in cui le Parti possono stipulare contratti a tempo determinato senza l’indicazione di specifiche motivazioni (c.d. “ acasuale ”). Allo stesso tempo, è stato confermato il rinvio alla contrazione collettiva (di settore o aziendale) quale fonte che deve stabilire i casi che consentono una prosecuzione del rapporto a tempo determinato superiore ai 12 mesi (nel rispetto del termine massimo di 24 mesi o del diverso termine previsto dal CCNL); anche tale previsione non è una novità in quanto la possibilità era già stata introdotta nella precedente Legislatura con l’art. 41-bis della Legge n. 106/2021.
Infine, è stata anche confermata la possibilità di proseguire il contratto anche oltre i 12 mesi mediante l’apposizione della c.d. causale sostitutiva (e quindi per sostituzioni maternità, malattia lunghe, etc.).
La vera novità circa le regole generali della normativa in materia di contratto a tempo determinato riguarda quindi, da un lato, l‘abrogazione delle ulteriori causali che erano state introdotte dal “Decreto Dignità” (in realtà poco utilizzate in quanto di difficile applicazione) e, dall’altro, l’introduzione di una nuova causale.
In particolare, con l’art. 24, comma 1, lett. b) il Decreto Legge ha previsto che nei casi in cui i contratti collettivi applicati nelle aziende non abbiano ancora individuato delle causali aziendali o di settore, e solo sino al 30 aprile 2024, le aziende e i lavoratori possano prolungare i contratti a termine sino a 24 mesi (o sino al diverso termine previsto dal CCNL) anche “ per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti ” (oltre che per esigenze sostitutive).
Con tale norma, temporanea, l’intento del Legislatore era probabilmente quello di garantire una boccata di flessibilità che consentisse alle aziende (almeno sino all’aprile 2024) di avere contratti a termine più lunghi con una causale meno rigida. Ma, agli addetti ai lavori, la formulazione legale delle “esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva” ha da subito richiamato i fantasmi del passato. Tale formulazione riprende, infatti, la dizione che era prevista dal d.lgs. 368/2001 (ossia la normativa in materia di contratto a termine vigente dal 2001 al 2014). Proprio in applicazione di tale normativa, le aziende avevano stipulato migliaia di contratti con causali organizzative (es. i noti “picchi di attività”) che, successivamente, erano state contestate e dichiarate nulle dai Tribunali italiani in quanto non sufficientemente specifiche.
Basti pensare che nel 2011, e quindi in piena vigenza del d.lgs. 368/2001, le cause iscritte a ruolo in materia di contratto a termine erano circa 8.000, mentre nel 2016 e quindi dopo l’entrata in vigore del Jobs Act che aveva abrogato la necessità delle causali, le controversie in materia di contratto a termine erano sensibilmente calate a circa 1.000.
Con la causale prevista dal Decreto-Legge vi era quindi il reale rischio di un ritorno al contenzioso (negativo in quanto fonte di incertezza sia per le aziende che per i lavoratori) o, di una sostanziale inefficacia di tale previsione in ragione del timore delle aziende nell’applicare una normativa che negli anni aveva già portato notevoli incertezze.
A rispondere a tali preoccupazioni è intervenuta la Legge di Conversione 3 luglio 2023, n. 85. L’art. 1 della Legge n. 85 ha aggiunto il comma 1-ter all’art. 24 del Decreto-legge prevedendo che: “Ai fini del computo del termine di dodici mesi previsto dall’articolo 19, comma 1, e dall’articolo 21, comma 01, del decreto legislativo n. 81 del 2015, come modificati dai commi 1 e 1-bis del presente articolo, si tiene conto dei soli contratti stipulati a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto”.
Quindi, di fatto, la Legge di conversione consente alle Parti di stipulare nuovi contratti a termine di durata massima di 12 mesi privi di causali, anche qualora il periodo di 12 mesi “ a-causale” fosse già stato utilizzato in forza di contratti termine stipulati prima del 5 maggio 2023.
Bisogna però considerare che, come confermato anche dalla recente Circolare del Ministero del Lavoro n. 9 del 9 ottobre 2023, tale intervento non è da considerare quale una liberatoria assoluta in quanto lo “ azzeramento ” riguarda solo l’applicazione delle causali mentre restano fermi gli ulteriori limiti previsti dal d.lgs. n. 81/2015. Restano quindi ferme la durata massima nei casi di successione di contratti a termine pari a 24 mesi (salvo deroga del CCNL), i limiti percentuali, etc..
L’intervento della Legge di Conversione rende di fatto in gran parte inutile l’utilizzo del “ causalone ” che, come detto, resta in vigore solo sino al 30 aprile 2024 in quanto, nella gran parte dei casi, tale periodo potrebbe essere coperto con un nuovo contratto a-causale. Tale regime normativo – pur temporaneo - dovrebbe evitare, almeno nel breve, il ritorno di un ampio contenzioso in materia di contratti a termine.
D’altra parte, è utile ricordare che, in assenza di ulteriori interventi normativi, da aprile 2024 - o comunque esauriti gli effetti dello “azzeramento” - i contratti a termine superiore a 12 mesi saranno possibili solo in presenza di “causali sostitutive” o in presenza di accordi sindacali che prevedano altri “ casi ”. Da tale data quindi il destino del contratto a termine è nelle mani delle Parti Sociali.
______
*A cura dell’Avv. Simone Brusa, Daverio&Florio