Lavoro

Legittimo il licenziamento per giusta causa in presenza di irregolarità contabili, anche se di modesto valore

Nota a Corte di Cassazione, Sez. Civile, Sentenza 7 maggio 2025, n. 11985

Exclusion from company. Disciplinary violation of system integrity, non-conformist. Inappropriate, incompetent employee. Dismissal. Exit, leave. Psychological pressure, coercion to dismiss.

di Alessandra Zilla, Alesia Hima*

Con sentenza n. 11985 del 7 maggio 2025, la Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa irrogato a un lavoratore che, nell’esercizio delle proprie mansioni di cassiere, si era reso responsabile di reiterate irregolarità contabili, consistenti principalmente nell’omissione della registrazione di operazioni di vendita e nel mancato rilascio degli scontrini fiscali. Secondo la Suprema Corte, tali condotte, ancorché riferibili a importi di modesto valore e pur in assenza di un accertamento puntuale di appropriazioni indebite, sono comunque idonee a compromettere in modo irreversibile il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e dipendente.

I vari gradi di giudizio

La vicenda trae origine da un controllo interno attivato dall’azienda tramite una società di investigazioni, che aveva riscontrato ripetute anomalie nella gestione delle operazioni di cassa da parte del dipendente, tali da determinare l’avvio del procedimento disciplinare e il successivo licenziamento per giusta causa.

Il provvedimento espulsivo veniva impugnato giudizialmente dal dipendente.

Il Tribunale, con ordinanza resa all’esito della fase sommaria ex art. 1 commi 51 n. 92/2012, e con successiva sentenza confermativa resa nella fase dell’opposizione, accoglieva il ricorso del dipendente, annullando il provvedimento datoriale e condannando quest’ultimo al pagamento della relativa indennità risarcitoria.

Secondo il giudice di primo grado, il datore di lavoro non aveva fornito prova in merito ai fatti addebitati al dipendente. In particolare, ad avviso del giudice, i documenti contabili prodotti dalla società non risultavano attendibili, gli sbilanci di cassa riscontrati erano stati ritenuti fisiologici e privi di rilevanza disciplinare e la mera assenza di un’esatta corrispondenza tra gli importi non registrati e le eccedenze di cassa non consentiva di desumere alcuna appropriazione indebita. Inoltre, il Tribunale aveva ritenuto che l’utilizzo della medesima postazione di cassa da parte di più operatori, mediante un unico codice identificativo, rendesse incerta l’attribuzione esclusiva delle irregolarità contestate al lavoratore licenziato.

La Corte d’Appello di Palermo, in riforma della sentenza di primo grado, ha accolto il reclamo proposto dalla società e rigettato integralmente l’impugnazione del lavoratore.

Contrariamente alle valutazioni rese dai giudici di primo grado, la Corte d’Appello ha ritenuto raggiunta la prova degli addebiti attraverso il plurimo e convergente corredo indiziario derivante dalle dichiarazioni rese dal personale investigativo e dal riscontro offerto dagli ammanchi di cassa, nonché dalla disamina critica delle prove testimoniali e documentali.

Di conseguenza, i giudici d’appello hanno ritenuto legittimo il licenziamento, osservando come le condotte accertate rappresentassero, in relazione alla funzione ricoperta dal dipendente e al di là della esiguità dei valori sottratti, una violazione grave e reiterata degli obblighi di correttezza e fedeltà, tale da giustificare la risoluzione immediata del rapporto di lavoro.

La decisione della Corte di Cassazione

Il lavoratore ha proposto ricorso per Cassazione, articolando cinque motivi, tra cui l’omesso esame da parte della Corte d’Appello di fatti decisivi del giudizio e, in particolare, dell’asserita appropriazione del corrispettivo delle vendite.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando integralmente la decisione impugnata. Gli Ermellini hanno infatti evidenziato che, ai fini della legittimità del licenziamento per giusta causa, non è necessario fornire la prova di un’appropriazione indebita in senso stretto, essendo sufficiente l’esistenza di condotte che, per la loro gravità, oggettiva e soggettiva, siano idonee a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario.

Nel caso in esame, la reiterata omissione delle registrazioni contabili e la mancata emissione degli scontrini, in assenza di una giustificazione plausibile, integra un comportamento doloso che, anche in assenza di un danno patrimoniale significativo, compromette la futura affidabilità del lavoratore nello svolgimento delle proprie mansioni.

La Corte ha, inoltre, ribadito che il principio di proporzionalità deve essere valutato non solo con riferimento al danno economico effettivo, ma anche alla natura e alla frequenza delle violazioni, nonché al ruolo ricoperto dal dipendente. In tal senso, è irrilevante la modesta entità delle somme coinvolte, essendo preminente l’esigenza di tutela dell’integrità del rapporto fiduciario, soprattutto in presenza di condotte ripetute nel tempo e riferibili con certezza al lavoratore.

In conclusione, secondo la Cassazione, la mancanza della registrazione di operazioni di cassa e il mancato rilascio di scontrini fiscali, anche per importi modesti, possono costituire giusta causa di licenziamento qualora siano espressione di un atteggiamento volontario, reiterato e lesivo dell’obbligo di fedeltà, idoneo a incrinare in via definitiva la fiducia del datore di lavoro. Non occorre, pertanto, la prova specifica dell’appropriazione indebita, essendo sufficiente la presenza di condotte che inducano a dubitare della correttezza futura dell’adempimento.

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*Alessandra Zilla (Managing Associate) e Alesia Hima (Junior Associate), De Luca & Partners

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