Lavoro

Covid, non è illegittimo il licenziamento del dirigente durante la pandemia

Per la Consulta, sentenza n. 141 depositata oggi, il trattamento differenziato rispetto ai dipendenti non contrasta con l’articolo 3 della Costituzione

La Corte costituzionale, con la sentenza numero 141 depositata oggi, si è pronunciata sulle questioni di legittimità costituzionale, sollevate dalla Corte di cassazione e dalla Corte d’appello di Catania, delle disposizioni che, durante l’emergenza epidemiologica da Covid-19, hanno stabilito il divieto dei licenziamenti individuali per ragioni economiche dei lavoratori subordinati, senza ricomprendervi la categoria dei dirigenti.

Le previsioni in esame sono state ritenute non in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, essendo rinvenibili valide ragioni atte a giustificare sul piano costituzionale il trattamento differenziato riservato alla categoria dei dirigenti, per i quali, comunque, i licenziamenti collettivi nel periodo della pandemia sono stati assoggettati al “blocco”.

La Corte ha anzitutto precisato che la valutazione cui è stata chiamata deve esclusivamente focalizzarsi sulla nozione legale di «dirigente», quale prestatore di lavoro subordinato che la legge distingue rispetto alle categorie dei quadri, impiegati e operai (articolo 2095 cod. civ.). Ciò non toglie che la contrattazione collettiva possa riconoscere la qualifica di dirigente anche al di là della nozione legale. E parimenti il datore di lavoro può attribuire tale qualifica come trattamento di miglior favore.

La sentenza ha, quindi, sottolineato che, a livello di disciplina generale, per effetto della peculiare posizione di autonomia e discrezionalità, che il dirigente, vero e proprio alter ego dell’imprenditore, ricopre all’interno dell’azienda, e dei suoi poteri rappresentativi, egli possiede un particolare status che giustifica, nei suoi confronti, l’applicazione del regime della libera recedibilità, senza le garanzie previste dalla disciplina sui licenziamenti individuali. Quello stesso status, tuttavia, e sempre a livello di disciplina generale, non esclude che ai dirigenti sia applicabile il regime dei licenziamenti collettivi, al pari delle altre categorie di lavoratori.

L’asimmetria delle tutele è stata coerentemente riproposta dal legislatore nella disciplina eccezionale introdotta durante il periodo emergenziale, ricalcando, per i dirigenti, i medesimi confini applicativi delle regole ordinarie sui licenziamenti (collettivi e individuali per motivi oggettivi): la misura del “blocco” è stata infatti calibrata a seconda che si tratti di recesso individuale (non vietato) ovvero collettivo (sottoposto al divieto).

Con questa scelta, rimessa alla propria ampia discrezionalità, il legislatore si è mosso in maniera non manifestamente irragionevole, nel rispetto delle condizioni di legittimità, già in passato enucleate dalla Corte – eccezionalità, temporaneità e proporzionalità – che devono assistere le norme eccezionali varate durante il periodo dell’emergenza sanitaria. Il “blocco” dei licenziamenti, ispirato da valutazioni afferenti non al solo terreno dei rapporti individuali di lavoro, ma rispondenti ad esigenze necessariamente più generali, di natura sociale ed economica, ha infatti costituito una misura eccezionale e temporanea, perché legata alla durata della pandemia, nonché proporzionata all’effettiva necessità, secondo la logica della extrema ratio, sulla base di una ragione oggettivamente imperativa di interesse comune, e comunque contemperata con il minor sacrificio possibile dei vari interessi in gioco.

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