Lavoro

Anticipazione mensile del TFR, i recenti interventi di INL e Cassazione confermano l’illegittimità

Commento a Nota INL n. 616/2025 e Corte di Cassazione, Sez. L Civile, Sentenza 20 maggio 2025, n. 13525

Il Trattamento di Fine Rapporto (TFR), denominato anche “indennità di anzianità”, “indennità di servizio” o “liquidazione”, è un’indennità proporzionata agli anni di servizio svolti dal lavoratore che viene accantonata dal datore di lavoro, rivalutata nel tempo e liquidata alla fine del rapporto, quale che sia la causa dell’interruzione della prestazione lavorativa (raggiungimento dell’età pensionistica, licenziamento, dimissioni etc.), e che ha lo scopo di fornire al dipendente un sostegno per il superamento delle difficoltà economiche connesse al venir meno della retribuzione mensile.

Il diritto alla liquidazione del trattamento di fine rapporto costituisce un diritto futuro, per cui l’eventuale rinuncia effettuata dal lavoratore, prima dell’interruzione del rapporto lavorativo, è radicalmente nulla ai sensi dell’art. 1418 c.c., comma 2, e art. 1325 c.c., per mancanza dell’oggetto, non essendo ancora il diritto entrato nel patrimonio del lavoratore e non essendo sufficiente l’accantonamento delle somme già effettuato dal datore di lavoro.

Già solo questi tratti essenziali del TFR sono sufficienti a definirne il ruolo di ammortizzatore sociale diretto, mettendo in luce l’eccezionalità che accompagna l’istituto dell’anticipazione.

In proposito, l’art. 2120 c.c. individua i motivi in presenza dei quali il lavoratore può chiedere e ottenere, prima della cessazione del rapporto di lavoro, un anticipo del TFR già maturato, ovvero per:

a) eventuali spese sanitarie, per terapie o interventi straordinari riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche;

b) acquisto della prima casa di abitazione per sé o per i figli, purché documentato;

c) spese da sostenere per periodi di congedo parentale o per formazione (art. 7, Legge 53/2000).

A tali ipotesi si aggiungono poi, quelle previste dai contratti collettivi o da patti individuali ovvero da accordi aziendali. 

Come noto la disciplina codicistica appena vista è stata oggetto di una deroga sperimentale disposta dalla Legge di Stabilità 2015 (Legge n. 190/2014) e valida dal 1° marzo 2015 al 30 giugno 2018, prevista a favore dei lavoratori dipendenti del settore privato con almeno sei mesi di anzianità presso lo stesso datore di lavoro.

La novità introdotta dall’art. 1, commi da 26 a 34, della Legge di Stabilità n. 190/2014, permetteva ai lavoratori di ricevere il TFR mensilmente in busta paga, tramite la cosiddetta QUIR (Quota Integrativa della Retribuzione).

Tuttavia, dopo la fase sperimentale questa misura non è stata prorogata e va ritenuta illegittima, dopo il 30.06.2018, anche ove concordata in ragione di patti individuali.

Infatti, l’anticipazione del TFR è legittima solo in presenza di specifici presupposti, quali:

1. necessità di causali tipiche per l’anticipazione, come elencate dall’art. 2120, ultimo comma, c.c.;

2. regola dell’una tantum, per cui l’anticipazione è possibile una sola volta;

3. importo massimo di anticipazione (70%);

4. tetto minimo di anzianità lavorativa (8 anni di servizio) del lavoratore;

5. tetto massimo di richieste che il datore può accordare (10% degli aventi diritto ogni anno; 4% del totale dei dipendenti).

Ebbene, pur essendo ammissibile un accordo individuale che ampli i limiti normativi all’anticipazione del TFR, non è ammissibile che tale accordo vada a stravolgere la funzione del TFR ed il meccanismo dell’anticipazione, derogando sia alla necessaria presenza di una causa giustificatrice dell’anticipazione che alla regola dell’una tantum.

In proposito, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, con la nota n. 616/2025, ha precisato che l’erogazione sistematica del TFR in busta paga, al di fuori dei casi previsti dalla legge, pur essendo divenuta una prassi largamente utilizzata in alcuni settori, quale quelli del lavoro a tempo determinato, stagionale e domestico, non è conforme alla normativa.

Infatti, l’erogazione automatica e mensile del rateo TFR in busta paga costituisce una mera integrazione retributiva contrastante con la ratio dell’istituto che, come precisato, è quella di assicurare al lavoratore un supporto economico al termine del rapporto di lavoro.

La nota dell’INL ha trovato conferma nella sentenza della Corte di Cassazione del 20.05.2025, n. 13525, nella quale si afferma che: “L’anticipazione del t.f.r. operata in modo continuativo mediante accredito mensile nella busta paga viene a snaturare la funzione dell’anticipazione quale deroga, per ragioni eccezionali da soddisfare una tantum, alla regola generale per cui il t.f.r. deve essere accantonato mensilmente. L’anticipazione mensile, peraltro senza causale, contrasta irrimediabilmente con l’accantonamento mensile del t.f.r., e fa sì che l’anticipazione non sia più una deroga eccezionalmente prevista alla regola di accantonamento mensile, ma si ponga quale sistema pattizio capace di contrastare, e svuotare, il meccanismo di funzionamento legale del t.f.r.”.

Alla luce di tali precisazioni, è chiaro che la prassi spesso utilizzata dalle aziende di procedere all’erogazione mensile del TFR, ove disposta, trasforma la somma erogata in una componente retributiva ordinaria ai sensi dell’art. 51 TUIR per il principio di onnicomprensività del reddito di lavoro e, pertanto, ogni somma è assoggettata a contribuzione previdenziale e fiscale con conseguente obbligo, per il personale ispettivo, di intimare al datore di lavoro l’accantonamento delle quote di TFR illegittimamente anticipate attraverso l’adozione del provvedimento di disposizione di cui all’art. 14 del D.Lgs. n. 124 del 2004.

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*Avv. Claudia De Marco e Avv. Biagio Giancola, Weadvise

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