Correzione errore materiale, non scatta la condanna alle spese
Lo hanno chiarito le Sezioni unite civili, sentenza n. 24932 depositata oggi, affermando che non è configurabile una situazione di soccombenza neppure nell’ipotesi di resistenza all’istanza
Nessuna condanna alle spese può essere disposta all’esito di un procedimento di correzione degli errori materiali contenuti in una sentenza. Tale procedimento infatti ha natura “sostanzialmente amministrativa” e in nessun caso può configurarsi una “soccombenza”; neppure dunque quando l’altra parte, partecipando al contraddittorio, si opponga alla correzione. Lo hanno chiarito le Sezioni unite civile, sentenza n. 24932 depositata oggi, accogliendo il ricorso di un soggetto condannato a pagare le spese dopo che il tribunale aveva dichiarato inammissibile la sua istanza di correzione, a cui la controparte si era opposta.
Il massimo consesso ha così confermato l’orientamento prevalente. Secondo l’orientamento minoritario, invece, ferma l’inammissibilità di una statuizione sulle spese in caso di istanza congiunta o non opposta, a essa invece occorre far luogo ove sorga contrasto in ordine all’ammissibilità o alla fondatezza dell’istanza di correzione.
A questa lettura fa riferimento l’ordinanza di rimessione laddove pone alle S.U. il quesito nei seguenti termini: «se, in tema di procedimento di correzione di errori materiali, ove la parte non ricorrente si costituisca e resista all’istanza di correzione, così contrapponendo il proprio interesse a quello proprio della parte ricorrente, si configuri, all’esito del giudizio, una situazione di soccombenza che impone al giudice di provvedere sulle spese processuali, ai sensi dell’art. 91 cod. proc. civ.». Di più, per il Collegio rimettente «né la struttura camerale né la funzione volontaria del procedimento sono incompatibili con la presenza di un reale contrasto di interessi tra le parti in conflitto» e, pertanto, “nel momento in cui tale contrasto si verifica, attraverso la costituzione della parte non ricorrente e la sua resistenza all’istanza di correzione, questo deve essere composto nel rispetto del principio del contraddittorio, e ciò anche sul piano del regolamento delle spese processuali”.
Per le Sezioni unite tuttavia ciò non basta a dimostrare che altrettanto possa avvenire nel procedimento di correzione di errore materiale, “a ciò ostando le peculiarità di tale procedimento, che non ne consentono una assimilazione non solo ai procedimenti contenziosi, ma neppure ai procedimenti di volontaria giurisdizione”.
Il procedimento di correzione degli errori materiali, anche quando viene instaurato a iniziativa di una sola parte, non implica l’affermazione di un diritto nei confronti dell’altra o delle altre parti, né realizza una statuizione sostitutiva di quella contenuta nel provvedimento corretto. La funzione svolta è soltanto quella di “recuperare la corrispondenza tra l’espressione formale e il contenuto sostanziale di un già emesso provvedimento”. Si tratta cioè di emendare gli errori intervenuti nella redazione del documento, rilevabili ictu oculi. In tal senso, prosegue la Corte, “può convenirsi con l’affermazione che attribuisce al provvedimento che lo conclude natura sostanzialmente amministrativa”.
Il giudice, dunque, non esercita la potestas iudicandi, della quale si è già irreversibilmente spogliato con l’emissione del provvedimento corrigendo; né è necessaria una nuova procura non aprendosi una nuova fase processuale, “ma un mero incidente dello stesso giudizio”, che dunque resta pienamente “compatibile con il giudicato”.
In definitiva per la Cassazione va enunciato il seguente principio di diritto: “Nel procedimento di correzione degli errori materiali, ex artt. 287-288 e 391-bis cod. proc. civ., in quanto di natura sostanzialmente amministrativa e non diretto a incidere, in situazione di contrasto tra le parti, sull’assetto di interessi già regolato dal provvedimento corrigendo, non può procedersi alla liquidazione delle spese, non essendo configurabile in alcun caso una situazione di soccombenza, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 91 cod. proc. civ., neppure nella ipotesi in cui la parte non richiedente, partecipando al contraddittorio, opponga resistenza all’istanza”.
Nel caso concreto, invece, il Tribunale di Foggia, avendo rigettato l’istanza di correzione e pronunciato condanna alle spese nei confronti dell’istante e in favore della parte che a quella istanza si era opposta, ha atto applicazione di una regola di giudizio contraria all’enunciato principio. Ragion per cui la Corte ha ritenuto fondato il motivo di ricorso diretto a contestare l’ammissibilità nel procedimento de quo di una pronuncia sulle spese.