Civile

Corsi professionalizzanti, frequentatori tutelati come “consumatori”

La Corte di cassazione, sentenza n. 8120 depositata oggi, ha chiarito che non si può ritenere professionista chi aspiri ad una professione che in quel momento tuttavia non ha ancora

di Francesco Machina Grifeo

Maggiori tutele per gli aspiranti “professionisti” che seguono un corso di formazione professionale. In caso di contenzioso con la società organizzatrice essi devono essere considerati “consumatori” e non “professionisti” in quanto ancora non hanno acquisito la relativa qualifica. La Corte di cassazione, sentenza n. 8120 depositata oggi, ha così accolto il ricorso di un aspirante estetista contro la sentenza del Tribunale che lo condannava a saldare le rate non pagate a seguito della sospensione della fruizione del corso.

Il caso - La società lo aveva convenuto in giudizio per ottenerne il pagamento della somma residua, non avendo corrisposto otto delle dodici rate. La ricorrente si era difesa eccependo la vessatorietà delle clausole che consentivano il recesso ad libitum alla controparte, ma non a lei, e che comunque prevedevano l’obbligo di pagare le rate residue a prescindere dalla causa del recesso: clausole non sottoscritte specificamente, ma in blocco. Inoltre, aveva eccepito la impossibilità sopravvenuta di fruire della prestazione, essendo emersa l’esigenza di accudire il figlio.

Il Giudice di Pace ha respinto la domanda della società, ritenendo fondate le eccezioni. Il Tribunale di Lecce invece ha ribaltato il verdetto escludendo che la donna potesse avere agito in qualità di consumatore, ed ha altresì escluso la vessatorietà delle clausole e la rilevanza dell’impedimento ai fini della risoluzione del contratto o comunque della impossibilità della prestazione.

Proposto ricorso, la donna ha obiettato che nel momento in cui il contratto è stato stipulato lei non aveva una professione e non ha dunque agito in qualità di professionista, ma di consumatrice.

Per la Terza sezione civile il ricorso è fondato. “La ricorrente – si legge nella decisione - non ha stipulato il contratto nell’esercizio della sua professione, o per scopi inerenti all’attività professionale svolta. Lo ha stipulato allo scopo di acquisire una professione ossia di diventare professionista in futuro: in quel momento non lo era”.

La circostanza, del resto, prosegue la Corte, è stata ammessa dallo stesso giudice di merito il quale ha assunto che la ricorrente non ha agito per “esigenze estranee all’attività lavorativa, benché potenziale”. Anche in tal caso, prosegue la Corte, “l’errore è evidente: è professionista chi, nel momento in cui stipula, esercita la professione ed agisce per finalità a questa inerenti. Non si può ritenere professionista, e dunque non consumatore, chiunque aspiri ad una professione, che in quel momento tuttavia non ha ancora”.

E ricorda che l’articolo 3 del Dlgs n. 206 del 2005 definisce il consumatore come la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o commerciale eventualmente svolta. La ricorrente, però, in quel momento “non svolgeva alcuna attività imprenditoriale o commerciale o professionale, semmai mirava ad acquisirla in futuro”.

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