Amministrativo

Corte dei conti e politica, fra i tre contendenti non gode nessuno

Da qualche giorno si discute sul “controllo concomitante” della Corte dei conti sull’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr)

di Giovanni Maria Flick

Da qualche giorno si discute – con un crescendo di tensione che per fortuna sembra stemperarsi – sul “controllo concomitante” della Corte dei conti introdotto ed esercitato dagli anni '90 e affidato a una Commissione della Corte con la legge del 2021 sull’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).

La Corte aveva espresso delle critiche sulla tardività e/o irrealizzabilità di alcune iniziative esercitando quel controllo. La maggioranza propone ora di cancellarlo per ragioni di necessità, urgenza ed efficienza con un emendamento – in cui inoltre si proroga lo “scudo erariale per le ipotesi di colpa grave” – da introdurre nella legge successiva ora in discussione per la convalida parlamentare di un decreto legge sulla pubblica amministrazione.

La Corte ha protestato, richiamando la propria indipendenza garantita dalla Costituzione e la necessità di un controllo oculato in tema di Pnrr. L’opposizione ha accusato la maggioranza di voler invece indebolire il controllo: una escalation per un duplice obiettivo. Da un lato la delegittimazione dei “poteri istituzionali”: Presidenza della Repubblica, Corte costituzionale, magistrature e autorità di controllo, a favore della maggioranza e del Governo da essa espresso. Da un altro lato una prospettiva di schieramento politico con i membri sovranisti dell’Unione europea.

L’Ue a sua volta ha, forse maldestramente, manifestato l’intenzione di accendere un faro sull’efficienza del controllo interno italiano sull’attuazione del Pnrr, che era stata promessa. L’Italia ha replicato che si tratta di “affari nostri”; l’Unione ha controreplicato che però si tratta di “soldi suoi”, in parte in prestito.

È pacifico che un controllo interno introdotto per legge può per legge essere sempre modificato o eliminato. È però evidente anche che una polemica come quella nata su questo problema sollevi qualche perplessità se sorge proprio mentre si discute di se e come modificare il Pnrr. Non è certo questo il momento più opportuno per farne un affare di Stato e un fattore di crisi fra Italia e Unione europea.

A ben vedere si tratta solo di verificare in primo luogo se il metodo utilizzato per la modifica legislativa sia corretto; non dannoso per l’efficacia del controllo; rispettoso degli impegni assunti; conforme al principio – sottolineato più volte dal Presidente della Repubblica e dalla Corte costituzionale a proposito della convalida parlamentare dei decreti-legge – di omogeneità e congruenza dell’emendamento con la nuova legge in discussione per la convalida di un altro e successivo decreto-legge.

Si tratta poi di verificare se i rilievi della Corte dei conti siano la causa unica della richiesta di abrogazione; o se quest’ultima nasca in termini generali e non legati a un caso concreto, da una sperimentata inadeguatezza della legge che ha affidato prima alla Corte e ora a una sua Commissione il controllo “concomitante”.

Si tratta infine di capire di che cosa dovrebbe discutere il tavolo programmato tra Governo ed esponenti della Corte dei conti. La legge finché esiste va applicata; se si sbaglia nell’applicarla vi sono rimedi per cancellare quella decisione; se la legge non funziona, occorre cambiarla con le forme prescritte per l’esecuzione delle funzioni legislative: “quartum” non datur.

Valeva perciò la pena di dare occasione a un turbine di sospetti reciproci a carico dell’uno o dell’altro fra i tre contendenti finendo col creare una tempesta in un bicchier d’acqua col valido contributo degli organi di informazione?

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