Penale

Covid-19, le "mascherine di collettività" non sono presidi: nessun reato se manca il marchio CE

La Cassazione, sentenza n. 29578 depositata ieri, ha annullato il sequestro di 26mila mascherine disposte dal Gip del Tribunale di Genova nel maggio scorso presso un ferramenta

immagine non disponibile

di Francesco Machina Grifeo

Non commette alcun reato il grossista di "mascherine di collettività" prive di certificazioni. Soltanto le "mascherine chirurgiche", o comunque quelle vendute come presidi medici, qualora sprovviste del marchio CE possono infatti dar luogo alla truffa in commercio (515 del c.p.). Lo ha chiarito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 29578 depositata il 26 ottobre, accogliendo il ricorso di due imprenditori contro il sequestro (probatorio e preventivo) convalidato nel maggio scorso dal Pm e dal Gip del Tribunale di Genova di 26mila mascherine.

Secondo i ricorrenti, i prodotti sequestrati non erano qualificabili né come dispositivi medicali né come mascherine chirurgiche né, infine, come dispositivi di protezione individuale ma, semplicemente, come mascherine della collettività, sicché non erano soggette alla presenza dei requisiti indicati dal Tribunale.

Una lettura condivisa dalla III Sezione penale secondo cui il giudice è caduto in una vera e propria "petizione di principio". Nel provvedimento di sequestro infatti il tribunale qualificando come "chirurgiche" le mascherine ne ha poi dedotto la contraffazione. Mentre, spiega la Corte, non è vero che "la cessione di qualsivoglia tipologia di mascherine da apporre di fronte al viso al fine di evitare la emissione di particelle di saliva nell'atto del respirare e del parlare o comunque di schermare gli organi periferici della respirazione", laddove prive della certificazione di regolarità della normativa anti Covid-19, "integri la violazione dell'art. 515 cod. pen.". Tale norma infatti sanziona penalmente la cessione di beni "laddove questi siano diversi, per origine, provenienza, qualità o quantità, rispetto ai beni dichiarati o pattuiti".

Ma nel caso specifico non era stata fornita alcuna evidenza che le mascherine fossero state vendute come "presidi medici ai fini della prevenzione del contagio da Covid-19, unica condizione questa che, imponendo le certificazioni sarebbe stata necessaria ed idonea a far ritenere astrattamente integrato il reato". Del resto, conclude la Cassazione, elemento non trascurabile è che il sequestro è avvenuto in un negozio di ferramenta e non presso una farmacia.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©

Correlati

Fabio Andrea Bifulco

Riviste

Marco Proietti e Simone Chiavolini

Riviste