Responsabilità

Cremazione a 10 anni dalla sepoltura, scatta il risarcimento se i parenti non l'hanno autorizzata

La Cassazione, sentenza n. 370/2023, ha riconosciuto la lesione di un diritto costituzionale dei congiunti e conseguentemente liquidato il danno non patrimoniale

di Francesco Machina Grifeo

La cremazione non autorizzata, a dieci anni dalla morte, lede la libertà culto e fonda il diritto dei parenti del defunto al risarcimento del danno non patrimoniale subito per la lesione di un diritto costituzionale inviolabile come la libertà di religione. Con una interessante sentenza, la n. 370 del 2023, la Corte di cassazione ha così respinto il ricorso della concessionaria dei servizi cimiteriali di Torino contro la condanna disposta dalla Corte di appello a pagare 2.500 euro alla figlia, alla moglie ed alla sorella di un uomo i cui resti erano stati crematati dopo la riesumazione. La concessionaria, infatti, si era limitata a trasmettere una raccomandata alla sola figlia all'indirizzo riportato nella fattura delle spese di sepoltura, che da anni non era più quello effettivo della destinataria. Inoltre, i familiari sostennero che, ove fossero stati informati, avrebbero optato per una nuova inumazione, anziché per la cremazione.

Proposto ricorso, la Terza sezione civile l'ha bocciato affermando che se è vero che la legge n. 130 del 2001 ha demandato ad un successivo regolamento la nuova disciplina di polizia mortuaria, tuttavia essa stessa si è posta come fonte "in alcuni casi particolari". Nello specifico, all'articolo 1 lettera g, la norma prevede che "l'ufficiale dello stato civile, previo assenso dei soggetti di cui alla lettera b) numero 3), o, in caso di loro irreperibilità, dopo trenta giorni dalla pubblicazione nell'albo pretorio del comune di uno specifico avviso, autorizza la cremazione delle salme inumate da almeno dieci anni e delle salme tumulate da almeno venti anni".

Sebbene dunque non sia stato emanato alcun regolamento attuativo, "può fondatamente dirsi che la norma in questione è comunque vigente, essendo il suo precetto sufficientemente dettagliato da potersi applicare: è infatti previsto che l'ufficiale dello stato civile debba richiedere il consenso dei parenti, previo loro individuale avviso, e, nel caso di irreperibilità, previa affissione all'albo". Si tratta quindi, prosegue la decisione, di "una norma che non ha bisogno di ulteriori specificazioni per poter essere applicata".

Ciò detto, continua la decisione, "è pacifico che la comunicazione individuale è stata effettuata a domicilio non corretto, per poi essere rinnovata, ma erroneamente, mediante pubblici proclami". Vale a dire la pubblicazione su di un giornale considerato però strumento non idoneo.

Il consenso dei parenti, argomenta la Cassazione, "è strumentale alla tutela dell'interesse cosiddetto secondario al sepolcro". Tradizionalmente, spiega ancora la Cassazione, si distingue infatti tra diritto primario al sepolcro, ossia il diritto di essere seppellito o di seppellire altri in un dato sepolcro; ed il diritto secondario, questo però di natura personalissima ed intrasmissibile, che spetta a chiunque sia congiunto di una persona, che riposa in un sepolcro, di accedervi e di opporsi ad ogni trasformazione che arrechi pregiudizio al rispetto dovuto a quella spoglia.

Questo diritto secondario è senz'altro, come si è detto, un diritto di natura personale, difettando il potere sulla cosa caratteristico del diritto di sepolcro primario, e consistendo esso piuttosto che nella tutela del godimento o dell'uso di un sepolcro, nella tutela del sentimento del parente verso il defunto.

"Ne segue, e pare ovvio, che esso si distingue dall'interesse dei parenti a che la salma rimanga nel luogo di sepoltura per il periodo minimo previsto dalla legge, nonché ad avere risarcimento per l'illegittima anticipata traslazione, interesse sotteso al diritto primario, ossia al diritto di uso e godimento del sepolcro".

"Piuttosto, i diritti secondari di sepolcro hanno a contenuto sentimenti che esaltano l'aspetto spirituale dell'uomo e costituiscono la parte più alta e fondamentale del patrimonio affettivo della comunità, e rappresentano dal punto di vista giuridico la classe dei sentimenti-valori, qualificati positivamente dal diritto e protetti sia in funzione della loro attuazione sia contro eventuali violazioni".

In definitiva, per la Suprema "l' interesse dei parenti ad avere un luogo per onorare il defunto, e l'interesse a che tale luogo non sia trasformato, è esplicazione di un diritto della personalità… cui concede rilevanza l'articolo 2 della Costituzione".

Esso è anche espressione della libertà religiosa di ognuno, quale che sia la religione seguita, essendo il culto dei defunti comune alle diverse religioni praticate dai cittadini: "e dunque il diritto secondario di sepolcro trova fondamento altresì nell'articolo 19 della Costituzione, che garantisce la libertà di religione e con essa delle pratiche che ne sono espressione".

Infine, riguardo alla lesione di un diritto costituzionale si osserva che la lesione è derivata proprio dalla trasformazione della salma in cenere: "è di tutta evidenza – scrive la Corte - che l'interesse al culto dei defunti non è leso soltanto dalla distruzione o dispersione del cadavere, ma altresì dalla imposizione di forme di culto che non sono previamente accettate dai parenti del defunto".

Una conclusione, chiosa la Corte, imposta proprio dalla necessità del consenso dei parenti: "prevedendo che la trasformazione in cenere debba essere autorizzata, è la legge stessa che considera lesione del diritto una trasformazione che ne prescinda".

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