Dai giudici le indicazioni per l’uso del «trojan»
Il decreto legislativo 216/2017, che riforma la raccolta e l’utilizzo delle intercettazioni, contiene un’importante novità: l’introduzione della possibilità, per la magistratura, di intercettare conversazioni tra presenti inserendo nel dispositivo elettronico portatile di un indagato (computer, tablet o smartphone) un virus informatico (noto come trojan horse) che ne attivi il microfono e la telecamera. È stata così attuata la riforma Orlando del processo penale (legge 103/2017), nella parte in cui ha delegato il Governo a disciplinare i presupposti e le modalità con cui la magistratura può utilizzare il trojan per ricercare le prove di un reato.
Le nuove disposizioni si collocano alla fine di un articolato percorso giurisprudenziale che, partendo da un approccio restrittivo, è culminato nella sentenza 26889/2016 della Cassazione a Sezioni unite, che ha aperto le porte del nostro ordinamento al trojan. Di qui la necessità di disciplinare con legge quello che, a tutti gli effetti, è già un mezzo di ricerca della prova utilizzato dalla magistratura. Diversamente, la potestà legislativa su di un tema così delicato, per gli interessi costituzionali in gioco, sarebbe rimasta in mano alla funzione giudiziaria.
Ecco come.
Con la sentenza 27100/2015, la Cassazione ha ritenuto il trojan una tecnica di captazione di conversazioni tra presenti riconducibile alle «intercettazioni ambientali» indicate dall’articolo 266 del Codice di procedura penale, che trovano ostacolo nella Costituzione se non sono assoggettate a limitazioni di tempo e spazio: in poche parole, la ricerca di un reato non può superare il diritto dell’indagato a non essere intercettato in ogni momento e luogo della sua vita in cui ha con sé il tablet o lo smartphone. La stessa sentenza ha escluso la possibilità di fare ricorso al virus per effettuare videoregistrazioni nei luoghi di privata dimora, o comunque tali da imporre la necessità di tutelare la riservatezza personale.
Nel 2016 le Sezioni Unite hanno stabilito che nei procedimenti di criminalità organizzata la magistratura può fare ricorso al trojan senza alcuna limitazione di tempo o di spazio. La nozione di criminalità organizzata individuata dalla sentenza è molto ampia: qualunque tipologia di associazione per delinquere, a prescindere dalla natura dei reati fine. Per le Sezioni unite, dunque, il trojan può essere utilizzato senza limiti nel procedimento relativo a un’associazione per delinquere anche finalizzata alla commissione di reati che, presi singolarmente, non consentono il ricorso alle intercettazioni “tradizionali”.
La sentenza 48370/2017 ha precisato che l’attività di intercettazione tra presenti effettuata dal trojan non va confusa con l’acquisizione di dati già formati e conservati su di un dispositivo elettronico, che può essere effettuata con il virus - in relazione alla natura del dato/bersaglio - secondo le categorie processuali della perquisizione informatica, della prova atipica o dell’intercettazione di comunicazioni telematiche.
Il decreto legislativo 216/2017 è intervenuto sull’articolo 266 del Codice di procedura penale prevedendo che, per i reati per cui sono consentite le intercettazioni telefoniche e ambientali, il giudice può autorizzare il trojan anche all’interno dei luoghi di privata dimora: a patto che vi sia fondato motivo di ritenere che vi si stia svolgendo attività criminosa. Il limite non vale per i reati di competenza delle Procure distrettuali (previsti dall’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater del Codice di procedura penale): in questo caso le intercettazioni con il virus sono sempre consentite.
Il legislatore, con il richiamo ai commi 3-bis e 3-quater dell’articolo 51 del Codice di procedura penale, ha individuato una nozione meno ampia di criminalità organizzata rispetto a quella identificata dalle Sezioni Unite: non più ogni associazione per delinquere, ma solo quelle dedite alla commissione di gravi reati come mafia, traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope, terrorismo, immigrazione clandestina, prostituzione di minori e pornografia minorile.
Il controllo del giudice sui presupposti per fare ricorso al trojan dovrà essere stringente e dovrà dare adeguato conto nel decreto autorizzativo delle ragioni che rendono necessaria questa invasiva modalità investigativa per lo svolgimento delle indagini.
Il decreto legislativo 216 stabilisce che le nuove disposizioni si applicheranno dal 26 luglio prossimo (dopo 180 giorni dall’entrata in vigore del decreto stesso, avvenuta il 26 gennaio scorso), per garantire operativamente il rispetto anche tecnico delle nuove norme. Ma, alla luce della giurisprudenza, non si può escludere che anche prima di allora la magistratura possa continuare a ricorrere al trojan.