Penale

Dai Pm alla tratta di esseri umani: i settori penali toccati dalla manovra

di Alberto Cisterna

In modo disordinato e, talvolta, incomprensibile il governo approfitta dei tempi accelerati di approvazione della principale legge finanziaria dello Stato per apportare correzioni a più disparati settori dell'ordinamento penale. Mancando un disegno complessivo è ovvio che l'esame delle singole modifiche (comma 141, da 191 a 198, e 417) non potrà che tenere conto delle ragioni sottese a ciascuna di esse.

Obbligo di comunicazione del Pm all'Agenzia delle entrate - Le interconnessioni tra reati e illeciti tributari rappresentano, a ogni effetto, una delle linee più importanti di evoluzione nel contrasto al riciclaggio.
Corruzione, traffico di sostanze stupefacenti, usura: tutti i delitti più gravi generano redditi che, di per sé, sfuggono all'imposizione tributaria e confluiscono nell'evasione/elusione fiscale complessiva che affligge il paese.
Il miglioramento dei sistemi di scambio di informazioni tra la repressione penale e gli apparati tributari è un obiettivo perseguito da lungo tempo e che si sta realizzando con l'assegnazione all'Agenzia delle entrate dei poteri ispettivi e di acquisizione propri della magistratura ordinaria. Si pensi al regime del cosiddetto “segreto bancario”, praticamente annullato per il fisco in analogia a quanto già avveniva per il processo penale, o ai protocolli di cooperazione e scambio di documenti tra enti tributari per il contrasto alle prassi di evasione transnazionale.

In questo scenario si colloca la modifica all'articolo 14, comma 4, della legge 537/1993 («Interventi correttivi di finanza pubblica») cui è stato aggiunto il seguente periodo: «In caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell'art. 331 c.p.p. per qualsiasi reato da cui possa derivare un provento o vantaggio illecito, anche indiretto, le competenti autorità inquirenti ne danno immediatamente notizia all'Agenzia delle entrate, affinché proceda al conseguente accertamento».

Si tratta, in pratica, della conclusione di un percorso di cui si era isolatamente paventato i rischi. Le conoscenze a disposizione dell'autorità giudiziaria appaiono, in questo settore, sempre più obsolete e parziali. Altri agenzie pubbliche (Dogane, Entrate, Inps ect.) censiscono, ormai, informazioni assolutamente più complete e ampie di quelle che, in modo spesso frammentario, confluiscono nel processo penale. Ed ecco che la legge di Stabilità 2016, praticamente, conclude questo percorso imponendo che, in relazione a qualsiasi reato per il quale vige l'obbligo di denuncia, la procura della Repubblica debba darne «immediata notizia» all'Agenzia delle entrate se da questo reato possa derivare un provento o vantaggio illecito «anche indiretto».

Il perimetro dei reati interessati da questo obbligo di comunicazione è, ovviamente, molto ampio e colloca inevitabilmente l'Agenzia delle entrate al centro dell'asse di contrasto al riciclaggio, poiché consente all'ente amministrativo di porre in correlazione le informazioni provenienti dalla magistratura inquirente con tutte le altre, numerose notizie di cui dispone per fini istituzionali e in network con altre banche dati pubbliche e private.

Così facendo il legislatore ha conferito un formidabile “braccio” operativo a quanto previsto dalla prima parte del medesimo articolo 14, comma 4, della legge 537/1993 secondo cui: «Nelle categorie di reddito di cui all'articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, devono intendersi ricompresi, se in esse classificabili, i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo se non già sottoposti a sequestro o confisca penale. I relativi redditi sono determinati secondo le disposizioni riguardanti ciascuna categoria».

La legittima pretesa tributaria dell'Erario si pone, così, a fianco delle misure ablatorie giudiziarie (in primis sequestro e confisca) e, anzi, tende a operare anche nei casi in cui l'autorità giudiziaria non operi un preciso computo del provento o del vantaggio illecito patrimoniale e non applichi, quindi, le relative sanzioni al condannato.
Sarà importante verificare secondo quali criteri l'Agenzia delle entrate procederà al computo di tali redditi illeciti e al relativo prelievo fiscale.

La valorizzazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità - In attesa di una modifica radicale del sistema (in senso, va detto, ancor più “togacentrico”) con il disegno di legge atto Senato 2134, approvato l'11 novembre 2015 dalla Camera dei Deputati, la legge di Stabilità introduce alcune novità per sostenere il settore delle imprese confiscate.

Innanzitutto il comma 192 stabilisce che, «al fine di assicurare l'efficacia e la sostenibilità della strategia nazionale per la valorizzazione dei beni e delle aziende confiscate alla criminalità organizzata ed il corretto funzionamento del sistema di monitoraggio analitico sull'utilizzo di tali beni … l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità (Anbsc) organizzata promuove specifiche azioni di rafforzamento e sviluppo delle competenze, anche interne, necessarie per l'efficace svolgimento delle funzioni Istituzionali». In pratica si punta a un opportuno upgrading delle competenze del personale addetto all'Agenzia chiamato, si spera, a un ruolo di intervento più efficace e approfondito sul sistema, non sempre trasparente ed efficiente, delle amministrazioni giudiziarie. È chiaro che sono necessarie competenze sofisticate e per poterle conseguire il comma 193 prevede l'assegnazione complessiva di 15 milioni di euro per il periodo 2016-2018 da prelevare nelle risorse previste nell'ambito di alcuni programmi operativi nazionali della Commissione europea 2014/2020. Una somma certo considerevole che dovrebbe accrescere sensibilmente soprattutto il settore nevralgico relativo al «corretto funzionamento del sistema di monitoraggio analitico sull'utilizzo» dei beni confiscati.

Il comma 194, sempre nell'ambito dei programmi cofinanziati dall'Unione europea per il periodo 2014/2020 e degli interventi complementari alla programmazione dell'Unione europea di cui alla delibera Cipe n. 10/2015, a titolarità delle amministrazioni regionali, abilita gli enti interessati a pianificare, di concerto con l'Anbsc, «specifiche azioni rivolte all'efficace valorizzazione dei predetti beni».
La disposizione può apparire generica, ma in realtà potrebbe offrire la possibilità di una migliore utilizzazione dei beni a livello regionale che è, poi, la dimensione tipica delle stragrande maggioranza delle frastagliate organizzazione mafiose del paese.

Il comma 195, finalmente, prevede apposite risorse (30 milioni per il triennio 2016-2018) per assicurare alle aziende sequestrate e confiscate nei procedimenti penali per i delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis, del Cpp e nei procedimenti di prevenzione patrimoniali «la continuità del credito bancario e l'accesso al medesimo, il sostegno agli investimenti e agli oneri necessari per gli interventi di ristrutturazione aziendale, la tutela dei livelli occupazionali, la promozione di misure di emersione del lavoro irregolare, la tutela della salute e della sicurezza del lavoro, il sostegno alle cooperative di cui all'art. 48, comma 3, lett. c), e comma 8, lett. a), Codice antimafia».
È la traduzione operativa di quanto era noto da decenni ormai: ossia che le imprese mafiose operano sul mercato in condizioni illecite di concorrenza, di tutela del lavoro e via seguitando e che una gestione legale delle medesime imprese ne pone in fibrillazione l'esistenza, erodendo immediatamente ogni margine di profitto.

Il comma 196 regola minuziosamente la confluenza di questa somma nei vari fondi di sostegno.
Il comma 197 rinvia all'ennesimo decreto dall'arduo percorso interministeriale («decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il Ministro della giustizia»), per determinare i limiti, i criteri e le modalità per la concessione delle garanzie e dei finanziamenti di cui al comma 196, lettere a) e b).
Manca un termine per l'adozione di questo decreto e lo stato della normazione secondaria è tale da suscitare legittime preoccupazioni (i decreti da adottare in base alla legislazione vigente restano, ancora, qualche centinaio).

Il comma 198 si preoccupa di regolare i casi di revoca del provvedimento di sequestro e prevede che l'avente diritto, quale condizione per la restituzione dell'azienda, sia tenuto a rimborsare gli importi liquidati ai sensi del comma 196, lettera a).
Spetterà, comunque, sempre al decreto di cui al citato comma 197 disciplinare le modalità per la restituzione, con applicazione di interessi a tassi di mercato, della quota residua del finanziamento erogato, per il caso di revoca del provvedimento di sequestro.

A presidio, ancora, delle crisi aziendali “da reato” il comma 199 istruisce, presso il ministero dello Sviluppo economico, il Fondo per il credito alle aziende vittime di mancati pagamenti, con una dotazione di 10 milioni di euro annui per il triennio 2016-2018.
Scopo di questo Fondo è quello di sostenere le piccole e medie imprese che entrano in crisi a causa della mancata corresponsione di denaro da parte di altre aziende debitrici.
Il comma 200 limita l'accesso al Fondo alle piccole e medie imprese che risultino parti offese in un procedimento penale in corso alla data di entrata in vigore della legge di stabilità (1° gennaio 2016) e che sia «a carico delle aziende debitrici imputate» (testuale, quanto singolare) dei delitti di estorsione, truffa, insolvenza fraudolenta, e false comunicazioni sociali.
Una forma di sostegno importante e che, certo, dovrà fare i conti con l'eventuale costituzione di parte civile dell'impresa “offesa” nel processo a carico dell'impresa “imputata” (ovviamente dei titolari di esse).

Piano nazionale per la tratta degli esseri umani - Al fine di poter portare a compimento le azioni e gli interventi necessari alla realizzazione del programma unico di emersione, assistenza e integrazione sociale previsto dall'articolo 18, comma 3-bis, del testo Unico n. 286/1998, attuativo del Piano nazionale d'azione contro la tratta e il grave sfruttamento degli esseri umani, di cui all'articolo 13, comma 2-bis, della legge 228/2003 («Misure contro la tratta di persone») sono stati assegnati alla Presidenza del consiglio dei ministri 3 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016, 2017 e 2018.

In particolare l'articolo 13, comma 2-bis, citato è stato interpolato dal Dlgs 4 marzo 2014 n. 24, adottato in attuazione della direttiva 2011/36/Ue, relativa alla prevenzione e alla repressione della tratta di esseri umani e alla protezione delle vittime e prevede che «al fine di definire strategie pluriennali di intervento per la prevenzione e il contrasto al fenomeno della tratta e del grave sfruttamento degli esseri umani, nonché azioni finalizzate alla sensibilizzazione, alla prevenzione sociale, all'emersione e all'integrazione sociale delle vittime, con delibera del Consiglio dei ministri sia adottato il Piano nazionale d'azione contro la tratta e il grave sfruttamento degli esseri umani». Si trattava di finanziare questo Piano per gli anni in questione e la norma vi provvede con un apposito stanziamento.

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