Civile

Danno patrimoniale: no a domande frazionate se il lucro cessante è quantificabile

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di Paola Rossi

Le società proprietarie o noleggiatrici di apparecchi da gioco, che vengono prima autorizzatie poi messi fuori legge perchè "intrinsecamente funzionali al gioco d'azzardo" vietato, hanno diritto a lamentare il danno verso l'amministrazione competente che aveva prima rilasciato il nulla osta e poi apposto il divieto. Ma agiscono abusivamente nel processo, se con due distinte azioni giudiziali, chiedono prima il danno emergente e poi il lucro cessante, frazionando illegittimamente la domanda risarcitoria del danno patrimoniale. La Corte di cassazione con la sentenza n. 6591 di ieri ha così confermato il rigetto della domanda delle società interessate relativa al solo lucro cessante in quanto successiva e distinta dalla proposizione di quella per il danno emergente.

Infrazionabilità del credito risarcitorio - Le società si sono difese sostenendo che, al momento della proposizione della prima domanda giudiziale, non fossero in condizione di verificare anche la consistenza dei futuri mancati guadagni. Ciò che è stato respinto in radice dalla Corte di cassazione. Lo stesso fatto lesivo da cui origina un credito per danni è solo eccezionaolmente scindibile in diverse domande giudiziali. Eccezione che secondo i giudici di appello (che avevano riformato la favorevole sentenza di primo grado) non ricorre in un caso del genere, dove la persona giuridica conosce il proprio giro d'affari e può con un'ottica previsionale quantificare gli introiti che verranno a mancare per il comportamento dannoso subito. Ragionamento ora confermato dalla Corte di legittimità.

La difesa dei privati contro i Monopoli - Secondo le parti private che agivano contro l'Amministrazione delle Dogane e dei Monopoli (ex Aams) l'eventuale comportamento processuale sleale di cui sarebbero accusate avrebbe potuto determinare esclusivamente una soccombenza in materia di spese processuali. Ma sul punto non si legge in sentenza alcuna risposta. Mentre la Cassazione argomenta ampiamente che la proposizione in due distinti giudizi è legittima solo se risulta sussistente la giustificazione di un interesse «oggettivamente valutabile» attraverso la tutela processuale frazionata. Le società ricorrenti puntano il dito contro l'operato del giudice di merito perché l'amministrazione non avrebbe fatto alcun rilievo sul frazionamento del credito e neanche invocato la riunione dei diversi giudizi risarcitori. Ciò che secondo le ricorrenti avrebbe sanato l'eventuale improcedibilità della "nuova" domanda. La Cassazione nega che la mancata contestazione di controparte o la riunione dei giudizi avrebbe detarminato l'invocato effetto sanante di quello che definisce l'irrimediabile carattere abusivo della pretesa successiva.
Infine, le ricorrenti contro l'amminstrazione rivendicavano il proprio legittimo affidamento sulla giurisprudenza di legittimità esistente al momento della loro domanda e che non aveva ancora riconosciuto l'abusività del frazionamento del credito risarcitorio. Secondo il ricorso si legge che sarebbe stato applicabile l'overulling processuale. Ma la Cassazione chiarisce che prima della pronuncia delle sezioni Unite (che ha affermato l'illegittimità del frazionamento dell'azione giudiziale) era comunque applicabile l'interpretazione della regola del processo che - se non parlava di improcedibilità - considerava comunque esistente una preclusione o una decadenza alla proponibilità di domande successive fondate sul medesimo fatto (per violazione del principio costituzionale del giusto processo).

Corte di Cassazione - Sezione III -Sentenza 7 marzo 2019 n. 6591

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