Civile

Delibere dell’assemblea dei soci, sì all’azione revocatoria dei creditori

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di Angelo Busani ed Elisabetta Smaniotto

Anche le deliberazioni di un’assemblea societaria possono essere soggette ad azione revocatoria: lo ha affermato la Corte d’appello di Napoli, nella sentenza 2602/2019 in un caso nel quale l’assemblea dei soci di una società consortile aveva deliberato una modifica statutaria che ha modificato in termini di semplice eventualità il previgente obbligo dei soci di rimborsare alla società le spese di funzionamento della società stessa in modo che essa chiudesse l’esercizio senza registrare perdite.

Più in particolare, era stato deliberato che i soci dovessero effettuare contribuzioni alla società solo in caso di decisione assunta in tal senso dall’assemblea dei soci così abrogando la clausola statutaria che in precedenza costringeva i soci a rimborsare annualmente alla società, proporzionalmente alle rispettive quote di partecipazione al capitale, le spese del suo funzionamento nella misura in cui queste superassero l’ammontare dei ricavi di competenza dell’esercizio medesimo in modo che l’esercizio si chiudesse senza perdite.

È un principio pacifico – sancito ad esempio dal Tribunale di Roma nella decisione 13198/2011 – che lo statuto di una società consortile possa contenere (a differenza delle altre società di capitali, ove una clausola del genere sarebbe radicalmente illegittima) una previsione statuaria secondo la quale i soci devono effettuare versamenti ulteriori rispetto ai conferimenti di capitale sociale che essi hanno promesso sottoscrivendo l’atto costitutivo o un aumento di capitale sociale.

Ebbene, i creditori della società hanno impugnato la deliberazione adducendo che la modifica statutaria costituiva, in sostanza, una rinuncia della società a un credito verso i soci con relativo pregiudizio per i creditori sociali. Il Tribunale e la Corte d’appello hanno accolto l’impugnazione , con l’effetto che la società consortile è stata ritenuta creditrice dei soci così come risultava dalla versione dello statuto previgente alla modificazione statutaria contestata.

Queste sentenze sono rilevanti in quanto dovrebbero essere prive di precedenti. In passato, ciò che è stato oggetto di revocatoria, non era la deliberazione societaria, bensì l’atto a essa conseguente: ad esempio, deliberato un aumento di capitale sociale, passibili di revocatoria sono l’atto di sottoscrizione (e il conseguente versamento) effettuati dal socio (Tribunale di Bologna, sentenze dell’11 novembre 2015 e del 22 febbraio 2019).

Molto vivo, inoltre, è attualmente il tema della ammissibilità, o meno, dell’azione revocatoria dell’atto di scissione promossa dai creditori della società scissa, i quali non abbiano proposto opposizione alla scissione e che adducano l’operazione di scissione come pregiudizievole delle loro ragioni creditorie (si veda anche il Sole 24 Ore del 26 agosto).

Mentre la revocatoria è stata ammessa dal Tribunale di Roma (16 agosto 2016), dal Tribunale di Napoli (24 luglio 2017), dal Tribunale di Bergamo (28 febbraio 2018), l’esatto contrario – per il motivo che i creditori esauriscono la loro contrarietà alla scissione nel diritto di opposizione che loro è riservato – è stato deciso dalla Corte d’appello di Catania (19 settembre 2017), dal Tribunale di Napoli (4 marzo 2013 e 31 ottobre 2013), dal Tribunale di Bologna (24 marzo 2016), dal Tribunale Roma (7 novembre 2016).

Non solo: la Corte d’appello di Napoli, con ordinanza del 27 febbraio 2018 ha sottoposto la questione alla Corte di Giustizia Ue (causa C-394/18) per sentir dichiarare se l’impugnazione della scissione con l’azione revocatoria contrasti, o meno, con la normativa comunitaria in derivazione della quale nel nostro ordinamento è stato introdotto il principio (articolo 2504-quater del codice civile) secondo cui della invalidità della scissione non si può più discutere dopo che l’atto di scissione sia stato iscritto nel Registro delle imprese.

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