Amministrativo

Derivati del MEF: pienamente legittime le operazioni e non punibili gli alti dirigenti coinvolti

La Corte dei Conti ha assolto tutti i dirigenti pubblici del MEF per le vicende legate alla chiusura anticipata dei derivati nel 2011-2012, rigettando le accuse formulate dalla Procura regionale

di Giacomo Canale*

La Corte dei conti – sezione giurisdizionale per la Regione Lazio – nella pronuncia n. 299 del 17 febbraio 2022 ha assolto tutti i convenuti nel giudizio di responsabilità promosso dalla procura regionale per la nota vicenda dei contratti relativi a prodotti finanziari derivati sottoscritti dallo Stato italiano con una primaria banca d'affari per la gestione del debito pubblico italiano.

La lunga pronuncia è di precipuo interesse e giunge a (parziale?) conclusione di un complesso iter giurisprudenziale che ha visto coinvolta anche la Corte di Cassazione per la definizione di una questione di giurisdizione, risolta nel senso dell'assenza di giurisdizione del giudice contabile sulla banca d'affari, e della sua sussistenza per i convenuti del giudizio in argomento in qualità di dirigenti del Ministero dell'Economia.

È stato dunque riassunto il giudizio per accertare nel merito l'eventuale responsabilità erariale dei dirigenti coinvolti per un danno stimato dalla procura contabile in quasi quattro miliardi di euro.

Come detto, il giudizio è stato di assoluzione per tutti i convenuti. É interessante rilevare che il Collegio, dopo avere respinto tutte le eccezioni preliminari delle parti, si sia soffermato sull'esame di quattro specifici aspetti:
1) la stipula dei contratti derivati e del loro rispetto dei principi di economicità e di efficacia dell'azione amministrativa, sotto il duplice profilo della legittimità della tipologia dei contratti in astratto e in concreto, tenuto conto, sotto quest'ultimo profilo, delle norme costituzionali, della normativa vigente in materia di contratti derivati, della giurisprudenza della Corte di Cassazione e della presenza della c.d. clausola ATE (Additional Termination Event);
2) danno erariale;
3) nesso di causalità;
4) elemento soggettivo.

Al riguardo, il Collegio ha ritenuto innanzi tutto che la stipula dei contratti in essere, in astratto, non era illegittima, in quanto "tutti i contratti derivati sono caratterizzati da "un'alea", ma tale "rischio" non costituisce una violazione dei principi costituzionali (…) evocati dalla Procura regionale, se e nella misura in cui i contratti derivati stipulati dallo Stato abbiano una loro "ratio" economica, in quanto perseguano la finalità di copertura o, comunque, di gestione del debito pubblico, sotto il duplice profilo dell'allungamento della scadenza del debito e del controllo della dinamica del tasso d'intesse e, quindi, in definitiva, assolvano alla funzione di assicurare la sostenibilità del debito".

Inoltre il Collegio ha evidenziato che le limitazioni alla stipula dei contratti derivati previste per gli enti territoriali dalla normativa evocata dalla Procura regionale non siano estensibili allo Stato in quanto il loro ambito applicativo è espressamente delimitato agli enti territoriali e i principi desumibili dalla normativa in questione non possono, quindi, costituire un punto di riferimento per l'attività in derivati dello Stato, il quale può espressamente ricorrere gli strumenti finanziari ed in particolare ai contratti derivati al fine di "dare flessiblità alla gestione del debito in essere sui mercati internazionali", essendo peraltro dotato di idonee strutture professionali nell'ambito del MEF.

Il Collegio ha dunque esaminato la legittimità della clausola ATE, la quale consentiva alla banca d'affari di risolvere anticipatamente i contratti derivati al verificarsi di determinati presupposti (diminuzione del rating dello Stato italiano e aumento del livello di esposizione). Anche in questo caso, il giudice contabile ha ritenuto che essa sia legittima, stabilendo condivisibilmente che la presenza della clausola ATE non incida sulla causa dei contratti, determinandone la nullità o aumentandone l'alea, come sostenuto dalla Procura regionale, ma si risolve nella possibile risoluzione anticipata degli stessi. Sebbene l'esistenza della clausola ATE fosse legittima, il Collegio ha rilevato che in ogni caso la prospettata attivazione da parte della banca abbia fatto sì, nei turbolenti ultimi mesi del 2011, che "la scelta del MEF di procedere alla chiusura e ristrutturazione dei contratti derivati [fosse] l'unica opzione percorribile".

I restanti aspetti esaminati (danno, nesso di causalità, elemento soggettivo) hanno dunque comportato la piena assoluzione di tutti i convenuti: le tesi prospettate dalla Procura regionale non sono state, nel merito, condivise dal Collegio in quanto ritenute non idonee a predicare una responsabilità punibile in capo ai convenuti.

Merita di essere segnalato che ad avviso del Collegio la valutazione prognostica per valutare in nesso di causalità tra condotta ed evento va compiuta ex ante e non ex post: l'approfondimento dell'operazione di chiusura e ristrutturazione ha evidenziato come tale modalità abbia consentito di evitare allo Stato italiano un danno maggiore, in quanto, "anche in assenza della clausola, e quindi, della sua prospettata attivazione da parte di Morgan Stanley nel 2011, lo Stato italiano avrebbe sopportato per i contratti in questione ingenti costi derivanti dalla variazione dei tassi d'interesse" oltre ad un grave danno reputazionale nei mercati finanziari.

Confermata dunque la piena legittimità delle operazioni, e non punibile la condotta degli alti dirigenti pubblici coinvolti nella vicenda. Una pronuncia destinata a segnare un importante tassello nella giurisprudenza sui derivati.

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*A cura di Giacomo Canale, Consigliere della Corte costituzionale e Dottore di ricerca in diritto pubblico

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