Dermopigmentazione, legittimo il provvedimento della Regione Lazio che ne consente l’esercizio anche ai tatuatori
Nota a Consiglio di Stato, Sez. III, Sentenza 28 febbraio 2024, n. 1930
Con la sentenza n. 1930 del 28 febbraio 2024 il Consiglio di Stato si è pronunciato sul potere delle Regioni di disciplinare l’attività di dermopigmentazione, ritenendo legittimo il provvedimento della Regione Lazio che permette l’esercizio dell’attività di dermopigmentazione ai tatuatori e alle estetiste e rigettando l’appello presentato da un’associazione rappresentativa della categoria delle estetiste che impugnava la sentenza del TAR Lazio n. 3861 del 8 marzo 2023, che a sua volta non aveva accolto il ricorso presentato dalla medesima associazione per l’annullamento della delibera n. 270/2022 della Regione Lazio recante “Disposizioni attuative dell’art. 9, co. 1, l. reg. Lazio 3 marzo 2021, n. 2 disposizioni relative alle attività di tatuaggio e piercing”.
È utile precisare che la dermopigmentazione o micropigmentazione per fini estetici (trucco permanente) e correttivi (paramedicale) è quella pratica per cui vengono inseriti dei pigmenti chimici (con ago non cavo) sotto cute, nel c.d. derma papillare, per migliorare o correggere gli inestetismi del viso e del corpo, per il ripristino dell’immagine della persona, per coprire le cicatrici risultanti da interventi chirurgici o incidenti (camouflage).
Ebbene, a fronte dell’ampio ricorso a tale tecnica, si pone il problema di individuarne la fonte normativa regolativa della dermopigmentazione e il soggetto che può legittimamente qualificarsi dermopigmentista.
Invero, l’attività di dermopigmentazione non è direttamente regolata da nessuna norma statale, ma è possibile rinvenire un suo riferimento nella scheda 23 allegata al Decreto ministeriale n. 110/2011, attuativo della L. n. 1/1990, disciplinante l’attività di estetista, così come aggiunta dal decreto interministeriale n. 206 del 15 ottobre del 2015.
In particolare, nell’anzidetta scheda 23, oltre ad essere descritto il “dermografo per micropigmentazione” come strumento che l’estetista può utilizzare per inoculare il pigmento chimico sotto cute, è definita anche la dermopigmentazione o micropigmentazione come quell’attività che si concretizza “nel trasferimento nell’epidermide di una piccola quantità di pigmento che vi permane per un periodo variabile secondo la zona del viso o del corpo”, tramite un applicatore puntiforme sterile oscillante.
A livello regionale, invece, la dermopigmentazione è disciplinata in modo variegato. Infatti, alcune regioni inseriscono la dermopigmentazione tra le attività proprie del tatuatore (Lazio, Piemonte, Abruzzo, Campania, Liguria, Puglia, Calabria, Sardegna e Basilicata, Trentino Alto Adige) e altre la considerano come attività esercitabile dai soli estetisti (Lombardia, Toscana, Marche, Valle d’Aosta, Emilia Romagna, Umbria, Sicilia).
Si osserva che nelle regioni in cui la dermopigmentazione è disciplinata tra le attività del tatuatore, essa può essere praticata anche dalle estetiste che abbiano seguito un apposito corso di formazione sull’utilizzo del dermografo, così come disposto nelle “Modalità d’uso” del dermografo descritte della scheda 23 allegata alla l. 1/1990.
Al quadro normativo descritto si aggiunge l’approfondimento sul tatuaggio elaborato e pubblicato sul sito internet ufficiale dell’Istituto Superiore di Sanità, dove vengono elencate le tipologie di tatuaggio tra cui è presente proprio la dermopigmentazione, caratterizzata dallo “scopo di migliorare o abbellire i lineamenti del viso o l’immagine estetica” e “da una minore profondità di penetrazione degli aghi, rispetto al tatuaggio artistico e da inchiostri specifici”.
Quindi, l’Istituto Superiore di Sanità definisce la dermopigmentazione un tatuaggio, caratterizzato da una minore profondità di penetrazione degli aghi.
Nel contesto europeo, nel 2008, è stata emanata la Risoluzione europea (ResAP (2008)1 del 20 febbraio 2008) che indica i criteri per la valutazione della sicurezza degli inchiostri per tatuaggi e del trucco permanente (Permanent Make Up, PMU).
Ebbene, in questo quadro normativo stratificato si colloca la sentenza n. 1930 del 28 febbraio 2024 del Consiglio di Stato che si pronuncia sulla tesi per cui l’attività di dermopigmentazione potrebbe essere esercitata dalle sole estetiste, così come prospettata dalla associazione rappresentativa delle estetiste che ha impugnato la delibera n. 270/2022 della Regione Lazio che permetteva anche ai tatuatori la pratica della dermopigmentazione.
Secondo la stessa associazione rappresentativa della categoria degli estetisti, solo l’estetista potrebbe esercitare tale attività in forza della circostanza che nella scheda 23 dell’allegato alla L. n. 1/1990 è inserito, tra gli strumenti che l’estetista può utilizzare, il dermografo, definito come l’apparecchio “alimentato a corrente di rete e/o batteria e/o ad aria compressa con un manipolo contenente un dispositivo elettrico o meccanico per azionare uno o più applicatori puntiformi sterili con un movimento periodico regolabile. Il manipolo serve per posizionare in loco il pigmento colorante”.
Corollario della tesi esposta dall’associazione è che tutti i soggetti diversi dall’estetista, compresi i tatuatori che per mestiere inseriscono pigmenti chimici sotto cute, non potrebbero svolgere l’attività di dermopigmentazione.
Questa tesi, invero, non ha trovato l’accoglimento né del TAR Lazio (sentenza n. 3861/2023), né del Consiglio di Stato (sentenza n. 1930 del 28 febbraio 2024), i quali hanno evidenziato che dalla L. n. 1/1990, disciplinante l’attività di estetista, non emerge il diritto esclusivo dell’estetista di esercitare l’attività di dermopigmentazione.
Inoltre, il Consiglio di Stato con la sentenza n. 1930 del 28 febbraio 2024 ha anche evidenziato che la scheda 23, allegata alla l. n. 1/1990 che descrive il dermografo come uno degli strumenti che l’estetista può utilizzare non è una fonte primaria, bensì secondaria, essendo stata inserita dal decreto interministeriale n. 206 del 15 ottobre del 2015.
Pertanto, non essendo previsto da nessuna legge statale che solo l’estetista può esercitare l’attività di dermopigmentazione ed utilizzare il dermografo, secondo il Consiglio di Stato ogni Regione è legittimata, nei limiti della propria potestà legislativa concorrente di cui all’art. 117, co. 3, Cost, a regolare la stessa attività di dermopigmentazione individuando le figure professionali che possono acquisire la qualifica di dermopigmentista.
Quindi, il Consiglio di Stato con la sentenza n. 1930/2024 ha ritenuto legittima la delibera n. 270/2022 della Regione Lazio che, disciplinando l’attività di tatuaggio e piercing, ha previsto la possibilità per lo stesso tatuatore di svolgere anche la pratica della dermopigmentazione, rigettando la tesi del ricorrente per cui la dermopigmentazione sarebbe appannaggio esclusivo dell’estetista.
Per completezza si osserva che sulla dermopigmentazione si era già espresso il Consiglio di Stato con la sentenza n. 4732/2021 limitandosi ad escludere tale attività dal novero dei trattamenti terapeutici che richiederebbero l’intervento di personale sanitario, senza però esprimersi sull’esclusività dell’esercizio della professione a beneficio del solo estetista, come espressamente puntualizzato dalla sentenza dello stesso Consiglio di Stato n. 1930 del 28 febbraio 2024.
Alla luce della doppia pronuncia giurisprudenziale (sentenza n. 3861/2023 del TAR Lazio e sentenza n. 1930 del 28 febbraio 2024 del Consiglio di Stato) risulta pacificamente attribuito alle regioni il potere di disciplinare l’attività di dermopigmentazione, con il divieto di discriminare la pratica del tatuatore rispetto a quella dell’estetista.
Queste conclusioni impongono una riflessione sulla legittimità di quelle leggi e di quei regolamenti regionali, che invece permettono espressamente alle sole estetiste l’esercizio della dermopigmentazione, vietandolo ai tatuatori (es. Lombardia, Toscana e Marche).
Infatti, se nessuna legge statale contempla un diritto esclusivo delle estetiste sulla dermopigmentazione – così come enunciato dalla sentenza n. 1930/2024 del Consiglio di Stato – le stesse regioni non potrebbero impedire alla categoria dei tatuatori di esercitare la dermopigmentazione che, peraltro, non è che una tipologia di tatuaggio (come definita dall’Istituto Superiore di Sanità).
Le disposizioni regionali che contengono dei limiti per la categoria dei tatuatori, in effetti, potrebbero essere considerate violative della libertà di impresa di cui all’art. 41 della nostra Carta Costituzionale, perché restringono illegittimamente il campo di attività della categoria degli stessi tatuatori, oltre che del generale principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, per attuazione di un trattamento discriminatorio tra estetisti e tatuatori.
Ne consegue, che qualunque provvedimento emanato dagli enti locali fondato su leggi e regolamenti regionali, che impedisce ai tatuatori di esercitare l’attività di dermopigmentazione potrebbe essere impugnato perché contrario sia alla l. n. 1/1990 che non prevede un diritto esclusivo dell’estetista, sia agli articoli 3 e 41 della Costituzione.
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*Avv. Flavia Ciccotelli e Avv. Biagio Giancola - Studio legale Martinelli Giancola Tiberio