Penale

Dichiarazione fraudolenta, consapevolezza necessaria

Per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture soggettivamente inesistenti occorre la consapevolezza da parte dell'imprenditore della frode del proprio fornitore. Ad affermarlo è la Corte di cassazione con la sentenza 40560 depositata ieri.

di Laura Ambrosi

Per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture soggettivamente inesistenti occorre la consapevolezza da parte dell'imprenditore della frode del proprio fornitore. Ad affermarlo è la Corte di cassazione con la sentenza 40560 depositata ieri.

La Corte di appello condannava un imprenditore per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti.

L'imputato ricorreva in Cassazione lamentando che trattandosi di fatture solo soggettivamente inesistenti, le operazioni erano realmente avvenute e mancava la prova dell'intento evasivo.

La Suprema corte, rigettando il ricorso, ha rilevato che per la configurabilità di tale reato (articolo 2 del decreto legislativo 74/2000) è sufficiente l'indicazione in fattura di un soggetto diverso da quello che ha effettuato la (reale) fornitura. La qualità del venditore, infatti, è rilevante anche per l'esatta individuazione dell'aliquota Iva applicabile e, di conseguenza, per l'entità dell'imposta detraibile dall'acquirente.

Secondo la Cassazione, il dolo del delitto è ravvisabile nella consapevolezza che chi ha reso la prestazione non abbia fatturato conseguendo così un indebito vantaggio. Occorre pertanto verificare la sussistenza di elementi indicativi di tale consapevolezza.

Nella specie, i documenti di trasporto erano privi di indicazione del mezzo utilizzato e recavano firme illeggibili. Inoltre, la società che aveva emesso le fatture non poteva di fornire gli ingenti quantitativi di materiale essendo priva di un'adeguata struttura; il legale rappresentante risultava inoltre deceduto l'anno prima dell'emissione dei documenti.

Così la pluralità degli indizi, unitamente all'entità delle somme fatturate e alla molteplicità dei documenti, erano sintomatici della falsità soggettiva delle fatture.

La decisione è interessante poiché pare mutuare anche nel giudizio penale i principi ormai consolidati affermati dalla Cassazione civile. Da un profilo squisitamente tributario, infatti, per le fatture soggettivamente inesistenti l'indetraibilità dell'Iva è subordinata alla prova che il contribuente sapeva o avrebbe potuto sapere di partecipare ad una frode.

Spesso però le irregolarità commesse dal fornitore (omessa presentazione dichiarazione, bilanci, mancato pagamento delle imposte) che consentono astrattamente di sospettare della frode, emergono solo a seguito di approfondite indagini dell'Agenzia o della Gdf.

Il destinatario delle fatture difficilmente può scoprire autonomamente tali elementi, non potendo verificare i dati contabili o fiscali del proprio fornitore.

È auspicabile che nell'ambito del giudizio penale, la sussistenza di indizi sintomatici della consapevolezza sia valutata con estrema prudenza, atteso che il contribuente non dispone di alcun mezzo di indagine.

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