Amministrativo

Diritto di accesso agli atti con limiti per i dipendenti di Poste Italiane


Sì al diritto di accesso ma con dei limiti. L' accesso ai documenti è esercitabile dai dipendenti della società Poste Italiane limitatamente alle prove selettive di accesso, alla progressione in carriera ed ai provvedimenti di auto-organizzazione degli uffici, incidenti in modo diretto sulla disciplina, di rilevanza pubblicistica, del rapporto di lavoro. Lo ha deciso l'adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 13 del 28 giugno che si è pronunciata sulla proponibilità dell'accesso ai documenti nei confronti di soggetti privati affidatari di pubblici servizi.

La società Poste Italiane spa è soggetta alla disciplina della legge 241/1990 perché affidataria di pubblico servizio. La rimessione all'Adunanza plenaria era stata disposta dalla sezione III del Consiglio di Stato, con ordinanza n. 4230 del 10 settembre 2015 che aveva chiesto se la disciplina dell'accesso ai documenti si applica anche ai rapporti fra la spa Poste italiane e i suoi lavoratori dipendenti, quali che siano il loro livello e il ramo di servizio cui sono addetti, non sussistendo un rapporto di connessione tra gli atti oggetto di ostensione ed il servizio di pubblico interesse svolto dalla società Poste.

La questione - La sezione aveva posto in dubbio l'indirizzo giurisprudenziale, seguito in via costante dopo la pronuncia 22 aprile 1999, n. 4 dell'Adunanza plenaria, circa la proponibilità dell'accesso ai documenti nei confronti di soggetti privati affidatari di pubblici servizi. Era stato sottolineato che la natura privata dell'Ente Poste e del rapporto di lavoro dei relativi dipendenti poteva indurre a ritenere che non tutta l'attività svolta ed i rapporti in essere fossero funzionalmente connessi alla gestione del servizio; dovrebbe, anzi, ritenersi che l'obbligo di trasparenza, cui risponde l'istituto dell'accesso, non sia riferibile ai «rapporti giuridici privatistici diversi, da quelli nei quali il soggetto che chiede l'accesso si presenti e si qualifichi come utente…o comunque come portatore di un interesse (anche diffuso) al servizio pubblico in quanto tale». Con la legge n. 241 del 1990, in altre parole, sarebbero state estese «al cittadino/utente (ossia al destinatario dell'attività della p.a. quale erogatrice di servizi) quelle tutele, che primariamente erano state escogitate a tutela del cittadino/amministrato (ossia al destinatario dell'attività della p.a. quale fonte di atti autoritativi)». Tale esclusione non si estenderebbe, però, al caso in cui il rapporto fra il soggetto che chiede l'accesso e il privato gestore del pubblico servizio fosse di altro tipo, come ad esempio di rapporto di lavoro subordinato, senza alcuna incidenza di profili pubblicistici e con piena possibilità di tutela innanzi al giudice ordinario. Non sarebbe dunque giustificato il diverso trattamento dei lavoratori dipendenti di un soggetto privato, a seconda del fatto che quest'ultimo sia o meno, occasionalmente, gestore di un pubblico servizio.
Il superamento della pronuncia n. 4 del 1999 dell'Adunanza plenaria sarebbe da ricollegare alla nuova formulazione dell'articolo 22 della legge 7 agosto 1990, n. 241 che, nel testo antecedente la novella introdotta dall'articolo 15, comma 1, della legge 11 febbraio 2005, n. 15, non accennava ai “limiti”, che ora circoscrivono l'accesso con riferimento all'attività dei soggetti privati, chiamati a svolgere funzioni di interesse pubblico (pubbliche amministrazioni sono «tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse, disciplinata dal diritto nazionale o comunitario»).

Consiglio di Stati – Adunanza plenaria – Sentenza 28 giugno 2016 n. 13

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