Disinteresse del genitore nei confronti del figlio, il danno non patrimoniale va provato
Il disinteresse mostrato dal genitore nei confronti di un figlio, anche solo dal punto di vista morale e non economico, determina la lesione dei diritti nascenti dal rapporto di filiazione, che trovano riconoscimento e tutela negli articoli 2 e 30 della Costituzione. Tale comportamento integra gli estremi dell'illecito endofamiliare e legittima l'esercizio, ex articolo 2059 del codice civile, dell'azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali subiti dal figlio. Tuttavia, per l'accoglimento della domanda, è necessario che sia fornita la prova, anche in via presuntiva, delle effettive conseguenze dannose che la condotta del genitore ha provocato sulla vita del figlio. Lo ha stabilito il tribunale di Roma sezione I civile sentenza 15949/2019.
Il caso - La vicenda vede contrapporsi due ex partner dalla cui relazione sentimentale nel 2001 era nato un figlio. Sin dalla gravidanza l'uomo aveva manifestato la sua volontà contraria a svolgere qualsiasi ruolo paterno nella sua vita ma, a fronte della volontà della donna di portare a termine la gravidanza, lo stesso aveva assunto un atteggiamento diverso, osservando le prescrizioni del Tribunale che disponeva l'affidamento del minore alla madre, prevedendo tempi e modalità di visita.
Negli anni seguenti, tuttavia, salvo che in sporadiche occasioni, l'uomo si era sempre rifiutato di incontrare il figlio, manifestando un disinteresse "morale" nei suoi confronti, al tempo stesso rispettando sempre l'obbligo di versare l'assegno di mantenimento fissato prima in 200 euro e poi aumentato a 350 euro.
La donna, tuttavia, mal tollerava la continua assenza dell'uomo nella vita del figlio e perciò lo citava in giudizio chiedendo un risarcimento per il danno non patrimoniale subito dal minore, quantificato 141 mila euro determinato «diminuendo di 1/4 l'importo della somma dovuta secondo le tabelle del danno biologico del Tribunale di Roma del 2016 in caso di morte del genitore».
L'atteggiamento del padre era, infatti, lesivo degli articoli 147 e 148 del codice civile e dell'articolo 24 della Carta fondamentale dell'unione europea, «che prevede il diritto per il bambino alla protezione e alle cure necessarie al suo benessere nonché il diritto del figlio di intrattenere relazioni costanti con entrambe le figura genitoriali», e ciò integrava gli estremi dell'illecito civile per la lesione di un diritto costituzionalmente garantito.
L'uomo, dal canto suo, si difendeva sostenendo che la sua condotta non poteva integrare un illecito endofamiliare perché, oltre a non aver mai negato la sua paternità, egli aveva puntualmente adempiuto ai suoi doveri economici di genitore. Secondo l'uomo, dunque, non poteva esserci condanna per la propria inadeguatezza ad affrontare la paternità, circostanza che per giunta lo aveva portato a una costante terapia psicologica di sostegno e addirittura a trasferirsi in altro continente, dove aveva intrapreso una attività lavorativa e dove, proprio a causa di motivi di tensione familiare, era stato ricoverato presso strutture ospedaliere per combattere la propria depressione.
La necessità della prova - Il Tribunale capitolino sorvola sulle delicate questione morali della vicenda e, dopo aver ricostruito il quadro giuridico entro cui si iscrive la fattispecie, opta per il rigetto della domanda per assenza della prova del danno. Ebbene, il giudice romano ricorda, innanzitutto, che per orientamento giurisprudenziale ormai costante il disinteresse mostrato da un genitore nei confronti di un figlio «integra la violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione della prole, e determina la lesione dei diritti nascenti dal rapporto di filiazione che trovano negli articoli 2 e 30 della Costituzione - oltre che nelle norme di natura internazionale recepite nel nostro ordinamento - un elevato grado di riconoscimento e tutela, sicché tale condotta è suscettibile di integrare gli estremi dell'illecito civile e legittima l'esercizio, ai sensi dell'art. 2059 cod. civ., di un'autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali».
Ciò posto, nel caso di specie, rileva il giudice, è certamente vero che il padre ha puntualmente e costantemente versato l'assegno di mantenimento e che il suo rapporto con il figlio è stato pressoché assente in tutto il corso della vita del minore. Tuttavia, la mera sussistenza della scarsità di un tale rapporto non determina di per sé una condanna risarcitoria, ma necessita di una prova delle conseguenze dannose che siano derivate al figlio, prova che manca del tutto nel caso di specie. L'attrice, infatti, non ha indicato «in che misura il figlio abbia subito gli effetti negativi» dell'assenza della figura paterna. In sostanza, chiosa il Tribunale, in ipotesi del genere è sì previsto il risarcimento del danno, a condizione però che «anche in via presuntiva siano state dimostrate, quanto al figlio, rilevanti alterazioni negative dei suoi assetti individuali, relazionali e vitali».
Tribunale di Roma - Sezione I civile - Sentenza 1 agosto 2019 n. 15949