Civile

Immigrazione, non-refoulement tra paesi Ue limitato a gravi carenze

Lo ha ribadito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 14393 depositata oggi, respingendo il ricorso di un cittadino Pakistano che doveva essere trasferito in Francia

di Francesco Machina Grifeo

In caso di impugnazione del trasferimento dei richiedenti asilo in un altro paese Ue, il giudice non può esaminare se sussista il rischio di violazione del principio di non-refoulement a meno di carenze sistemiche nella procedura di asilo e nell’accoglienza. Lo ha ribadito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 14393 depositata oggi, respingendo il ricorso di un cittadino Pakistano contro la decisione del Tribunale di Roma. Il non-refoulement è un principio del diritto internazionale che vieta ai paesi di respingere o espellere un rifugiato verso un paese in cui la sua vita o libertà potrebbero essere minacciate.

La sezione capitolina specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’UE, nel 2022, aveva rigettava il ricorso dell’extracomunitario contro o il provvedimento del ministero dell’Interno Unità Dublino che prevedeva il suo trasferimento in Francia identificato quale Stato competente a decidere sulla domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria e il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria. Erano state infatti escluse nell’ordinamento francese carenze sistemiche rilevanti per i c.d. “ dublinati di rientro fatto salvo un problema di disponibilità di alloggio nei centri di accoglienza che tuttavia non sembra assurgere ad una violazione di rilevante gravità”.

Era stata poi dichiarata infondata la richiesta di applicazione dell’art 17 Regolamento Ue nr 604/2013 in ragione del rischio di violazione del principio di non refoulment. L’articolo, inerente al Regolamento Dublino III, permette a uno Stato membro di assumere la competenza per l’esame della domanda di asilo, anche se un altro Stato membro avrebbe dovuto essere competente in base alle regole generali.

Al termine di una articolata ricostruzione normative e giurisprudenziale, la Corte ribadisce il principio per cui: “Nel procedimento di impugnazione delle decisioni di trasferimento dei richiedenti asilo, ex art. 27 del Regolamento UE n. 604 del 2013, nonché ex art. 3 del d.lgs. n. 25 del 2008 ed ex art. 3, lett. e-bis), del d.l. n. 13 del 2017, conv. con modif. dalla l. n. 46 del 2017, il giudice adito non può esaminare se sussista un rischio, nello Stato membro richiesto, di una violazione del principio di non-refoulement al quale il richiedente protezione internazionale sarebbe esposto a seguito del suo trasferimento (o in conseguenza di questo) verso tale Stato membro sulla base di divergenze relative all’interpretazione dei presupposti sostanziali della protezione internazionale, a meno che non constati l’esistenza, nello Stato membro richiesto, di carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale”.

Nel ricorso, l’immigrato insisteva che la ripresa in carico in Francia lo avrebbe esposto al rischio grave a seguito del rimpatrio forzoso nel Paese di origine, Pakistan, regione del Punjab, caratterizzato da una violazione indiscriminata e dalla violazione sistematica dei diritti umani. Per la Suprema corte però in tal modo si chiede una valutazione della sussistenza dei requisiti per fruire di una forma di protezione internazionale sulla quale si è già pronunciato altro giudice di uno Stato membro “sicché in assenza di carenze sistemiche qui non riscontrate” non è più consentita in sede di legittimità “una nuova e diversa verifica alla luce del sopra enunciato principio delle S.U.”.

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