Dl Cutro, la Cassazione limita le espulsioni come forma alternativa alla detenzione
Per la Prima sezione penale vanno comunque valutati i legami familiari e affettivi che seppure non più tipizzati dalla norma costituiscono ormai principi sovraordinati
La Cassazione frena sulle espulsioni degli stranieri irregolari previste dal Dl Cutro, richiamandosi ai superiori principi della Cedu in materi di diritti umani. La Prima sezione penale, sentenza n. 13514 depositata oggi, ha così accolto il ricorso di un cittadino del Senegal arrivato in Italia da bambino e con forti legali familiari nel Paese, contro l’ordinanza di espulsione, alternativa alla detenzione, emessa dal Tribunale di sorveglianza di Ancona.
Secondo la decisione impugnata non ricorrevano cause ostative all’espulsione, per come indicate dall’articolo 19 Dlgs n. 286 del 1998, nel testo riformulato dal Dl 20 marzo 2023, n. 20, conv. dalla legge 5 maggio 2023, n. 50. Il tribunale rimarcava poi la “natura tassativa delle medesime e il carattere sotto ogni altro aspetto obbligato della misura espulsiva”.
Nel ricorso, l’imputato ha ribadito l’esistenza di legami sociali, familiari e affettivi con l’Italia che, “seppur - ammetteva - non formalmente inquadrabili nelle fattispecie tipizzate dall’art. 19 d.lgs. n. 286 del 1998, andavano espressamente considerati nell’ambito del diritto al rispetto della vita personale e familiare dell’individuo, ancorché immigrato”.
E la Suprema corte gli ha dato ragione affermando che nonostante le finalità di revisione della disciplina sull’immigrazione illustrate nella Relazione illustrativa del Dl Cutro, “è però da escludere che quest’ultima abbia la forza e rivesta il significato di scongiurare l’applicazione di norme e principi di valore sovraordinato - che, come osservato, avevano cittadinanza nell’ordinamento a prescindere dalla formale vigenza delle norme soppresse - e quindi di limitare l’incondizionata osservanza, nel diritto interno, degli obblighi nascenti dall’art. 8 CEDU”.
Per la Cassazione va dunque riaffermato il principio di diritto, secondo cui - pur dopo l’approvazione del Dl 10 marzo 2023, n. 20, conv. dalla legge 5 maggio 2023, n. 50, al cui art. 7 si deve, tra l’altro, la riscrittura dell’art. 19, comma 1.1, d.lgs. n. 286 del 1998 e l’abrogazione del suo terzo e quarto periodo - l’espulsione dello straniero a titolo di sanzione alternativa alla detenzione, prevista dall’art. 16, comma 5, stesso d.lgs., non può essere disposta, al pari di ogni altra forma di espulsione di natura penale, quando tale misura si risolva in un’ingerenza nella vita privata e familiare dell’interessato, vietata dall’art. 8 della Convenzione EDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo” (n. 43082/2024).
Prima dell’adozione del Dl Cutro la giurisprudenza di legittimità vietava il respingimento o l’espulsione di una persona qualora esistessero fondati motivi di ritenere che l’allontanamento comportasse una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare. E sul punto si richiamavano la natura e l’effettività dei vincoli familiari dell’interessato, il suo effettivo inserimento sociale in Italia, la durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché l’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine.
Tali precetti normativi, spiega la Corte, sono stati tuttavia abrogati dall’articolo 7, comma 1, Dl 10 marzo 2023, n. 20, conv. dalla legge 5 maggio 2023, n. 50, «(n)ella prospettiva di una complessiva rivisitazione della disciplina della protezione speciale».
L’abrogazione, prosegue la Corte dopo una dettagliata analisi di articoli e commi sopravvissuti, assume però una “portata riduttiva, incidendo solo e piuttosto sulla selezione dei criteri di valutazione che presiedono al bilanciamento (imposto dall’art. 8 CEDU) degli interessi in gioco, posto che quelli esplicitati dal legislatore del 2020 (durata della presenza dello straniero sul territorio nazionale, effettività dei vincoli familiari, suo effettivo inserimento sociale, esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il Paese d’origine) sono stati espunti dal sistema”.
Quest’ultimo perde così, in proposito, i tratti di tipicità, ma anche di inevitabile rigidità, che era venuto ad assumere. L’interprete dovrà, allora, d’ora innanzi, fare diretto riferimento ai criteri - largamente sovrapponibili, ma soggetti alla flessibile mediazione giudiziale - elaborati dalla giurisprudenza sovranazionale.
Non è inutile allora ribadire, prosegue la Cassazione, che, secondo la Corte di Strasburgo, se l’art. 8 della Convenzione non prevede un diritto assoluto di non espulsione per nessuna categoria di stranieri, esistono circostanze in cui l’espulsione medesima si dimostra non necessaria in una società democratica e non proporzionata al legittimo obiettivo perseguito, comportando così la violazione di tale disposizione.
E tra i criteri, considerati dalla Corte EDU pertinenti per valutare se una misura di espulsione sia lecita rispetto al parametro convenzionale, vanno annoverati, tra l’altro, la natura e la gravità del reato, la durata del soggiorno, la situazione familiare, la gravità delle difficoltà che il richiedente potrebbe incontrare nel paese verso cui deve essere espulso.
E allora, tornando al caso specifico, per la Suprema corte il Tribunale di sorveglianza ha omesso ogni approfondimento in merito nonostante le allegazioni contenute nell’atto di opposizione, e cioè che lo straniero “avrebbe fatto ingresso in Italia sin da bambino, qui avrebbe compiuto l’intero suo percorso scolastico, qui vivrebbero la figlia minorenne cittadina italiana nonché tre fratelli, regolarmente soggiornanti e a lui fortemente legati, mentre non esisterebbero più suoi legami di alcun tipo con il Senegal”. Ricorso accolto e giudizio da rifare davanti al tribunale di Ancona.