Comunitario e Internazionale

È discriminatorio il vantaggio fiscale riconosciuto solo ai fondi d'investimento chiusi e non a quelli aperti

"Affinché una normativa tributaria nazionale possa considerarsi compatibile con le disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione dei capitali, è necessario che la differenza di trattamento che ne risulta riguardi situazioni che non siano oggettivamente paragonabili, o sia giustificata da un motivo imperativo d'interesse generale". Lo ha stabilito la Corte di Giustizia UE, Seconda Sezione, con la sentenza del 16.12.2021 nelle cause riunite C-478/19 e 479/19.

di Emanuele Stabile

La U. R. E. era una società di gestione del risparmio con sede legale in Germania e una società figlia in Italia, che gestiva due fondi di investimento immobiliare "aperti", costituiti secondo il diritto tedesco. Il 4 ottobre 2006 la società acquistava, per conto dei fondi, due complessi immobiliari strumentali in Italia versando le relative imposte ipotecarie e catastali.
Successivamente, la U. R. E. si avvedeva che il 1 ottobre 2006, poco prima del suo acquisto, era entrato in vigore l'art. 35, comma 10-ter D. Lgs. 223/06 il quale dimezzava le suddette imposte agli acquisti fatti per conto dei fondi comuni immobiliari "chiusi", unici costituibili in Italia. La società chiedeva vanamente un rimborso all'Agenzia delle Entrate ritenendo la disposizione applicabile anche ai fondi aperti. La U. R. E., quindi, presentava ricorso prima alla Commissione Tributaria provinciale di Milano, che lo respingeva, e poi alla Commissione Tributaria regionale della Lombardia. Avverso il rigetto dell'appello proponeva ricorso per Cassazione e la Suprema Corte sollevava rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia. Quest'ultima ha dovuto stabilire se una disposizione come quella citata violi il diritto europeo e, segnatamente, le sue libertà fondamentali.

Per quanto riguarda la normativa rilevante, a livello europeo, l' art. 49 TFUE (ex art. 43 TCE) tutela la libertà di stabilimento sia a titolo primario, ossia la costituzione e la gestione di imprese, sia a titolo secondario, cioè l'apertura di agenzie, succursali e filiali in Stati membri diversi da quello d'origine. Il successivo art. 63 TFUE (ex art. 56 TCE) sancisce la libera circolazione dei capitali vietandone "tutte le restrizioni" sia intracomunitarie, sia tra Stati membri ed esteri. E l' art. 65 TFUE , al comma 1, derogando a tale ultima libertà, permette agli Stati di applicare le proprie norme tributarie che distinguano tra i contribuenti i quali però siano in una posizione effettivamente diversa. Il comma 3, infatti, precisa che le menzionate norme "non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata".

A livello nazionale, da un lato, l'art. 12-bis, comma 1 D.M. 228/99 consente solo l'istituzione di fondi d'investimento chiusi. Dall'altro, l'art. 35, comma 10-ter D. Lgs. 223/06 dimezza le aliquote delle imposte ipotecaria e catastale solo alle compravendite di immobili strumentali realizzate da o per conto dei suddetti fondi.

Innanzitutto, la Corte ha dovuto affermare quale libertà, di stabilimento o di circolazione dei capitali, rilevi nel caso di specie giacché un investimento immobiliare astrattamente può riguardare entrambe. Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale (ex multis sentenze del 21 giugno 2018, Fidelity Funds e a., C480/16, EU:C:2018:480, punto 33 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 3 marzo 2020, Tesco-Global Áruházak, C323/18, EU:C:2020:140, punto 51 e giurisprudenza ivi citata), occorre valutare la fattispecie regolata della normativa in parola.

Nel presente caso, lo spostamento di capitali cui si riferisce il menzionato art. 35 è precedente all'investimento e la U. R. E. non voleva stabilire in Italia un'attività economica. Ne consegue che la disposizione italiana deve essere analizzata alla luce dell'art. 63 TFUE.

In secondo luogo, occorre stabilire se la normativa nazionale violi tale ultima disposizione.

Per farlo, da un lato, bisogna accertare se i fondi chiusi e aperti siano oggettivamente equiparabili e, dunque, discriminati dalla disciplina italiana. Secondo la Corte, tale aspetto non è chiaro dagli atti di causa. Ad ogni modo, alla luce dell'oggetto e dello scopo della suddetta normativa, "un fondo chiuso e un fondo aperto, nei limiti in cui entrambi svolgono l'attività consistente nell'acquistare e rivendere successivamente beni immobili …, appaiono trovarsi in una situazione comparabile ".

Dall'altro, è necessario escludere che la normativa persegua motivi imperativi d'interesse generale giustificanti una discriminazione giacché in tal caso una restrizione è ammessa purché "idonea a garantire il conseguimento dell'obiettivo perseguito e non eccede quanto è necessario per raggiungerlo".

La normativa italiana ha diversi obiettivi: disincentivare forme d'investimento altamente speculative; tutelare la coerenza del regime fiscale; combattere l'evasione e l'elusione fiscale.
Su tale ultimo aspetto, la sentenza chiarisce che una "presunzione generale di evasione o di frode fiscale non può bastare a giustificare una misura fiscale" discriminatoria.

Nondimeno, la coerenza del sistema tributario può giustificare misure restrittive della libertà ex art. 63 TFUE, ma solo se "sia dimostrata l'esistenza di un nesso diretto tra l'agevolazione fiscale di cui trattasi e la compensazione della stessa con un determinato prelievo fiscale", mancante nel caso di specie. Sulla necessità di non incentivare fenomeni speculativi, invece, la Corte rileva che "detto obiettivo sembra conseguito dalla normativa nazionale che autorizza unicamente la creazione di fondi chiusi", e rappresenta un motivo imperativo d'interesse generale, ma la normativa "deve essere idonea a garantire la realizzazione dell'obiettivo invocato e non eccedere quanto necessario per conseguirlo, circostanza che spetterà al giudice del rinvio verificare ".

Nel presente caso, quindi, la Corte non afferma espressamente l'esistenza di un motivo imperativo d'interesse generale, astrattamente esistente. D'altronde, i fondi chiusi e aperti sembrerebbero equiparabili. I giudici europei, dunque, affermano il seguente principio di diritto, ma lasciano al giudice del rinvio le necessarie valutazioni.

In conclusione, "l'articolo [nds, 63 TFUE] deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa di uno Stato membro che limita il beneficio della riduzione delle imposte ipotecarie e catastali ai soli fondi immobiliari chiusi, escludendo quelli aperti, purché queste due categorie di fondi si trovino in situazioni oggettivamente comparabili, a meno che una siffatta differenza di trattamento non sia giustificata dall'obiettivo di limitare rischi sistemici sul mercato immobiliare".

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©