Penale

È furto anche la sottrazione per dispetto, ritorsione o vendetta

La Cassazione, sentenza n. 20442 depositata oggi, chiarisce che il fine del profitto, che integra il dolo specifico del reato, non ha necessario riferimento alla volontà di trarre un'utilità patrimoniale

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di Francesco Machina Grifeo

La Cassazione, sentenza n. 20442 depositata oggi e segnalata per il "Massimario", allarga lo spettro del fine del "profitto" richiesto come dolo specifico ai fini della configurabilità del furto. Non solo il vantaggio patrimoniale, spiega, rientra nella fattispecie ma anche il "soddisfacimento di un bisogno psichico". Dunque anche la sottrazione di un bene per dispetto o vendetta integra la fattispecie penale.

La Prima Sezione penale ha così accolto il ricorso del Procuratore generale militare contro la sentenza della Corte militare d'appello che, riformando la condanna del Tribunale militare di Roma del 19 febbraio 2020, nell'aprile 2021 aveva assolto un appuntato scelto della Guardia di Finanza dal reato di furto militare per essersi riappropriato della propria tessera di riconoscimento ritirata dopo il collocamento in aspettativa per motivi di salute, e sottratta "con modalità imprecisate dal plico sigillato in cui era stata riposta in occasione del ritiro, plico custodito in un armadio metallico degli uffici della Scuola nautica presso cui prestava servizio".

La Corte militare di appello ha ritenuto che non sussisteva il dolo di profitto del reato di furto, dal momento che la tessera "non aveva alcun valore economico e non era esattamente identificabile il vantaggio che la sottrazione aveva determinato in capo all'autore del reato". Per il Procuratore invece il "dolo di profitto non deve avere necessariamente un contenuto patrimoniale".

Una lettura condivisa dalla Suprema corte secondo cui il fine di profitto, che integra il dolo specifico del reato, "non consiste necessariamente nella volontà di trarre un'utilità patrimoniale dal bene sottratto, ma si può anche risolvere nel soddisfacimento di un bisogno psichico" (in senso contrario, sentenza n. 30073/2018: secondo cui il fine di profitto va interpretato in senso restrittivo. La Corte in quel caso non ha ritenuto integrato l'elemento soggettivo del reato nella sottrazione di una borsa solo per finalità "di dispetto, di reazione o come modalità per mantenere il contatto con lei").

Nel caso affrontato, prosegue la decisione, nonostante non sia stato individuato il fine, la Corte militare di appello ha comunque pronunciato sentenza liberatoria in considerazione della impossibilità per l'agente di trarre dalla condotta un vantaggio di tipo patrimoniale. "Poiché, però – prosegue la decisione - la mancanza di vantaggio patrimoniale di per sé non esclude la sussistenza del reato, perché il dolo del furto si può anche risolvere nel soddisfacimento di un bisogno psichico, la pronuncia di appello si rivela non sufficientemente motivata".

Da qui l'annullamento con rinvio ad altra sezione della Corte militare di appello che dovrà uniformarsi al seguente principio di diritto: "in tema di furto, il fine di profitto, che integra il dolo specifico del reato, non ha necessario riferimento alla volontà di trarre un'utilità patrimoniale dal bene sottratto, ma può anche consistere nel soddisfacimento di un bisogno psichico e rispondere, quindi, a una finalità di dispetto, ritorsione o vendetta".

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