È reato mentire sul possesso della laurea
Per la Cassazione si rischia una condanna per falso in atto pubblico se si autocertifica la laurea pur non avendola conseguita
Dichiari di avere la laurea e non è vero? Attenzione perché può essere reato! Ne sa qualcosa un cinquantenne che aveva autocertificato di aver conseguito il titolo mentendo per partecipare a un concorso e si è beccato una condanna, confermata in via definitiva dalla Cassazione (sentenza n. 36184/2022), per falso in atto pubblico.
La vicenda
Condannato in appello per il reato di cui articolo 483 c.p., per aver falsamente attestato, nella dichiarazione sostituiva di certificazione indirizzata al Dipartimento risorse umane di Roma capitale, di aver conseguito il titolo di studio della laurea in giurisprudenza, l'uomo aveva adito il Palazzaccio, sostenendo a sua discolpa che la dichiarazione in questione sarebbe stata rilasciata in occasione dell'instaurazione del rapporto di lavoro con l'ente pubblico, avente a oggetto l'assunzione dell'incarico di responsabile della segreteria del vicesindaco. Inoltre, a parere del ricorrente, il conseguimento della laurea non costituiva requisito necessario per il conferimento dell'incarico e, pertanto, la falsa attestazione sarebbe stata priva di qualsiasi utilità e, conseguentemente, priva di offensività. Per cui doveva escludersi la rilevanza penale del fatto, trattandosi di falso innocuo.
Non sussisteva, tra l'altro, a suo dire, il dolo, mancando l'intenzione di ingannare l'ente che l'avrebbe assunto.
La decisione
Per la quinta sezione penale tuttavia non ci sono dubbi: la corte d'appello ha ritenuto, con motivazione adeguata, coerente e priva di vizi logici, che la dichiarazione dell'imputato fosse tutt'altro che irrilevante o innocua.
A pesare, rilevano gli Ermellini, è sia il fatto che il compenso da attribuire al ricorrente era stato determinato tenendo conto, tra l'altro, degli specifici requisiti professionali e dall'alta qualificazione professionale dello stesso, determinata, inevitabilmente, anche dal titolo di studio conseguito, sia la circostanza che l'uomo si era dovuto confrontare con figure apicali di vari enti che miravano al medesimo incarico ed era evidente il rilievo che il possesso o meno della laurea aveva avuto nella valutazione comparativa dei candidati.
Per cui, la falsa dichiarazione non solo aveva tratto in inganno l'ente pubblico su un requisito personale del candidato, ma aveva avuto anche rilevanza sia ai fini del conferimento dell'incarico, che della determinazione della retribuzione.
Irrilevante e anzi manifestamente infondate anche le doglianze sull'assenza di dolo.
Invero, rincarano da piazza Cavour, è pacifico che "il dolo del reato previsto dall'art. 483 c.p. è generico e consiste nella volontà cosciente e non coartata di compiere il fatto e nella consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero".
Il verdetto di condanna è dunque definitivo.