Penale

Equa riparazione, l'istanza di accelerazione non può condizionare la proponibilità della domanda

Per la Corte costituzionale, sentenza n. 151 depositata oggi, è illegittima l'inammissibilità introdotta dalla legge di Stabilità 2016

di Francesco Machina Grifeo

La Corte costituzionale boccia la previsione l'inammissibilità della domanda di equa riparazione, nel processo penale, in caso di mancato esperimento dell'istanza di accelerazione in quanto si tratta di un rimedio non "effettivo" contro l'eccessiva durata del processo. La sentenza n. 151 depositata oggi ha così dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 1, in relazione all'articolo 1-ter, comma 2, della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell'articolo 375 del codice di procedura civile), nel testo risultante dalle modifiche apportate dall'articolo 1, comma 777, lettere a) e b), della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)».

Le disposizioni censurate, scrive la Corte, "contrastano con l'esigenza del giusto processo, per il profilo della sua ragionevole durata, e con il diritto ad un ricorso effettivo", garantiti dai parametri della Cedu, la cui violazione implica, per interposizione, quella dell'art. 117, primo comma, Costituzione.

La Corte d'appello di Napoli, con ordinanza dell'11 marzo 2020, censurava il fatto che "il riconoscimento del diritto ad una equa riparazione in favore di chi ha subito un danno patrimoniale o non patrimoniale a causa dell'irragionevole durata di un processo penale la cui durata al 31 ottobre 2016 non ecceda i termini ragionevoli previsti dall'art. 2, comma 2-bis, e che non ancora sia stato assunto in decisione alla stessa data", così come l'ammissibilità della relativa domanda, fossero subordinate "all'esperimento del rimedio preventivo consistente nel depositare, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, un'istanza di accelerazione almeno sei mesi prima che siano trascorsi i detti termini".

Il deposito dell'istanza di accelerazione nel processo penale, argomenta la Corte, pur presentato come diritto (alla stregua dell'articolo 1-bis, comma 1, della legge n. 89 del 2001), "opera, piuttosto, come un onere, visto che il mancato adempimento comporta l'inammissibilità della domanda di equa riparazione". Tuttavia, la presentazione dell'istanza, che pur deve intervenire almeno sei mesi prima che siano trascorsi i termini ragionevoli "fissati per ciascun grado (dall'art. 2, comma 2-bis, della legge n. 89 del 2001), "non offre alcuna garanzia di contrazione dei tempi processuali, non innesta un modello procedimentale alternativo e non costituisce perciò uno strumento a disposizione della parte interessata per prevenire l'ulteriore protrarsi del processo, né implica una priorità nella trattazione del giudizio". Nella formazione dei ruoli di udienza e nella trattazione dei processi, restano infatti fermi i criteri dettati dall' articolo 132-bis del Dlgs 271/1989 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale).

In tal senso, l'istanza di accelerazione prevista dalle norme censurate, quale facoltà dell'imputato e delle altre parti del processo penale, "non rivela efficacia effettivamente acceleratoria del giudizio, atteso che questo, pur a fronte dell'adempimento dell'onere di deposito, può comunque proseguire e protrarsi oltre il termine di ragionevole durata, senza che la violazione dello stesso possa addebitarsi ad esclusiva responsabilità della parte".

Per la Consulta dunque la mancata presentazione dell'istanza di accelerazione nel processo penale "può eventualmente assumere rilievo ai fini della d eterminazione della misura dell'indennizzo ex lege n. 89 del 2001, ma non deve condizionare la proponibilità della correlativa domanda".

Non è la prima pronuncia sul tema da parte della Corte. I giudici premettono che secondo la giurisprudenza della Cedu la migliore soluzione contro l'eccessiva durata "in termini assoluti è la prevenzione". In questo senso un ricorso finalizzato ad accelerare i procedimenti "è da preferire ad un rimedio meramente risarcitorio". Tale ricorso però può considerarsi "effettivo" soltanto nella misura in cui rende più sollecita la decisione da parte del tribunale. Mentre è "adeguato" solo se non interviene in una situazione in cui la durata del procedimento è già stata chiaramente eccessiva.

La Corte ricorda poi alcune precedenti decisioni sul punto. Con la sentenza n. 34 del 2019, per esempio, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'istanza di prelievo nei processi amministrativi in quanto "adempimento formale", rispetto alla cui violazione "la, non ragionevole e non proporzionata, sanzione di improponibilità della domanda di indennizzo risulta non in sintonia né con l'obiettivo del contenimento della durata del processo né con quello indennitario per il caso di sua eccessiva durata".

Mentre con la sentenza n. 169 del 2019 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del diniego dell'indennizzo "quando l'imputato non ha depositato istanza di accelerazione del processo penale nei trenta giorni successivi al superamento dei termini di sua ragionevole durata, in quanto «la suddetta istanza, non diversamente dall'istanza di prelievo nel processo amministrativo, non costituisce […] un adempimento necessario ma una mera facoltà dell'imputato e non ha – ciò che è comunque di per sé decisivo − efficacia effettivamente acceleratoria del processo".

Da ultimo, la Corte ricorda invece la sentenza n. 121 del 2020 con cui, con riferimento ai rimedi preventivi introdotti per i processi civili dalla legge n. 208 del 2015 quale condizione di ammissibilità della domanda di equo indennizzo, "ha invece ritenuto gli stessi, per l'effetto acceleratorio della decisione che può conseguirne, riconducibili alla categoria dei «rimedi preventivi volti ad evitare che la durata del processo diventi eccessivamente lunga». Essi infatti consistono non già nella «proposizione di un'istanza con effetto dichiarativo di un interesse già incardinato nel processo e di mera "prenotazione della decisione" - che si riduce ad un adempimento puramente formale -», ma nella «proposizione di possibili, e concreti, "modelli procedimentali alternativi", volti ad accelerare il corso del processo, prima che il termine di durata massima sia maturato».

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