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Esame d'avvocato: il caso di civile, assegno divorzile e nuova stabile convivenza

di Patrizia Cianni

Con una recente decisione le sezioni Unite della Suprema corte sono intervenute a definire il conflitto relativo alla sopravvivenza dell’assegno divorzile nel caso il beneficiario dello stesso instauri, nel corso del procedimento di divorzio o di modifica delle condizioni ex articolo 9 della legge n. 898/1970, una nuova convivenza nel senso di famiglia di fatto, connotata da requisito di stabilità.

 

A – IL CASO

Il Tribunale ha dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto da Tizio e Caia affidando i figli minori alla moglie e determinando il contributo per il mantenimento dei figli a carico del marito oltre a porre a carico dello stesso l’obbligo di versare a Caia un assegno divorzile mensile dell’importo di Euro 900,00.

Tizio ha impugnato la decisione del Tribunale e la Corte di appello, in parziale riforma della decisione di primo grado e in accoglimento dell’impugnazione proposta, ha disposto l’affido condiviso della figlia minore ed escluso l’obbligo in capo a Tizio di corrispondere a Caia un assegno divorzile, in misura pari a quanto riconosciuto in primo grado o anche inferiore avendo la stessa instaurato una stabile convivenza con un nuovo compagno da cui ha anche avuto una figlia.

Caia decide di ricorrere in Cassazione per vedersi riconosciuta la corresponsione dell’assegno divorzile da Tizio, fosse anche in misura inferiore a quanto stabilito dal giudice di prime cure.

Il candidato assunte le vesti del legale di Caia rediga motivato parere illustrando le questioni giuridiche emergenti dalla fattispecie in esame.

 

1) La sentenza in esame: Corte Suprema di Cassazione, Sezioni Unite Civili, sentenza del 5 novembre 2021, n. 32198

 

B – LA SOLUZIONE DEL CASO

 

2) La questione giuridica

Se, instaurata una convivenza di fatto tra una persona divorziata e un terzo, eseguito un accertamento pieno sulla stabilità e durata della nuova formazione sociale, il diritto all’assegno divorzile di chi abbia intrapreso una nuova convivenza stabile, ove la sua posizione economica sia sperequata rispetto a quella del suo ex coniuge, si estingua comunque, per un meccanismo ispirato all’automatismo nella parte in cui prescinde dal vagliare le finalità proprie dell’assegno, o se siano invece praticabili altre scelte interpretative che, guidate dalla obiettiva valorizzazione del contributo dato dall’avente diritto al patrimonio della famiglia e dell’altro coniuge, sostengano dell’assegno divorzile negli effetti compensativi suoi propri, la perdurante affermazione, anche, se del caso, per una rimodulazione da individuarsi, nel diverso contesto sociale di riferimento.

 

3) Riferimenti normativi: art. 5, commi 6, 8 e 10, Legge n. 898/1970 ;  art. 1 Legge n. 76/2016.

B- LA SOLUZIONE DEL CASO

 

4) Le possibili interpretazioni

Assegno divorzile e nuova convivenza stabile del beneficiario con un terzo

L’ art. 5, comma 10, Legge n. 898/1970 (Legge sul divorzio) prevede che “L’obbligo di corresponsione dell’assegno cessa se il coniuge, al quale deve essere corrisposto, passa a nuove nozze” ; tale disposizione riguarda unicamente la fattispecie in cui l’ex coniuge contragga matrimonio e non menziona la convivenza di fatto e neppure la disciplina sulle convivenze e unioni civili (Legge n. 76/2016) si occupa della problematica.

Fin dalla prima introduzione della disciplina del divorzio è emersa la questione di accertare se l’effetto estintivo previsto dalla norma de qua si applichi automaticamente (o meno) ai casi di convivenza more uxorio e se, cessata la convivenza, torni a rivivere il diritto a percepire la prestazione periodica.

Si sono delineati nel tempo tre distinti orientamenti, tutti tendenti ad attribuire rilevanza giuridica al fatto nuovo della convivenza e ad affermare la necessità di un accertamento giudiziale in ordine alla stabilità di essa affinché potesse spiegare i suoi effetti sul diritto a percepire l’assegno di divorzio:

- permanenza dell’assegno, nonostante l’instaurazione di una convivenza stabile e duratura, che può essere rimodulato dal giudice in considerazione della nuova situazione;

- sospensione del diritto all’assegno per tutta la durata della convivenza e reviviscenza al termine della stessa;

- cessazione automatica del diritto all’assegno in seguito all’instaurazione di una convivenza stabile e duratura.

 

a) Esclusa l’automaticità dell’effetto estintivo, incidenza dell’istaurazione di una nuova convivenza stabile da parte dell’ex coniuge titolare del diritto all’assegno sul diritto alla provvidenza economica e sulla sua misura

Secondo il primo e più risalente orientamento , maturato anteriormente all’emanazione della legge sulle unioni civili, l’istaurazione di una convivenza stabile e duratura non fa cessare automaticamente il diritto all’assegno che può subire una rimodulazione ad opera del giudicante (Corte Cass. n. 3253/1983; Corte Cass. n. 2569/1986; Corte Cass. n. 3270/1993; Corte Cass. n. 13060/2002; Corte Cass. n. 12557/2004; Corte Cass. n. 24056/2006; Corte Cass. n. 2709/2009; Corte Cass. n. 24832/2014).

E’ affermazione ricorrente, all’interno di questo primo orientamento giurisprudenziale, condivisa anche da quella parte della dottrina che in esso si riconosce, il richiamo alla necessità di tener conto del miglioramento delle condizioni economiche del coniuge beneficiario, in virtù della nuova convivenza, ma anche alla necessità di considerare, al contempo, la precarietà del mutamento, la mancanza di garanzie che esso si protragga nel futuro, da cui scaturisce la conclusione che tale nuova situazione di fatto non si possa porre a fondamento della cessazione netta della tutela delle condizioni minime di autonomia economica del coniuge divorziato più debole, finché questi non contragga nuove nozze, e non passi, dalla tutela assicuratagli dal riconoscimento del diritto all'assegno di divorzio, alla protezione di una nuova solidarietà coniugale.

La prova del mutamento migliorativo delle condizioni economiche del coniuge beneficiario, a seguito della convivenza, deve essere fornita dal coniuge onerato del pagamento ed occorre considerare la precarietà del cambiamento e la mancanza di garanzie che si protragga anche in futuro per cui non appare corretto lasciare senza tutela il coniuge economicamente più debole sino a che non passi a nuove nozze.

 

b) Riespansione del diritto all’assegno nella sua pienezza o entro che limiti in caso di cessazione della nuova convivenza di fatto

Il secondo orientamento sostiene non la caducazione del diritto al mantenimento ma la quiescenza dell’assegno divorzile ovvero la sospensione temporanea dello stesso ed una successiva reviviscenza in caso di cessazione della convivenza (Corte Cass. n. 536/1977; Corte Cass. n. 11975/2003; Corte Cass. n. 17195/2011 ). S i tratta di una scelta necessitata dal carattere comunque precario proprio di ogni unione sentimentale fattuale e non consacrata nelle forme previste dall’ordinamento giuridico, anche se sostanzialmente stabile e duratura; la nuova convivenza potrebbe comunque finire e ciò senza che in capo ai nuovi “pseudo coniugi” possano ravvisarsi diritti e doveri identici a quelli invece individuabili in relazione ai soggetti parti di un’unione coniugale avvenuta ai sensi del codice civile. Poiché non vi sarà un nuovo coniuge tenuto ad un nuovo assegno di mantenimento, la fonte di sostentamento esterna, qualora effettivamente ancora sussista uno squilibrio economico tra i due originari ex coniugi, dovrà essere ricercata e trovata in una reviviscenza di quella a suo tempo operante. Tuttavia, pur nel silenzio delle decisioni giurisprudenziali, appare corretto ritenere che anche la reviviscenza del diritto al mantenimento non possa operare automaticamente, ma debba necessariamente passare in via preventiva attraverso una declaratoria giudiziale avente ad oggetto l’accertamento negativo della esistenza di quel fatto che aveva determinato la quiescenza della situazione giuridica di vantaggio poi sospesa.

 

c) Automatica applicazione nell’ipotesi della famiglia di fatto dell’effetto estintivo previsto dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 10, nel caso di nuove nozze del beneficiario

Secondo l’ultimo e più recente indirizzo, inaugurato nel 2015 e che segna una netta cesura rispetto alle posizioni precedenti (Corte Cass. n. 6855/2015 ; Corte Cass. n. 2466/2016; Corte Cass. n. 18111/2017; Corte Cass. n. 4649/2017; Corte Cass. n. 2732/2018; Corte Cass. n. 5974/2019; Corte Cass. n.  29781/2020 ) il diritto stesso all’assegno, in seguito all’instaurarsi di una famiglia di fatto o di una stabile convivenza di fatto con altra persona, si estingue automaticamente e per l’intero, cessando per sempre e non prestandosi a rivivere neppure in caso di cessazione della convivenza. Questo orientamento si fonda sul richiamo e sulla valorizzazione estrema del principio di autoresponsabilità e dall’essere il nuovo rapporto di convivenza fondato su una scelta libera e consapevole fa discendere che essa si caratterizzi “per l’assunzione piena del rischio di una cessazione del rapporto e, quindi, esclude ogni residua solidarietà post matrimoniale con l’altro coniuge, il quale non può che confidare nell’esonero definitivo da ogni obbligo” (Corte Cass. n. 685/2015).

Tale ul timo orientamento, accolto con favore da chi ritiene che sia aderente al nuovo contesto sociale in cui le convivenze superano i matrimoni , situazione ormai radicalmente cambiata rispetto al passato, non appare condiviso da tutta la dottrina e n on sono mancate voci autorevoli che hanno da subito sottolineato che non appare corretto né equo privare dell’assegno il coniuge economicamente più debole , che ha sacrificato il proprio percorso lavorativo a favore dell’altro e fargli perdere qualsiasi diritto ad una compensazione per i sacrifici compiuti a beneficio della famiglia anche alla luce della natura anche compensativa dell’assegno divorzile affermata delle Sezioni Unite della Suprema Corte nella sentenza n. 18287/2018 per cui è   irragionevole che «tale compensazione venga meno in conseguenza delle scelte sentimentali del coniuge debole , dopo la fine della convivenza».

Dunque, il terzo e più recente orientamento (Corte Cass. n. 6855/2015) non può essere condiviso sia nella parte in cui afferma che una convivenza stabile recide ogni connessione con il matrimonio precedente sia in merito alla cessazione automatica del diritto all’assegno divorzile apparendo privo di un ubi consistam normativo.

Invero, la legge sul divorzio (art. 5, comma 10, Legge n. 898/1970) prevede l’estinzione del diritto all’assegno solo in caso di nuove nozze ed il matrimonio non è equiparabile in toto alla convivenza per quanto riguarda gli effetti che ne derivano.

Il progetto di legge in corso di approvazione in Parlamento, approvato in prima lettura dalla Camera dei deputati il 14 maggio 2019 , prevede, dopo dell’art. 5, comma 6, Legge div., l’inserimento della previsione secondo la quale: “L’assegno non è dovuto nel caso di nuove nozze, di unione civile con altra persona o di una stabile convivenza ai sensi della L. 20 maggio 2016, n. 76, art. 1, comma 36, anche non registrata, del richiedente l’assegno. L’obbligo di corresponsione dell’assegno non sorge nuovamente a seguito di separazione o di scioglimento dell’unione civile o di cessazione dei rapporti di convivenza”. Tuttavia, l’esistenza di tale previsione, se comprova l’evoluzione del percorso normativo verso l’affievolimento dei legami precedenti alla costituzione di nuove formazioni sociali familiari, conformemente alle scelte operate a livello normativo in altri paesi Europei a noi vicini, depone al contempo nel senso della necessità di un intervento normativo modificativo per arrivare alla perdita automatica del diritto, nell’ambito di un più ampio intervento normativo, che affronti e riequilibri altri aspetti della crisi coniugale e rafforzi la tutela dei conviventi.

 

Inoltre, non è possibile ricorrere all’analogia (ex art. 12 preleggi.) che è applicabile solo nel caso in cui manchi un’espressa previsione che disciplini la fattispecie concreta e si debba colmare una lacuna mentre nel caso in esame, non v’è un vuoto normativo, ma vi sono regolamentazioni diverse rispetto a situazioni diverse trattandosi di condizioni eterogenee (matrimonio e convivenza) disciplinate in modo differente; diversamente opinando, si realizzerebbe un’ipotesi di analogia in malam partem,  perché si produrrebbe la caducazione automatica di un diritto riconosciuto dall’ordinamento.

 

Anche la Corte Costituzionale nella sentenza n. 140/2009, richiamata dalla Suprema Corte in tema di matrimonio e convivenza , rileva come l’equiparazione, sebbene non piena, tra i due istituti sia stata perseguita per estendere al convivente delle tutele o cause di non punibilità previste solo per il coniuge ma ciò non deve condurre a ritenere che le due figure siano uguali, in quanto non sussiste “l’esigenza costituzionale alla piena parità di trattamento”. Infine, quando la legge associa un’automatica perdita di tutela all’instaurarsi di una situazione, deve prevederlo espressamente e, anche laddove lo preveda, occorre grande cautela nell’applicare meccanismi automatici che comportino una contrazione di tutela (Corte Cost. n. 308/2008).

 

Funzione composita dell’assegno divorzile: componente assistenziale e componente compensativa

 

La recente sentenza della Suprema Corte a Sezioni Unite n. 18287/2018 ha affermato che l’assegno di d ivorzio esplica una funzione composita:

- assistenziale , in quanto sostegno economico successivo alla cessazione della convivenza matrimoniale;

- perequativo-compensativa , ossia equilibratrice, in quanto finalizzata non alla ricostituzione del tenore di vita esistente durante il rapporto, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dal coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale dell’altro coniuge.

La caducazione automatica del diritto all’assegno non è compatibile con la funzione compensativa dallo stesso esplicata in quanto l’assegno deve condurre ad un riequilibrio delle disparità economiche createsi con lo scioglimento del matrimonio ma non nell’ottica di garantire il medesimo tenore di vita; al contrario, il coniuge economicamente più debole, che non abbia mezzi adeguati o non possa procurarseli, ha diritto ad un assegno che sia commisurato al suo contributo alla formazione del patrimonio familiare e dell’ex coniuge.

Per le Sezioni Unite, non si può ignorare la costituzione di una famiglia di fatto , specialmente se dal vincolo nascono dei figli, osservando che si tratta di una scelta libera e consapevole effettuata dall’ex coniuge da cui deriva una correlativa assunzione di responsabilità e che incide anche sui rapporti pregressi.

Secondo la Corte va escluso qualsiasi automatismo , in quanto non è previsto dalla legge e contrasta con la funzione compensativa dell’assegno per cui va trovato un equilibrio tra il principio di autoresponsabilità (che comporta la perdita della componente assistenziale) e la solidarietà post-coniugale (in nome della quale permane la funzione compensativa).

La convivenza stabile postula che il nuovo compagno contribuisca anche economicamente ai bisogni della famiglia; non si tratta dell’adempimento di un’obbligazione naturale ma dell’adempimento di un reciproco dovere di assistenza morale e materiale (art. 1, comma 36, Legge n. 76/2016) per cui se è fornita la prova dell’instaurarsi di una stabile convivenza, sia nel giudizio volto al riconoscimento dell’assegno, che nel giudizio di revisione delle condizioni patrimoniali, viene meno il diritto alla componente assistenziale dell’assegno, anche per il futuro.

Il nuovo nucleo familiare comporta una cesura con il passato ed è irrilevante che il tenore di vita sia diverso dal precedente , interpretazione coerente anche con il dato normativo in quanto la legge (art. 1, comma 65, L. n. 76/2016) prevede il diritto di ricevere un assegno alimentare dall’ex convivente qualora si versi in stato di bisogno.

Viceversa, il nuovo legame non fa venire meno la componente compensativa, salvo che essa non sia già stata soddisfatta all’interno del matrimonio, con la scelta del regime patrimoniale o con gli accordi conclusi al momento del divorzio. 

Se il coniuge economicamente più debole ha sacrificato la propria esistenza lavorativa a favore della famiglia è ingiusto che perda qualsiasi diritto alla compensazione per i sacrifici fatti solo perché si è ricostruito una vita affettiva.

Ne consegue che la nuova convivenza non fa perdere automaticamente il diritto all’assegno, il quale potrà essere quantificato con riguardo alla sola componente compensativa in sede di giudizio di riconoscimento e potrà essere rimodulato in sede di revisione sempre purché sussista il pre-requisito della mancanza di mezzi adeguati e dell’impossibilità di procurarseli.

Naturalmente, la “sopravvivenza” della componente compensativa è subordinata alla prova del contributo dato dal coniuge economicamente più debole al patrimonio della famiglia e dell’altro coniuge.

Per verificare come la nuova convivenza abbia inciso sul diritto all’assegno, il giudice deve accertare la stabilità della convivenza e la sua decorrenza; mentre nel caso di nuove nozze il diritto all’assegno cessa dal momento del matrimonio, invece, nell’ipotesi di convivenza di fatto, occorre individuare il momento cronologico a partire dal quale si ritiene che l’ex coniuge abbia instaurato un nuovo rapporto e da quel momento l’onerato potrà pretendere una rimodulazione o, a seconda dei casi, la cessazione dell’obbligo di versare l’assegno.

Per valutare la stabilità del legame è possibile usare come riferimento la dichiarazione anagrafica (art. 1, comma 37, L. n. 76/2016), la presenza di figli della nuova coppia, la cointestazione dei conti bancari, la contribuzione al ménage familiare.

In merito al contenuto della prova , il coniuge onerato del pagamento dell’assegno deve allegare solo l’esistenza di una convivenza stabile ma non dimostrare la contribuzione di ciascuno dei conviventi alla vita familiare, in quanto si tratta di una prova assai difficile da fornire per chi sia estraneo alla famiglia.

 

La posizione assunta delle Sezioni Unite n. 32198/2021

Sulla base di quanto affermato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte nella sentenza n. 18287/2018, deve ritenersi un dato ormai acquisito, in ragione della funzione composita dell’assegno divorzile, che debba procedersi al riequilibrio della disparità delle posizioni economiche venutasi a creare a seguito dello scioglimento del matrimonio, non più nell’ottica, ormai definitivamente superata, di agganciare per sempre il tenore di vita dell’ex coniuge al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, dando luogo anziché alla valorizzazione dell’autonomia, alla costituzione di ingiustificate rendite parassitarie, bensì allo scopo di attribuire all’ex coniuge che non fruisca di mezzi adeguati, e non sia in grado di procurarseli autonomamente e non per sua colpa, un assegno di divorzio che sia commisurato anche al contributo prestato alla formazione del patrimonio familiare e dell’ex coniuge.

Alla luce di tali indicazioni in ordine alla  funzione dell’assegno divorzile nonché ai criteri per il riconoscimento del diritto all’assegno e per la sua quantificazione, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 32198/2021, hanno affermato che l’instaurazione di una nuova convivenza non è un motivo sufficiente a giustificare l’estinzione automatica del diritto a ricevere l’assegno divorzile, ma comporta solo una rimodulazione della somma da riconoscere all’ex coniuge, sulla base della distinzione tra componente assistenziale dell’assegno destinata a venire meno quando il coniuge inizi una nuova relazione stabile e componente compensativa dell’assegno che mantiene la sua ragion d’essere, dato che si riferisce a quanto accaduto in precedenza, in costanza di matrimonio.

La decisione si fonda sul presupposto che la componente assistenziale dell’assegno di divorzio ha la funzione di fornire un sostegno al coniuge economicamente più debole;  tuttavia, tale esigenza, in presenza di una nuova famiglia di fatto, viene meno in virtù del c.d. principio di autoresponsabilità, atteso che se la relazione con il nuovo convivente viene ritenuta stabile (per la presenza di figli o per la contribuzione economica comune nella quotidianità), viene meno l’esigenza di assistenza economica da parte dell’ex coniuge.

 

Di diversa natura e ratio è invece la componente compensativa dell’assegno divorzile, atteso che la stessa si riferisce a circostanze già maturate nel passato e intende valorizzare quanto fatto dall’ex coniuge in costanza di matrimonio essendo parametrata a criteri quali l’apporto fornito dall’ex al ménage quotidiano, nonché alle occasioni lavorative a cui questi ha rinunciato per le esigenze della famiglia; inoltre, l’entità della componente compensativa dell’assegno divorzile dipende anche dalla durata che ha avuto il matrimonio.

 

Per tali motivi, le Sezioni Unite hanno escluso che, in caso di nuova convivenza , operi l’automatica decadenza dal diritto a ricevere l’assegno divorzile in quanto il giudice, valutando discrezionalmente il singolo caso concreto, dovrà individuare la componente compensativa dell’assegno, stralciando invece quella riferita alle esigenze assistenziali non più meritevoli di considerazione.

 

In merito alla liquidazione dell’assegno nella sola componente compensativa all’ex coniuge che abbia instaurato una nuova relazione stabile, va osservato che posto che la classica configurazione del versamento periodico si addice principalmente all’esigenza di sostegno economico tipica della componente assistenziale ed essendo venuta meno quest’ultima, ha poco senso prevedere il versamento periodico di un emolumento interamente parametrato al passato, cioè riferito a criteri già valutabili nella loro completezza e non più suscettibili di variazione; per tale motivo è opportuno che, in caso di nuova convivenza stabile, l’assegno di divorzio sia versato in unica soluzione o per un periodo di tempo limitato e predeterminato a seguito di un imprescindibile specifico accordo delle parti sul punto, poiché il nostro ordinamento non permette al giudice di prevedere il versamento di un assegno temporaneo.

 

Il principio di diritto

L’instaurazione da parte dell’ex coniuge di una stabile convivenza di fatto, giudizialmente accertata, incide sul diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio o alla sua revisione nonché sulla quantificazione del suo ammontare, in virtù del progetto di vita intrapreso con il terzo e dei reciproci doveri di assistenza morale e materiale che ne derivano, ma non determina, necessariamente, la perdita automatica ed integrale del diritto all’assegno.

Qualora sia giudizialmente accertata l’instaurazione di una stabile convivenza di fatto tra un terzo e l’ex coniuge economicamente più debole questi, se privo anche all’attualità di mezzi adeguati o impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, mantiene il diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio a carico dell’ex coniuge, in funzione esclusivamente compensativa.

A tal fine, il richiedente dovrà fornire la prova del contributo offerto alla comunione familiare; della eventuale rinuncia concordata ad occasioni lavorative e di crescite professionale in costanza di matrimonio; dell’apporto alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell’ex coniuge.

Tale assegno, anche temporaneo su accordo delle parti, non è ancorato al tenore di vita   endomatrimoniale né alla nuova condizione di vita dell’ex coniuge ma deve essere quantificato alla luce dei principi suesposti, tenuto conto, altresì, della durata del matrimonio.

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