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Esame d'avvocato: il caso di penale, sulla compatibilità tra tenuità del fatto e la continuazione tra reati

di Nicola Graziano

Con una recente decisione la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Quinta Penale  n. 38174/2021, hanno affrontato il tema della compatibilità tra la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131 bis c.p.) e la continuazione tra i reati. Nel prendere atto del contrasto nella giurisprudenza della Corte di Cassazione gli Ermellini rimettono gli atti alle Sezioni Unite .

A - IL CASO

La vicenda

Tizio, invalido, nel periodo dal mese di marzo alla fine del mese di aprile 2020, posizionava il proprio veicolo sulle corsie di accesso all’area del distributore di carburante gestito dal fratello, così impedendo o comunque rendendo difficoltoso ai clienti l’utilizzo del servizio.

Contestatogli il delitto di cui agli artt. 81, comma II, e 610 c.p., si recava dal proprio legale spiegandogli che di fatto si era limitato a mantenere l’abitudine, risalente ad epoca antecedente all’apertura dell’area di servizio, di parcheggiare i veicoli a lui in uso in prossimità della sua abitazione, lungi dalla volontà di limitare il gestore dell’area nel regolare esercizio della sua attività lavorativa.

Il candidato assunte le vesti del difensore di Tizio, dopo aver affrontato la tematica della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, approfondisca i profili problematici afferenti al caso in esame.

 

1) La sentenza in esame: Corte Suprema di Cassazione, Sezione Quinta Penale, ordinanza del 25 ottobre 2021 n. 38174  

2) La questione giuridica

“Se, ai fini dell’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p., sia di per sé ostativa la continuazione tra i reati”

Quali siano le condizioni alle quali possa ritenersi operante la particolare tenuità del fatto in presenza del reato continuato nel caso in cui non si reputi in sé ostativo tale reato all’applicazione della causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p.”

 

3) Riferimenti normativi: art. 81, comma II, c.p.; art. 131 bis c.p.; art. 610 c.p.

 

B- LA SOLUZIONE DEL CASO

4) La natura giuridica e la ratio della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto

L’art. 131 bis c.p., dopo aver stabilito, al I comma, che “nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'articolo 133, primo comma, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale”, al successivo III comma chiarisce che “il comportamento è abituale nel caso in cui l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate”.

La ratio delle disposizioni di cui all’art. 131 bis c.p. è quella di perseguire obiettivi di mera deflazione processuale, di alleggerimento della macchina giudiziaria, gravata da un pesante carico di arretrato e di nuove notitiae criminis, nella sostanza di difficile gestione, sicché la ratio fondante dell’istituto è quella di perseguire obiettivi di ultima ratio della sanzione penale, se non addirittura di proporzione tra il disvalore del fatto e la risposta sanzionatoria, attraverso l’espunzione dall’area della punibilità di quei fatti storici che ne appaiano immeritevoli.

Quanto alla natura giuridica dell’istituto introdotto dall’art. 131 bis c.p. va evidenziato, in primo luogo, che la "tenuità del fatto", definita e disciplinata come causa di non punibilità, costituisce una figura di diritto penale sostanziale, sul presupposto che l’art. 131 bis c.p. persegue finalità connesse ai principi di proporzione ed extrema ratio della sanzione penale, ai quali conseguono effetti in tema di deflazione, sicché, se lo scopo primario dell’istituto è quello di espungere dal circuito penale fatti marginali, non meritevoli dell’irrogazione di una sanzione penale, l’effetto che ne consegue è la non necessarietà di impegnare i complessi meccanismi del processo.

E’ stato inoltre chiarito che tale istituto opera su un piano diverso rispetto al principio di offensività, poiché mentre quest'ultimo attiene all'essere o non essere di un reato o di una sua circostanza, la non punibilità per tenuità del fatto - riguardando fatti che sicuramente rientrano nella fattispecie tipica, in quanto offensivi del bene giuridico tutelato -, è applicabile a qualsivoglia fattispecie di reato - sia essa commissiva od omissiva, di evento ovvero di pericolo rispetto alla quale può sempre operarsi una valutazione in concreto della gravità della condotta posta in essere.

La non punibilità , dunque, deriva non già dall’inoffensività della condotta, bensì dal riconoscimento di un grado minimo dell’entità dell’aggressione al bene giuridico protetto, a fronte del quale il Legislatore ritiene non necessaria l’irrogazione della sanzione penale, ragion per cui l’istituto si giustifica alla luce della riconosciuta graduabilità del reato in relazione al disvalore dell’azione e dell’evento, nonché all’intensità della colpevolezza.

Quanto ai presupposti applicativi dell’istituto, che devono necessariamente sussistere congiuntamente, essi sono, da un lato, la particolare tenuità dell'offesa, - di natura oggettiva, riguardante il fatto di reato e la cui sussistenza si desume, a sua volta, da due indici-requisiti: le modalità della condotta e l’esiguità del danno o del pericolo, da valutarsi ai sensi dell'art. 133, comma I, c.p. - e, dall’altro lato, la non abitualità del comportamento - di natura più soggettiva, inerente all’autore.

Tale ultimo presupposto in relazione al quale l'art. 131 bis, comma III, c.p. non offre alcuna definizione, va affermato che, lì dove la norma fa riferimento a "più reati della stessa indole", la locuzione va intesa nel senso che "il comportamento è abituale quando l'autore, anche successivamente al reato per cui si procede, ha commesso almeno due illeciti, oltre quello preso in esame".

Ne deriva che, ai fini della valutazione del presupposto indicato - la "non abitualità" del comportamento -, il giudice può fare riferimento non solo alle condanne irrevocabili ed agli illeciti sottoposti alla sua cognizione - nel caso in cui il procedimento riguardi distinti reati della stessa indole, anche se tenui -, ma anche ai reati in precedenza ritenuti non punibili ex art. 131 bis c.p.. Con riferimento alle ulteriori ipotesi di condotta abituale tipizzate dalla norma va evidenziato che l'art. 131 bis c.p., nella parte in cui indica quale causa ostativa la commissione di condotte abituali e reiterate, ha inteso riferirsi alle ipotesi di reati abituali ed a quelli che prevedono la serialità quale elemento della fattispecie, rispetto ai quali la ripetitività delle condotte, proprio perché è elemento costitutivo del reato, consente di per sé di configurare l'abitualità che esclude l’applicazione della disciplina, senza che occorra verificare la presenza di distinti reati.

Infine, quanto alla previsione delle condotte plurime, va affermato che la locuzione non rappresenta una mera ripetizione delle condotte già indicate come abituali o reiterate, ritenendosi, invece, che la previsione normativa abbia un’autonoma portata precettiva, ragion per cui nel novero delle condotte plurime ben potranno essere ricondotte quelle ipotesi in cui il reato sia conseguito al compimento di ripetute e distinte condotte implicate nello sviluppo degli accadimenti - come avviene nel caso di reati colposi conseguenti ad una pluralità di violazioni della normativa cautelare -, nel qual caso la pluralità e, magari, la protrazione dei comportamenti colposi imprime al reato un carattere seriale, id est abituale.

In altre parole facendo ricorso ad un concetto diverso da quello di occasionalità, la volontà del Legislatore sembra essere quella di adottare un criterio più ampio, tale per cui la presenza di un precedente giudiziario non è di per sé sola ostativa al riconoscimento della particolare tenuità del fatto. Resta comunque fermo che comportamento non abituale significa, in ogni caso, che l’autore non deve essere stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, né deve aver commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, né che si tratti di reati che hanno ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.

5) Le possibili interpretazioni

La questione della compatibilità o meno della continuazione con la particolare tenuità del fatto

La tematica delle diverse ipotesi di abitualità della condotta, disciplinate dall'art. 131 bis c.p., comporta anche la problematica concernente il reato continuato per cui è sostanzialmente aperta la questione in merito alla compatibilità della continuazione con la tenuità del fatto, in relazione alla quale si agita un importante contrasto tra due opposti orientamenti di legittimità.

La tesi della inapplicabilità della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto nell’ipotesi in cui più reati siano esecutivi di un medesimo disegno criminoso

Secondo un primo orientamento che fa leva sul tenore letterale della norma di cui all'art. 131 bis, III comma, c.p., lo sbarramento di cui al citato comma deve ritenersi operante non solo nel caso di pregresso accertamento in sede giudiziaria dell'abitualità, ma anche con riferimento a condotte prese in considerazione nell'ambito di un medesimo procedimento e, quindi, anche con riferimento ai reati avvinti dal vincolo della continuazione.

Si esclude in radice l'applicabilità della causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p. nel caso di più reati esecutivi di un medesimo disegno criminoso che, pur unificati al fine del trattamento sanzionatorio, appaiono espressione di un comportamento abituale, di una devianza non occasionale, ostativa al riconoscimento del beneficio in quanto priva di quel carattere di trascurabile offensività che, invece, deve caratterizzare "il fatto" ove lo si voglia sussumere nel paradigma normativo di cui al citato art. 131 bis.

Anche il riconoscimento della continuazione, che pure incide sul trattamento sanzionatorio nella misura in cui segnala la minore intensità del dolo espresso nel corso della progressione criminosa, non consente, tuttavia, di ritenere il fatto, anche nella dimensione consolidata dal riconoscimento dell'unicità del disegno criminoso, come una devianza occasionale, ovvero non reiterata, ragion per cui il riconoscimento della continuazione, valorizzando l'identità del disegno criminoso, incide sulla sola valutazione del complessivo disvalore della progressione criminosa, ma non elide la circostanza che osta al riconoscimento del beneficio, ovvero l'oggettiva reiterazione di condotte penalmente rilevanti.

Si è inoltre considerato che l'incompatibilità del reato continuato con il riconoscimento della tenuità del fatto è in linea con il principio di non meritevolezza della pena per un fatto oggettivamente tenue che innerva l'istituto di cui all'art. 131 bis c.p., in ragione del fatto che il soggetto, che abbia violato più volte la stessa o più disposizioni penali sorrette dalla medesima ratio, non possa avvantaggiarsi della menzionata causa di non punibilità perché, in tale evenienza, è la norma stessa a considerare il "fatto" secondo una valutazione complessiva in cui perde rilevanza l'eventuale particolare tenuità dei singoli segmenti in cui esso si articola e prevale la sua dimensione "plurima" e la sua gravità.

Del resto la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto non può essere dichiarata in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, in quanto anche il reato continuato configura un'ipotesi di comportamento abituale, ostativa al riconoscimento del beneficio, evidenziandosi da un lato che la disposizione di cui all'art. 131 bis, comma III, c.p. non autorizza a ritenere che il Legislatore abbia voluto riferirsi solo ai casi in cui il reo sia gravato da precedenti penali specifici, in quanto, altrimenti, avrebbe fatto espresso riferimento alla recidiva specifica, e dall'altro lato, che, invece, dal punto di vista logico, appare più coerente dedurre da siffatta disposizione che l'agente non possa beneficiare della menzionata causa di non punibilità quando abbia violato più volte la stessa o più disposizioni criminose avvinte da un’unica ratio punendi, in quanto è la norma stessa che, valutando "il fatto", conseguentemente svaluta la rilevanza della particolare tenuità dei singoli segmenti dello stesso.

La tesi della compatibilità della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto nell’ipotesi in cui più reati siano esecutivi di un medesimo disegno criminoso

Secondo altre tesi appare sostenibile, sia pur a determinate condizioni, la compatibilità tra il reato continuato ed il riconoscimento della particolare tenuità del fatto. Essa valorizza una pluralità di elementi, quali la gravità del reato, la capacità a delinquere, i precedenti penali e giudiziari, la durata temporale della violazione, il numero delle disposizioni di legge violate, gli effetti della condotta antecedente, contemporanea e susseguente al reato, gli interessi lesi o perseguiti dal reo e le motivazioni, anche indirette, sottese alla condotta, elementi questi che possono contribuire ad escludere il connotato della "abitualità" della condotta nel caso della mera continuazione, sicché la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto può essere dichiarata anche in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, purché non espressivi di una tendenza o inclinazione al crimine.

Il giudice, in presenza di un reato continuato, per decidere sulla meritevolezza o meno del beneficio da parte dell'imputato, è chiamato a soppesare - in relazione alla modalità della condotta ed all'esiguità del danno o del pericolo - l'incidenza della continuazione in tutti i suoi aspetti, tra cui la gravità del reato, la capacità a delinquere, i precedenti penali e giudiziari, la durata temporale della violazione, il numero delle disposizioni di legge violate, gli effetti della condotta antecedente, contemporanea e susseguente al reato, gli interessi lesi ovvero perseguiti dal reo e le motivazioni a delinquere.

In tal caso l'unitarietà del contesto, in cui sono poste in esser diverse condotte illecite, può fondatamente lumeggiare che l'azione criminosa rimarrà fatto estemporaneo e così probabile il recupero sociale del reo, principio alla base dello scopo della pena secondo il dettato costituzionale per cui quando più reati vengono commessi in un contesto sostanzialmente unico, essendo composto da fattispecie poste in essere nelle medesime circostanze di tempo e di luogo e nei confronti della medesima persona, va riconosciuta l'esistenza di un'unica e circoscritta deliberazione criminosa, incompatibile con l'abitualità presa in considerazione - in negativo - dall'art. 131 bis c.p., con la conseguenza che la continuazione, a fronte delle descritte circostanze fattuali, non può essere ritenuta ostativa al riconoscimento della tenuità del fatto.

Per tale indirizzo ermeneutico, dunque, il solo fatto che il reato, per il quale si chiede l'esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, sia stato posto in continuazione con altri non è di ostacolo, in astratto, all'operatività dell'istituto occorrendo valutare, in concreto, se "il fatto" nella sua globalità, avuto riguardo alla natura degli illeciti unificati, alle modalità esecutive della condotta, all'intensità dell'elemento psicologico, al numero delle disposizioni di legge violate, agli interessi tutelati, sia meritevole di un apprezzamento in termini di speciale tenuità.

E’ stato precisato che la logica antinomia tra reato continuato e particolare tenuità del fatto è infatti rilevabile solo nel caso in cui le violazioni espressione del medesimo disegno criminoso siano in numero tale da costituire di per sé espressione di una certa serialità nel delinquere ovvero di una progressione criminosa, indicative di una particolare intensità del dolo o della versatilità offensiva tali da porre in evidenza un insanabile contrasto con il giudizio di particolare tenuità dell'offesa in tal modo arrecata.

Il Legislatore, infatti, non a caso ha fatto puntuale riferimento ad aggettivi riferiti alle condotte - plurime, abituali, reiterate - aventi un ben chiaro spettro semantico, dovendosi, dunque, ritenere che una condotta sia "reiterata" ove sia ripetuta nel tempo con identiche modalità fenomeniche, che essa sia "abituale" ove si caratterizzi per una certa metodicità, che essa sia "plurima" ove si registrino almeno tre condotte tra loro disomogenee.

Vi è stato chi pur ravvisando, in astratto, la compatibilità tra il reato continuato ed il riconoscimento della particolare tenuità del fatto, tuttavia ritiene necessaria la valutazione di elementi dai quali escludere in termini concreti il connotato della "abitualità" della condotta.

Si è pure sostenuto che l'adesione alla diversa opzione interpretativa, che esclude in radice l'applicabilità del beneficio all'ipotesi di reato continuato, appare distonica rispetto alla stessa sistematica sanzionatoria di cui costituiscono espressione le disposizioni di cui all'art. 81 c.p.., giacché va a pregiudicare l'imputato che, pur beneficiando del regime di favore previsto dall'art. 81 c.p., non potrebbe accedere alla suddetta causa di non punibilità, così dando vita ad un'ingiustificabile disparità di trattamento con la figura del concorso formale tra reati, prevista sempre nell'art. 81, al I comma, nel qual caso, nonostante la pluralità di illeciti commessi unificati quoad poenam, parrebbe potersi consentire l'eventuale applicabilità delle disposizioni di cui all'art. 131 bis c.p. in quanto il concorso formale è caratterizzato da una unicità di azione od omissione che rende impossibile collocarlo tra le ipotesi di "condotte plurime, abituali e reiterate" menzionate dal III comma dell'art. 131 bis c.p.

La posizione da assumere dal difensore di Tizio

Occorre quindi concludere nel senso che il difensore di Tizio dovrà prima di tutto invocare la tesi secondo c ui non la continuazione tra i reati non è ostativa dell'applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis.

Più nel dettaglio poi dovrà dimostrare che l’azione posta in essere da Tizio non è tale da concretizzare una ipotesi di abitualità che renda incompatibile in concreto l’applicazione della causa di non punibilità.

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